C’è posto per lei?

Cosa risponderebbe il primo cittadino della vostra città se ricevesse in dono da un altro paese una scultura composta di una colonna  in metallo alta 8 metri ?

La mia città, credo, troverebbe un modo per collocarla. A Ginevra, invece, una situazione del genere ha creato qualche imbarazzo. Ciò è accaduto a causa del dono, fatto alla città dallo stato del  Marocco, di una scultura in forma di colonna che rappresenta una serie di acrobati stilizzati, opera dello scultore marocchino Karim Alaoui. La scultura  rende omaggio a cinquanta anni di relazioni diplomatiche con la Svizzera.  Gli amministratori ginevrini si sono detti molto contenti del dono, ma hanno anche fatto sapere che, per ora, non sono in grado di stabilire se e dove verrà collocata.

Staremo a vedere come andrà a finire, non è la prima volta che la città riceve dei doni di questo tipo:  nel 2007 l’India ha regalato una grande statua con la figura di Gandhi; l’opera è stata collocata  nel parco dell’Ariana e non è difficile trovare persone che la visitano e si fanno fotografare vicino ad essa.

Questa notizia che ho letto sul periodico Gh.ch del 18 aprile scorso mi ha riportato al tema dell’arte pubblica, cioè quell’arte inserita in contesti urbani.  Anche io, a dire il vero, temo i doni e preferisco quando le opere nascono a seguito di un invito fatto ad un artista dalla città: questo perché l’arte non è mera decorazione urbana.

Perché un’opera possa veramente  entrare a fare parte della città deve vivere in relazione con l’ambiente scelto . “La cosa più importante diventa il valore del contesto, dell’ambiente – scrive l’artista russo Ilya Kabakov – della situazione già presente nel luogo dove si realizzerà il progetto culturale” (Quaderni del Corso Superiore di Arti visive, Public Projects or the Spirit of a Place,  Charta 2001). Queste parole secondo me danno ragione all’arte, che ricopre sempre un ruolo importante nelle nostre città.

 

Basti pensare alla grande opera specchiante Claud Gate, realizzata nel 2004 da Anish Kapoor a Chicago e diventata quasi un simbolo della città. Anche la piccola Calenzano, in provincia di Firenze, accoglie gli automobilisti che lasciano l’autostrada con una bellissima opera realizzata da Dani KaravanA Berlino, per tornare a una grande città, l’aggressiva installazione di Richard Serrra, Berlin Curves (1986) è volutamente ingombrante al punto da consentire ai cittadini un incontro continuo con essa, collegato a una forte esperienza sensoriale.

Infine, ma non perché la lista sia conclusa, vi parlo dell’opera lasciata nella mia città d’origine, Pistoia, dall’artista Gianni Ruffi, che ha progettato un lavoro per  l’angolo di una piazza antica e piena di significato storico e culturale. L’opera è una grande luna di acciaio Corten che scompare dentro un pozzo: è un lavoro poetico che rende concreto un sogno, e ogni volta che lo vedo mi sembra che mi guardi in modo ironico e che mi attiri come un miraggio.

Da donna a donna

Asma AssadA metà aprile è stato postato su You Tube un importante appello. Le mogli degli ambasciatori tedesco e britannico presso l’ONU a New York, Huberta von Voss Wittig e Sheila Lyall Grant, si sono messe personalmente in gioco inviando una lettera pubblica alla moglie del leader siriano Bashar al-Assad, Asma, pregandola di intervenire presso il marito per fermare il massacro che si sta perpetrando nella regione.

Il video di quattro minuti si rivolge direttamente alla moglie del premier nata ed educata in UK, che é sempre stata attiva nella promozione della figura all’estero di Bashar. Icona di bellezza ed eleganza, Asma era il volto rassicurante che fungeva da trait d’union fra il regime medio orientale e l’occidente. Attivissima presso il suo popolo, all’inizio del 2012 aveva stupito tutti supportando, attraverso una lettera al Times di Londra, la dura linea repressiva del marito.

Alcuni osservatori ne avevano giustificato l’atteggiamento affermando che come moglie di un premier non avrebbe potuto e dovuto fare altro… ma la storia è piena di donne che con coraggio si sono ribellate allo staus quo innescando circoli vituosi. È prerogativa femminile.

