Saison Courbet

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Gustave Courbet, Natura morta, 1862

Grazie alla collaborazione fra la Fondation Beyeler di Basilea e il Musée d’art et d’histoire di Ginevra, è stata inaugurata la Saison Courbet, un’esposizione, che si protrarrà per tutto l’autunno sino agli inizi del 2015, sui capolavori del maestro negli anni del suo esilio volontario sul lago Lemano.

Courbet fu artista molto discusso in quanto per primo ruppe gli schemi romantici in cui era incatenata la pittura del suo tempo per dedicarsi al crudo realismo che aprì le porte alle successive esperienze pittoriche degli impressionisti. Courbet suscitò scandalo, come egli stesso affermava “Ho studiato l’arte degli antichi e quella dei moderni. Non ho voluto né imitare gli uni, né copiare gli altri. Ho voluto essere capace di rappresentare i costumi, le idee, l’aspetto della mia epoca secondo il mio modo di vedere; fare dell’arte viva, questo è il mio scopo”. Se Baudelaire gli fornì le basi per il rifiuto dell’arte romantica, il filosofo anarchico Proudhon gli diede quelle politiche, che egli elaborò per infrangere le convenzioni accademiche. Ed ecco l’origine delle tele di grande dimensione fino ad allora destinate alla storia, alla mitologia o alla religione, che con lui invece si riempiono di personaggi di un mondo familiare e domestico (fra tutti basti ricordare il famoso Funerale ad Ornans).

Si sentiranno in debito con Courbet autori quali Cezanne, che affermó che il grande contributo dell’artista alla storia della pittura europea “è l’ingresso lirico della natura, dell’odore delle foglie bagnate, delle pareti della foresta coperte di muschio” e la sua capacità magistrale di dipingere la neve e le ombre azzurrine su di essa. Manet con la sua conturbante odalisca Olympia si pone nella scia del maestro. Si pensa addirittura che Monet lo abbia dipinto nella sua Colazione sull’erba (il personaggio corpulento in secondo piano).

Lo sforzo delle due istituzioni ha portato all’esposizione Svizzera, direttamente dal Museo d’Orsay di  Parigi, dal quale esce per la prima volta, anche l’opera forse più  famosa e controversa di Courbet: L’origine del mondo, in cui la descrizione realistica dell’organo genitale femminile non è attenuata da nessun artificio storico o letterario. Anatomicamente perfetta tuttavia sfugge allo status di immagine pornografica.

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Veloce pesto rosso

Alberto Sordi nel film Un americano a Roma
Alberto Sordi nel film Un americano a Roma

Sembra ormai consolidato che la pasta ha perso anche in Italia il primato sui consumi alimentari, se ne mangia sempre meno e se continuiamo così rischia di diventare come in altri paesi uno dei tanti contorni da aggiungere al piatto unico.

Tutto vero, però, se inviti uno straniero a casa tua, la pasta se l’aspetta e se vuoi fare un figurone senza avere particolari doti culinarie vi consiglio una ricetta lampo, forse già nota a molti  ma per me la rivelazione di quest’estate.

L’idea è quella di unire tre colori: il bianco (pecorino,grana, aglio) il rosso (pomodoro fresco e pomodoro secco) e il verde (basilico).

Nessuna difficoltà.

Ricetta per più o meno 4 persone:

300 gr di Basilico

1 Spicchio di aglio

60 gr di Grana (ma va bene anche il pecorino o tutti e due messi assieme)

Olio extra vergine di oliva

Pinoli ( a piacere)

Tre o quattropomodori secchi

Tre pomodori maturi freschi

E’ molto facile, prendo tutti gli ingredienti e li metto nel frullatore, riduco tutto a pesto e poi assaggio e aggiusto ( se ci vuole un po’ più di sale, olio ma anche se è troppo denso allungo con un po’ di acqua).

