Guardie e ladri della storia dell’arte

rodolfo Sivieri
Rodolfo Siviero con l’Apollo di Pompei del Museo Archeologico di Napoli recuperato, 1947

Monument Men il film diretto da George Clooney che racconta la storia di un gruppo di studiosi americani che durante la seconda guerra mondiale vengono arruolati nell’esercito per ritrovare le opere trafugate da Hitler in Europa, mi ha fatto tornare alla mente un museo che ho visitato un po’ di anni fa  a Firenze e che non è molto conosciuto dai turisti. Il museo è la casa del signor Rodolfo Siviero, che visse nel secolo scorso e senz’altro rimane uno dei nostri più preziosi monumet men italiani, dal momento che dedicò la propria vita a  recuperare opere d’arte trafugate dal nostro paese durante la seconda guerra mondiale.

Siviero aveva studiato storia dell’arte  all’Università di Firenze  e nel 1937, grazie alla copertura fornita da una borsa di studio si trasferì a Berlino in veste di studioso ma anche di agente segreto. Il suo scopo era  seguire i movimenti della Germania nazista. Dopo l’8 settembre 1943, collaborò con i servizi segreti degli alleati, creando un servizio di informazioni e di ricerca volto a scovare e riportare in Italia ciò che il fascismo aveva ceduto ai tedeschi. Nel 1945 venne indicato da Benedetto Croce come persona adatta al recupero delle opere d’arte e, un anno dopo, nominato Ministro Plenipotenziario e Capo dell’ufficio recupero delle opere d’arte. Una missione che fu resa ancora più difficile e complessa per tutti gli aspetti burocratici che si frapposero alla restituzione dei nostri beni .

Chi volesse seguire la storia che copre l’operato di Siviero dal 1943 fino al 1963 può leggere il suo libro  intitolato L’arte e il nazismo. Vi si ritrova molto materiale documentario legato al suo incredibile lavoro. Da questa testimonianza si evince come purtroppo Goering e i gerarchi nazisti poterono, fin dal 1937, mettere le mani sul patrimonio artistico italiano grazie al beneplacito di Mussolini “quasi si fosse trattato di oggetti di proprietà personale del Duce o di Ciano, si donavano o si lasciavano comprare e portar via quadri e marmi celebri, inseriti in tutti i cataloghi, gemme famose di musei e di collezioni notissimi.”

Tra le opere più famose che Siviero salvò dalle grinfie di Goering, vi fu anche un’Annunciazione del Beato angelico, da lui nascosta il giorno prima dell’arrivo dei tedeschi oggi conservata nella Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno.

Difendere il nostro patrimonio artistico, inteso come testimonianza della nostra civiltà e del nostro vivere civile, fu la missione di Siviero e chi volesse visitare il museo può trovare tutte le informazioni su www.museocasasiviero.it

Oro e luce in attesa del Natale

Beato Angelico, Annunciazione, 1433-34, Museo Diocesano di Cortona
Beato Angelico, Annunciazione, 1433-34, Museo Diocesano di Cortona

Continuiamo ad immaginarci di avere tempo e denaro in questi giorni di Natale. Cosi’ andiamo a Lens e dopo aver visitato la nuova succursale del Louvre, da poco inaugurata nella cittadina francese, potremmo partire alla volta di Roma per vedere, nella Galleria Borghese, l’Annunciazione del Beato Angelico. L’opera arrivata dal Museo Diocesano di Cortona sarà visibile fino al 10 febbraio.

L’occasione della mostra è l’iniziativa L’arte della fede, ossia cinque incontri (questo è il primo) con altrettanti capolavori della storia sacra.

Sono passati molti anni da quando ero bambina e con mio padre ero solita andar per musei, ma non posso dimenticare l’effetto e la curiosità che suscitarono in me le piccole cellette del Convento di San Marco a Firenze, affrescate dal Beato Angelico qualche anno dopo aver completato l’Annunciazione di Cortona (1433-34).

Beato Angelico, monaco domenicano, ha dedicato tutta la vita a raccontare attraverso la pittura un atto astratto e poco rappresentabile fisicamente, ovvero il senso della fede e della spiritualità. Guardando l’opera che brilla di oro e lucentezza ci pare di cogliere nell’angelo e in Maria un’intimità e un accordo che fissa un patto di unione e pace per l’umanità.

Due, appunto, sono gli elementi preminenti nell’opera: l’oro che luccica e la luce che abbaglia. L’oro come astrazione dalla realtà , tipico nell’arte medievale, e la luce come diretta emanazione di Dio.

Provate ora a fare un salto e pensate all’arte contemporanea. Più precisamente a due artisti diversi,  ma con qualcosa in comune nella ricerca di una dimensione altra da quella terrena. Pensate al lavoro di Yves Klein, ai suoi monocromi come i Monogold degli anni Sessanta.

Yves Klein, Monogold
Yves Klein, Monogold

L’artista stesso ha scritto : “ho creato degli stati di pittura immateriale”. Ancora, spiegando le sue opere monorome e la scelta di usare un solo colore, ha scritto “ con il colore io provo un sentimento di assoluta identificazione con lo spazio , mi sento veramente libero”.

Un altro artista contemporaneo a cui penso guardando l’Angelico è stato Dan Flavin , l’artista minimalista americano che ha utilizzato, come materiale del suo lavoro, la luce al neon che un po’, come nel caso di Klein, diventa un monocromo. Una luce che pero’, nel suo accendersi, si espande nello spazio e avvolge lo spettatore.  Non è certo un caso se a Milano l’artista è stato invitato poco prima di morire per lasciare un opera fatta di luce nella Chiesa di Santa Maria Annunciata.

Dan Flavin, Chiesa Rossa, Milano, 1996
Dan Flavin, Chiesa Rossa, Milano, 1996

E’ come se Klein e Flavin avessero rinunciato di raccontarci il fatto dell’Annunciazione per trasportarci, uno con l’oro e l’altro con la luce, dove ci ha condotti l’Angelico con la sua magnifica opera.

E’ davvero poi così lontana l’arte contemporanea dal suo passato?