Il filmato su You Tube è duro, molto duro, e invita tutti a firmare questa lettera. Il video è capace di toccare le corde del cuore di una donna, rende più vicino lo strazio di madri, mogli, sorelle che giorno dopo giorno si vedono sottrarre dalla guerra le persone amate senza avere la possibilità di fermare il bagno di sangue.

Non so se Asma in questo momento può e vuole ascoltare le parole di altre donne, ma credo che un atto di amore incondizionato verso il proprio popolo, come solo una donna può fare, con un appello pubblico contro la violenza di questi ultimi mesi, potrebbe aiutare a riportare un po’ di pace in questa terra martoriata.

Arte contemporanea in Italia siamo al capolinea?

In questi giorni mi sono trovata a seguire un filone di notizie che mi ha molto turbata e che mi ha indotto a chiedermi  se rimarrà qualcosa di ciò che da sempre sembra essere una delle componenti importanti della nostra società: i musei e il loro rapporto con la vita culturale.

Mentre sulla  prima pagina del Giornale dell’Arte leggevo che va al Brasile – e più precisamente al  Centro Cultural Banco do Brasil, di Rio de Janeiro – il titolo di museo più visitato al mondo (battendo così i musei d’Europa e d’America), sui quotidiani italiani, trovava spazio (se non risonanza) la notizia che l’Italia si prepara a mollare al proprio destino alcuni dei suoi principali musei d’arte contemporanea: il MAXXI di Roma è ormai sull’orlo del commissariamento e il Madre di Napoli ha già chiuso al pubblico un piano del palazzo.

Cosa sta accadendo? Non ci sono più soldi, certo: siamo in piena crisi  e questo non era stato previsto. Ma mi domando: chi aveva fatto i conti delle spese di funzionamento di questi musei? Come aveva pensato di gestirli? Qualcuno ha sbagliato quando si pensava alla governance di queste istituzioni, oppure non ci ha pensato affatto?

Niente di peggio che ingannarci con grandi progetti culturali e poi lasciare che tutto decada, per abbandonare il campo. Tutto questo è lì a denunciare ancora una volta la nostra debolezza, e si presenta come una ulteriore sconfitta che ci allontana dal mondo delle idee e della crescita culturale internazionale .

E allora mi viene di pensare all’artista Antonio Manfredi che, in qualità di direttore del museo, cerca vendetta per tutto questo abbandono. Da quando ha capito che non riesce più a tenere aperto il suo centro per le arti contemporanee, ha reagito come un’artista infuriato: d’accordo con tutti gli altri artisti presenti in collezione (più di mille da tutto il mondo), ha cominciato a bruciare le opere del suo museo.  Un atto estremo che non lascia possibilità di tornare indietro e  annulla tutto il lavoro portato avanti dal 2005.  Molti direttori e intellettuali seri si sono accinti quasi a sorridere e hanno detto che in fondo il  Cam non è mai stato propriamente un museo, ma solo il risultato delle azioni di un’artista. Questa scarsa sensibilità e questo superficiale istinto superiorità non fanno loro onore: io credo che questo artista si meriti più rispetto e attenzione, non fosse altro per la passione con cui ha condotto in questi anni il centro, nel tentativo di contribuire all’interazione del pubblico con gli artisti contemporanei.  Ma anche questo oramai sembra niente e mi domando: tutto ciò ha ancora un valore?

Fiori dipinti fiori in giardino

Di fronte a un dipinto di un artista cinquescentesco cosa guardate?

Un suggerimento ci viene della storica Francesca Ciaravino, che ci invita a non trascurare i fiori.

I fiori  nei quadri ci sono spesso e, come ci spiega la studiosa, non vengono inseriti solo come elementi decorativi, ma  assumono spesso il valore di “codici simbolici utilizzati per sottolineare e rafforzare il significato di un’opera d’arte”.

La studiosa ha condotto una ricerca su quattro tele presenti nel Museo dell’Accademi di Firenze. Tre sono di Alessandro Allori (1535-1607) e una del pittore Giuliano Bugiardini (1475-1555). Vi confesso che mi sono divertita a vedere in modo diverso queste tele. Prendiamo, per esempio, l’Incoronazione della Vergine, (1593) di Alessandro Allori: qui si vede la Vergine in ginocchio nell’atto di baciare la mano del Figlio, mentre più in alto a sinistra si scorge Dio con la mano destra alzata nell’atto di benedirla. Tutto attorno a loro sono fiori e  angeli. La prima cosa che ci viene fatta notare è il modo in cui il pittore ha dipinto i fiori: se guardate bene sono tutti realistici, rappresentati con un’esattezza quasi scientifica. Nel dipinto ogni fiore scelto, come ci dice Ciaravino, descrive ed “esalta le virtu’ della Vergine”.