Questo piatto lo chiamerei Veloce Pesto Rosso e anche se i genovesi si scandalizzeranno per aver sostituito il frullatore al pestello vi assicuro che il risultato non è male e una volta tanto avrete la meglio su chi non fa altro che demonizzare i carboidrati. untitled (4)

 

Chiacchiere del lunedì

Biblioteca San Giorgio, Pistoia
Biblioteca San Giorgio, Pistoia

imagesDobbiamo credere nel valore delle opere pubbliche, quelle pensate per tutti e aperte a tutti. Dobbiamo batterci per averle ma anche per custodirle e proteggerle. Torno dalla visita a una biblioteca bellissima, pensata così bene per i cittadini della mia città – Pistoia – da diventare la loro agorà. Si tratta della biblioteca San Giorgio, inaugurata nel 2007 progettata dall’architetto Massimo Pica Ciamarra: è nata dalle ceneri di un vecchio insediamento industriale ed è un posto per riempirsi la mente. Dentro si vivono esperienza di tutti i tipi: vi si può andare per leggere o per consultare un libro, ma anche per vedere un film, una mostra o semplicemente per studiare assieme. C’è anche una grande e luminosa biblioteca per i più piccoli.

attività dentro la biblioteca di San Giorgio Pistoia
attività dentro la biblioteca di San Giorgio Pistoia

Al pomeriggio, quando bambini e ragazzi escono da scuola, molti genitori trovano lì rifugio, accanto ai figli. Gli adolescenti, poi, lo hanno trasformato nel loro luogo. Dentro ci sono un bar e una libreria. Anche il luogo scelto è perfetto: vicino al centro e alla stazione dei treni, così che tutti possano arrivarci facilmente.

La mia città ha scelto un orientamento democratico alle cultura: e ha funzionato. E così ieri, mentre mi godevo lo spettacolo di una comunità che fruisce di un luogo così bello, ho visto persone anziane che il martedì si offrono di spiegare il gioco degli scacchi, babbi single con bambini a leggere storie, tante giovani madri coi loro bambini, ragazzetti dai capelli colorati che studiavano al bar con gli amici. Ma ho anche visto uno staff di persone che ci lavorano e che sentono quel luogo come casa propria, dedicandogli amore e rispetto.

Questa è la rotta, in materia di cultura e spazi per poterne fruire.

Buon lunedì

THE HAPPY SHOW

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Stefan Sagmeister

Siamo arrivati alla fine del 2013 e quindi è tempo di bilanci. Uno potrebbe anche prendere l’occasione per chiedersi: è possibile  valutare il nostro attuale tasso di felicità?

Sembrerebbe di sì. A Parigi, in questi giorni, si è aperta una mostra  dal titolo “The Happy show”, dell’artista Stefan Sagmeister, tutta incentrata su cosa sia e che senso abbia la nostra felicità. Sagmeister, mezzo americano e per metà austriaco, conosciuto nell’arte contemporanea anche come designer grafico, ci offre un percorso interessante che permette al visitatore di esplorare in modo sia sensoriale che intellettuale il tema della felicità.

La mostra si tiene presso la Gaité Lyrique, un vecchio teatro del XIX sec., trasformato in un centro che studia i legami tra la cultura visiva e quella digitale. Un luogo per sperimentare i media, visitare mostre, giocare con i computer, studiare o ascoltare conferenze. .

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Stefan Sagmeister

Tutto il percorso è pensato per far fare delle esperienze divertenti. Il visitatore, ad esempio,  è invitato a pedalare di fronte ad un grande schermo dove appaiono delle scritte e delle immagini che fanno sorridere e meditare.

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Stefan Sagmeister

E siccome lo scopo della mostra è concedere a noi il tempo di riflettere su cosa intende la nostra società occidentale per felicità, l’artista offre al visitatore anche dei numeri e delle statistiche su quanto le persone siano più o meno felici. Ne viene fuori ad esempio che  solo il 41,5 % delle donne casalinghe sono felici, oppure che il 18% degli uomini divorziati sono felici contro il 15,5% delle donne nella stessa condizione.

La mostra è arrivata dall’America a Parigi, ma dovrebbe continuare a girare per l’Europa.  E’ un invito a farci riflettere , forse come dice lo stesso artista “non troverete la felicità visitando la mostra” ma è un modo per ripensarla e questo non può che farci  un gran bene.  .