Allora, cominciamo con i fiori simili alle margherite : i fiori detti Aster sp. o il Bellis Perennis. Nel dipinto, sono in mano agli angeli e sono il simbolo del Paradiso, che poi è il luogo dove si svolge l’episodio.

Altri fiori nel dipinto sono la Calendula officinalis e il Gelsomino  (nome scientifico Jasminum nudiflorum L.)ambedue simbolo della Madonna, perché fioriscono nel mese di maggio, a lei dedicato (chiamato, appunto, il mese mariano).

 Il Gelsomino, inoltre, per la sua forma a stella e per il gradevole profumo è simbolo di virtù come grazia, eleganza e divino amore. Il trionfo del divino amore, il sacrificio e la vita eterna sulla morte sull’egoismo e sul peccato sono, nel rinascimento, indicati anche per mezzo di un altro fiore: il Narcissus poeticus. Anche questo è presente nella nostra tela, sempre tenuto in mano dagli angeli.

In primo piano, poi, in basso, si nota un vaso di fiori al cui centro primeggia la Citrus Medica, che qui indica la grandezza, la divinità e la bellezza. Sempre nel vaso, si riconoscono il mughetto, di nuovo il gelsomino e le rose: tutte alludenti alle virtu’ di Maria. E cosi’ la ricerca continua, con ancora altri fiori e altre opere: è affascinante scoprire quelli che, ormai, sono i segreti dei quadri del passato. Al giorno d’oggi, certi codici sono così difficili da individuare e da capire! Consiglio di andare al museo per vedere le opere, dopo aver letto questo studio, cosi’ da poterle guardare e cercare la simbologia dei fiori. Avrete anche la sorpresa di scoprire che il museo, dopo questa ricerca, ha creato una piccola piantagione proprio di questi fiori: così, nella corte vicino al bookshop, potrete vederli tutti dal vero.  Il libro di Francesca Ciaravino si intitola: Fiori dipinti Fiori in Giardino, Sillabe edizioni .

Giappone: moda, sushi e fantasia…

Da quando dal Giappone mi è giunto in dono un fantastico libro intitolato semplicemente Sushi, che non solo ne narra la storia, ma anche la tecnica e i segreti (e credetemi fare un buon risotto alla milanese è decisamente più difficile, sebbene meno esotico), sono diventata una fan sfegatata di questo paese e delle sue stranezze.

Che il Sol Levante sia ormai il “nuovo mondo” è assodato. E molte delle nuove mode e tendenze che spopolano anche in Occidente, le più bizzarre e improbabili, arrivano proprio dal Far Far East! Questo è un argomento che solo in apparenza sembra frivolo, ma che nasconde tuttavia i segni del profondo malessere di un’intera società, basata sull’obbedienza, la disciplina, l’adesione a rigidissime regole comportamentali che annullano l’individuo per conseguire una presunta e forse impossibile armonia universale.

Senza volermi ulteriormente addentrare in questo spinosissimo argomento, voglio solo parlare di alcune tendenze dei giovani giapponesi che sottolineano la volontà delle nuove generazioni di spezzare un sistema percepito come troppo stretto e soffocante.

Sono certa che pochi di voi hanno sentito parlare di Harajuku o Agejo Girls o di Maid o Cat Cafe.

Ebbene sono solo alcune delle innumerevoli new waves seguite dal pubblico giapponese.

Le ragazze Harajuku formano una vera e propria tribù metropolitana. Per dare sfogo alla propria creatività sono alla ricerca di uno stile assolutamente personale, che sfocia inevitabilmente nella stravaganza e nella trasgressione a tutti i costi. Matrice comune è il pervicace rifiuto della moda corrente.

Le ragazze Agejo sono giovani donne che sfoggiano pelle bianchissima, occhi enormi, esaltati dal trucco e dalle ciglia finte, capigliature curatissime con capelli lunghi e boccoli, spesso biondi (???), vere e proprie bamboline di porcellana.