Questo sì che è viaggiare

Robert Morris, Labinto, 1982
Robert Morris, Labinto, 1982

Vi sono luoghi che fanno parte del nostro immaginario, perché sin da piccoli li abbiamo sentiti rammentare in leggende e storie di ogni tipo. Non li abbiamo mai visitati perché non esistono, ma sono così parte della nostra geografia mentale da poterli agevolmente descrivere, o comunque da farci sobbalzare sulla sedia se, leggendo qualcosa, troviamo una parola su di essi.

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Quali sono? Presto detto. I luoghi mitici, come Atlantide, Iperborea o l’ultima Thule; quelli legati alle religioni (il paradiso terrestre o i luoghi della bibbia che, pur essendo reali, assumono contorni diversi e trasfigurati dalla fede); i luoghi da favola (come il paese di cuccagna). E ve ne sono molti altri. Ne parla un bel libro di Umberto Eco: Storia delle terre e dei luoghi leggendari. In comune hanno l’appartenenza a quel pianeta invisibile che si trova nelle varie credenze dell’umanità, non disgiunta da una fervidissima fantasia, spesso totalmente slegata dalla realtà. Basti pensare al ciclo del Graal e a tutti i luoghi in esso coinvolti (ci si trova di tutto: una volta ho letto che anche uno dei castelli di Sion, in Vallese, non lontano da casa mia, è legato a questo mito). Oppure si possono ricordare le balzanerie di coloro che nelle piramidi leggevano conoscenze matematiche a carattere più esoterico che scientifico.

Insomma, cose  a metà fra un romanzo di fantascienza e un’allucinata follia. Ma divertentissime. Già, questo di Eco è un libro piacevolissimo, da scorrere e da leggere a tratti, perché ogni capitolo ci parla di come sia nata una di queste leggende (e quindi anche dei luoghi ad essa associati) e poi fornisce una breve antologia di scritti che l’hanno menzionata nel corso dei secoli.

Mi sono divertita tantissimo a leggere queste storie e a ritrovarvi molti riferimenti a film e romanzi che, pur dichiarandosi nuovi, le hanno saccheggiate senza pietà (basti pensare al “Codice da Vinci”, basato su una rilettura semplificata della leggenda del Graal, o a certi film di fantascienza che copiano i romanzi di Karel Capek, uno scrittore vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento); anche se spesso l’hanno fatto senza la capacità di raccontare una storia altrettanto bella.

Grazie a Umberto Eco che ci fa divertire con leggerezza e con intelligenza.

Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Bompiani

Chiacchiere del lunedì

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Buone notizie.  Ho letto qualcosa sulle tendenze moda per il nuovo anno, che mi ha confermato cosa avevo già cominciato a vedere: il tempo delle taglie minime è finito. Ormai sono anni che tutti i vestiti, le maglie i cappotti che ci vengono proposti sono super avvitati, attillati, così stretti che non mancavo mai di uscire dal negozio con un senso di frustrazione. E non solo perché non ho una taglia piccola; il fatto è che, anche quando trovavo  la mia taglia, dovevo accettare che il vestito aderisse al corpo e lasciasse intravedere tutte quelle linee  che normalmente dovrebbero essere visibili solo a me. Coraggio, stiamo per vedere un’inversione di tendenza: rinascono le taglie over-size. Ho letto su La Repubblica, questo sabato, che la nuova moda guarderà all’extralarge con questo obiettivo: esaltare il corpo (e in casi come il mio si tratta di una gran bella sfida ), enfatizzandolo (che fatica, ma si deve proprio?), però senza farlo sparire o ingolfarlo  ( staremo  a vedere).

Una cosa è certa con vestiti un po’ meno asfissianti saremo finalmente più libere, più comode e troveremo di nuovo degli abiti portabili, che si adatteranno un po’ meglio a qualunque tipo di fisico. Sembra un sogno democratico, vero?

Buona settimana