Ma quello che mi ha fatto impazzire veramente, mentre sul web ero alla ricerca di qualche altra gustosa chicca nipponica, sono due tipi di locali veramente trendy in questo periodo! I Maid e i Cat Cafe. Locali a tema in cui il giapponese “tipo” si rifugia per una pausa.

I primi sono locali che erano stati immaginati per gli Otaku dei fumetti (gli otaku noi li chiameremmo i malati di manga, quelli ossessionati dalle strisce) in cui la prerogativa è essere accolti da cameriere con divise che ricordano la foggia vittoriana,

ricche di pizzi e col grembiulino bianco e la crestina, ma che sono terribilmente corte. Le cameriere, addestrate a parlare e ad agire come cartoons, per metterti a tuo (dis)agio accolgono il cliente con la frase “ben tornato a casa, onorato padrone”. E basta questo, pare, per mandare in visibilio il popolo maschile giapponese, ma non temete donne, esiste il corrispettivo femminile: i Butler’s cafe (che orrore!).

Ebbene il pezzo da novanta per me sono i Cat cafe, e mi commuovo pensandoci, non certo per l’amabilità dei quieti gattoni che vi circolano, quanto piuttosto al pensiero di quanto possano sentirsi soli e disperati i frequentatori di tali locali, forzati a non poter neanche possedere in casa propria un animale assolutamente non invasivo come il gatto. Infatti si tratta di luoghi in cui bere, comodamente seduti, un caffè, godendo del privilegio di coccolare un gatto!

Quando Kylie Minogue non ti lascia in pace!

Qui si parla troppo poco di musica! Allora ho pensato di iniziare con qualcosa di semplice!

Cosa ne pensate del motivetto che si installa nella testa perseguitandovi e che più tentate di scacciare più diventa noioso ed infestante? Vi sforzate di non sentirlo, fate finta di niente e proprio quando credete di averlo dimenticato, eccolo che ricompare con più vigore di prima. Inevitabilmente si tratta della strofa più cretina della più insipida canzonetta ascoltata alla radio (mai il Requiem di Mozart o la Nona di Beethoven, e tutto sommato è meglio così, pensate al turbinio di strumenti nel cervello!) il problema è che resta ficcata in testa per ore se non per giorni (un medico indiano ha curato senza successo un giovane uomo che per 5 anni ha “subito” una canzone indiana che faceva parte di una colonna sonora di un film di Bollywood, che suonava nel suo cervello in spezzoni che andavano dai 2/3 minuti ai 45!!!).

Ebbene in lingua inglese questa chicca si chiama earworm e senza arrivare ai casi limite, come quello citato, che sono lo specchio di disordini psichici di una certa rilevanza, ognuno di noi almeno una volta nella vita ha provato questa sensazione (quante volte abbiamo esclamato spazientiti: “è da stamattina che mi è rimasta in testa sta canzone!”)

Naturalmente il fenomeno è stato ampiamente studiato e discusso. Una ricerca del Dartmouth College, in New Hampshire del 2006 dava addirittura una classifica dei Top 10 earworms (1. Kylie Minogue, Can’t Get You Out of My Head; 2. James Blunt, You’re Beautiful; 3. Baha Men, Who Let the Dogs Out; 4. Mission Impossible theme; 5. Village People, YMCA; 6. Happy Days theme; 7. Corinne Bailey Rae, Put Your Records On; 8. Suzanne Vega, Tom’s Diner; 9. Tight Fit, The Lion Sleeps Tonight; 10. Tiffany, I Think We’re Alone Now, se volete farvi del male potete ascoltarle tutte in rapida successione!). Più recente è la ricerca della Goldsmiths University di Londra, che, dopo aver raccolto un database di ben 5000 (!) eraworms ha smentito la possibilità di farne una classifica, ma ha stabilito la connessione fra un certo tipo di canzone (semplice e ripetitiva) e il fastidioso fenomeno.

Nel libro Musicofilia (ed. Adelphi) Oliver Sacks afferma che questi motivetti infestanti sono frutto della forte sensibilità del nostro cervello alla musica. La musica infatti, tutta quella ascoltata, scava nel profondo di esso solchi indelebili e basta un aggancio, anche vago, rappresentato da un verso o da un particolare giro di note a far scattare una sorta di giradischi mentale che segue i solchi già tracciati da altri motivi nel tempo. Un po’ come accade con la sensazione del dejà vu che alcuni studiosi giustificano con l’utilizzo da parte del cervello di chiavi già usate in altre circostanze che fanno scattare la serratura di ricordi antichi sedimentati nella mente facendoli in qualche modo rivivere involontariamente (il già vissuto)…

Dopo aver parlato di cosa sono gli earworms, passiamo ad esaminare come scacciarli. Esistono diverse teorie: cantare e ricantare il motivetto fastidioso fino allo sfinimento o provare con il rimedio del “chiodo scaccia chiodo”, concentrandosi, ad esempio, su James Blunt per scacciare Kylie Minogue (se poi si installa lei sono tutti affari vostri!). O ancora meglio, poiché l’earworms “infetta” quella parte del cervello che si chiama orecchio interiore deputata a ricordare numeri di telefono, di conto corrente, combinazioni  e passwords, provate a dedicarvi al ripasso integrale e totale dei numeri e dei codici che irrompono giornalmente nella vostra vita, probabilmente perderete il senno, ma il cervello così distratto forse dimenticherà il fastidioso baco!

… sì, viaggiare!

Aprire gli occhi sul mondo, tentare di comprendere altre culture dimenticando le proprie routine per assorbirne di nuove, essere senza pregiudizi di fronte al diverso in qualsiasi forma ci si presenti, pur conservando una profonda identità che mi lega alle mie radici, ecco cosa significa per me viaggiare.

Prendere un treno, un aereo, l’auto per andare altrove è una sensazione fantastica e ogni volta mi da una scarica di adrenalina che potrebbe svegliare anche l’animo più sopito.

E l’essere in viaggio, ancor prima dell’arrivare, mi procura una gioia immensa.

Riesco ad apprezzare perfino le sale d’attesa delle stazioni o i luoghi di transito degli aeroporti.

Provo, infatti, un fremito nei grandi terminal internazionali… Seppellitemi all’aeroporto di Changi a Singapore o fatemi morire di caldo per i problemi all’aria condizionata nell’aeroporto di Adelaide in Australia (40 gradi all’esterno probabilmente un milione all’interno) o ancora fatemi atterrare a Koh Samui dove il terminal è tutto fiorito e i passaporti li controllano sotto una costruzione in stile Thai e io vi ringrazierò di aver avuto l’opportunità di vivere l’esperienza.

Gente che va e viene, storie che si incrociano, colori, suoni, luci, profumi (e puzze, per carità).

Lo spostamento mi intriga, grazie ad esso riesco a guardare il mondo con occhi nuovi e con l’animo dei bambini e ringrazio il cielo di aver avuto la possibilità finora di averlo potuto fare… ma se spostarsi fisicamente un domani mi fosse precluso? Allora senza indugio farei scattare il mio piano B, che già utilizzo abbondantemente: il web… Navigare, o meglio “surfare” grazie a Internet attraverso paesi, idee, scritti, lingue diverse… chi lo avrebbe mai potuto immaginare fino a qualche anno fa… allora, dalla mia poltrona, sì che potrei cantare con Battisti: sì viaggiare, evitando le buche più dure

Storie private ormai di tutti

Ilaria, una giovane e bella ragazza ventenne, arriva a Lucca nel 1403 per andare sposa al nobile Paolo Guinigi, signore della città. La cerimonia si tiene nella chiesa di San Romano e si festeggiano le nozze per tre giorni e tre notti. La moglie dà alla luce il primo figlio, Ladislao ,assicurando l’erede al casato,  ma muore durante il parto della seconda figlia, Ilaria la minore. Le cronache raccontano che la sua morte causò un grande dolore al marito, il quale decise di far realizzare un sarcofago rappresentante la moglie addormentata nel sonno eterno, con l’intento di metterlo nella cattedrale di San Martino.

L’arte può aiutare a placare il dolore? Paolo Guinigi chiamò uno dei più grandi artisti del suo tempo, lo scultore Jacopo della Quercia,  che realizzò un capolavoro della scultura quattrocentesca.

Ilaria venne rappresentata su un basamento di marmo decorato da putti e festoni. Ha gli occhi chiusi ma  sul volto non si vede la morte, la giovane infatti sembra dormire vestita con un abito elegante e raffinato. La testa è appoggiata su un cuscino e l’abito è rialzato ai piedi, dove lo scultore ha posto un piccolo cane, simbolo della fedeltà coniugale.

Quando il casato dei Guinigi cadde in disgrazia il sarcofago venne spogliato di tutti i riferimenti familiari, come lo stemma e l’iscrizione dedicatoria. Ma nessuno toccherà la figura di Ilaria, così sublimemente addormentata e bella: in breve tempo, questa figura angelica divenne quasi sacra per i lucchesi . Tutti sentivano il desiderio di vederla e sfiorare il suo corpo di marmo.

Potenza dell’arte: un’opera nata per consolare un dolore personale, venne spogliato dei suoi riferimenti storici e di appartenenza e divenne il simbolo di una città.

Così, passeggiando per Lucca pensavo al suo volto e ai tanti volti dell’arte. Pensavo ai coniugi Pandofini, al volto della Monnalisa e a quello immortalato da Andy Warhol di Marylin Monroe . E riflettevo su come l’arte può andare oltre  anche gli eventi della storia.

… ci piace

… ci è piaciuta la campagna dell’Unicef IO COME TU, con la quale la nota organizzazione internazionale ha sollecitato  l’Italia a rivedere la legge sull’acquisizione della cittadinanza italiana. La legge riguarda i destini di 650 mila bambini nati in Italia da genitori stranieri.

Secondo indagine commissionata dall’UNICEF, che ha coinvolto 518 adolescenti, di cui 118 di origine straniera, è emerso che il 22.2%  del campione degli adolescenti di origine straniera ha subito in prima persona manifestazioni di razzismo.

Tutti uguali davanti alla vita, tutti uguali davanti alla legge.

L’uomo è un albero del campo

Per me l’ULIVO è come un nonno, con il tronco corto e contorto, rugoso, arcigno e ben piantato, non ha delle fronde rigogliose, le sue foglie lanceolate sono verdi e grigie ma nell’insieme e da lontano i suoi colori ricordano l’argento. E’ una pianta longeva cosicché gli ulivi più vecchi hanno visto tanta storia passare. E’ una pianta generosa: non manca mai di dar frutto.

Da sempre è simbolo della pace. Per le nostre tradizioni è anche segno di  rinascita di riconciliazione tra gli uomini e Dio. Tutti infatti ricordano la colomba con in  becco un ramoscello di ULIVO quando vola verso Noè per avvisare la fine del Diluvio.

Originario dell’Asia Minore l’ULIVO è come il patriarca della cultura mediterranea che unisce tutti i paesi affacciati    sul mediterraneo. E’ sacro per i cristiani e per gli ebrei e per i musulmani.

Dall’ULIVO già i fenici, i greci e i cartaginesi commerciavano l’olio usato come alimento ma anche come unguento per il corpo o per l’illuminazione, come alimento per le lucerne..

In arte l’ULIVO ha trovato sempre un posto importante basta ricordare i ramoscelli di ulivi tenuti in mano dagli angeli dipinti nella Natività mistica  di Sandro  Botticelli (1501 National Gallery di Londra ) o ancora la bella testa di Pallade, nel dipinto  Pallade e il centauro sempre di botticelli, cinta di una corona d’ulivo.

E anche ai nostri giorni richiama l’attenzione de gli artisti. Tra gli altri, ricordiamo l’artista israeliano Dani Karavan e il suo lavoro Tzmicha-Crescita del 2001-2002 realizzato per il parco della Padula a Carrara durante la XI Biennale Internazionale di scultura.

In questo lavoro l’artista ha provocato un’esplosione in una  lastra di marmo, creando un vuoto al centro nel quale ha piantato un albero di ULIVO.  Da un’atto violento come un’esplosione si è generato  uno spazio per la pace.

Così ha detto l’artista “le sue foglie sono verdi e grigie l’albero legherà la scultura al luogo, le sue radici legheranno il marmo con la terra, e se un giorno qualcuno vorrà spostare la scultura dovrà sradicare anche l’albero: l’ulivo”.

Sulla lastra si trova incisa  una frase in ebraico dalla Bibbia : “l’uomo è un albero del campo Deuteronomio 20.19.