Il mio Nobel per la letteratura

Oggi mi sono chiesta a chi darei il premio Nobel per la letteratura, scegliendo tra i libri che ho letto nel corso del 2016. Me lo sono domandato perché il Nobel, quello vero, verrà annunciato domani. Alla fine, guardando e riguardando la mia biblioteca più intima, quella che tengo in camera, in una scaffalatura a lato del letto, ho scelto lo scrittore americano Paul Auster. E il bello è che non l’ho scelto per la sua famosa “La trilogia di New York”, ma un altro libro che mi ha divertita e intrigata a tal punto da lasciarmi dispiaciuta che fosse finito, quando ne ho terminato la lettura. E’  Il libro delle illusioni”.imgres

Leggetelo e vi troverete immersi nel mondo del cinema muto, per seguire  la storia di un attore scomparso in modo misterioso: Hector Mann. Assieme alla sua vita, seguirete quella del narratore, un professore intento a scrivere un libro sia di lui. Quando ripenso al libro, mi sembra che esso abbia la forma di un ritratto dal quale escono altri ritratti e altre storie. In uno dei colpi di scena della storia, il narratore si ritrova minacciato da una pistola e sentite come Auster descrive questo momento, riferendosi alle pallottole e al loro effetto sul bersaglio: “Il mondo era pieno di fori , di minimi varchi, di fessure minuscole che la mente può attraversare , e una volta di lodi uno di quei fori , ti trovi libero da te stesso , libero della tua vita, libero della tua morte , libero da tutto quello che ti apparteneva.”(p.92)”  Quei fori mi sembrano quelli lasciati sulle tele da Lucio Fontana, che col suo spazialismo trovò un’altro spazio, una nuova dimensione.

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Lucio Fontana

E poi le descrizioni di Auster nel raccontare i film di Hector sono così perfette e chiare che sembra di vederli scorrere davanti ai nostri occhi.

Insomma, per me Paul Auster è uno scrittore che riesce a farci entrare in una dimensione tridimensionale, proprio come in quei cinema dove ci danno dei buffi occhialini per osservare lo schermo e sentirci parte di esso.

 Ora stiamo a vedere chi sarà il vero vincitore.

Chiacchiere del lunedì

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Credo di sapere, almeno per esperienza personale, che non ci sia persona più aperta all’arte di un bambino. Perché? Cosa accomuna il mondo dell’infanzia con quello dell’arte? Non certo perché, come si dice in modo semplicistico, l’artista è come un bambino: lo escluderei. Direi piuttosto perché entrambi devono sopportare noiose persone adulte, che non mancano spesso di ripetere loro: “Ora basta avete superato il limite”.

Eccolo lì il punto di snodo: i bambini e gli artisti hanno il coraggio e l’audacia di superare i propri limiti.

E così mi lascio andare alla fantasia e comparo il dripping di Jackson Pollock, audace, deciso a superare la cornice del quadro, oppure i tagli del nostro coraggioso Lucio Fontana, con l’audacia del bambinio deciso a scavalcare il cancelletto del lettino. E poi penso alla curiosità di esplorare mondi nuovi, la naturalezza con la quale tutti i loro sensi entrano in gioco per scoprire il mondo.

Non c’è dubbio: vivono in due mondi diversi ma accumunati dal movimento, dall’ andare avanti, perché – come ha detto Picasso-  “l’arte – e aggiungo io la crescita – sono mestieri che non si possono imparare”.

Guai a chi volesse impedire a un bambino di crescere e a un’artista di esprimersi.

Fuori dalla cornice

In tempi in cui cerchiamo di rivedere il nostro stile di vita, per piacere o necessità, vorrei  parlare del piacere provato, da noi che viviamo all’estero, al momento di trascorrere un po’ di vacanze con le persone care, che ci vengono a trovare dall’Italia.

L’incontro è ogni volta una festa e questo perché è come rientrare nella cornice che abbiamo lasciato al momento di lasciare il nostro paese.  Parlo di cornice, perché uscire da essa vuol dire uscire dal quadro in cui,  per nascita per relazioni e stato di cose, sei stato abituato a vivere. Quando cambi e lasci il tuo paese devi riscrivere un po’ tutta la tua storia. Faccio un esempio: andandosene si  incontrano nuovi amici e si hanno nuove relazioni, ma le tue parole non sono sufficienti a spiegare loro chi sei stato fino a quel momento e a cosa appartieni. E così che, presto, rinunci a dare delle spiegazioni,  cominci una nuova vita e resti sempre più  fuori dalla vecchia cornice. Ecco perché quando qualcuno della tua famiglia o fra i tuoi amici ti viene a trovare è come un piccolo terremoto affettivo e relazionale, che ti fa sentire come sospeso a metà strada tra due realtà:  collegato a ciò che eri, ma anche cosciente di quello che ormai sei divenuto.

Cerco un modo per visualizzare tutto questo e, facendo un accostamento azzardato, ho pensato a quanti artisti hanno cercato con il loro lavoro di uscire dalla cornice. Allora mi sono venuti in mente i tagli di Fontana, la sua ricerca di nuove spazialità: i suoi  tagli o buchi erano un po’ come il mio emigrare, una fuga,in quel caso  da ciò che l’arte era stata fino a quel momento; era l’esplorazione di nuovi campi.

E poi vi sono il contatto con il passato e il ritorno: su questo ho pensato all’energia che può generare l’incontro tra ciò che sta dietro di noi e  la nostra vita attuale e mi è venuto in mente il lavoro di Gilberto Zorio, esponente dell’arte povera. Con le sue forme ormai fuori dal quadro ma collegati alla parete, crea  un corto circuito che mette in circolo nuova energia .

Anche per noi è così: quando ci venite a trovare, cari amici e cari parenti, è come se riuscissimo a creare nuova energia, rigenerare cose diverse e dunque  ben vengano le partenze e gli allegri ricongiungimenti.

Choc di strada, l’arte incontra tutti

Abbiamo già trattato una volta  della street art, perché se ne fa un gran parlare ed è sempre più un modo di esprimere ciò che si sente in questo momento. La street art è molto seguita dal mondo dell’arte e apprezzata dai giovani. Tanto per farvi un’esempio, mia figlia adolescente l’altro giorno mi ha sfidato e mi ha fatto vedere  un’immagine che circolava su facebook: si vedevano accostati, l’uno all’altro, un lavoro di Lucio Fontana e un disegno fatto sul muro di una città. L’immagine era polemica, dal momento che vi si leggeva: la prima la considerano arte, la seconda vandalismo.

La provocazione era interessante; forse avrei potuto spiegare  che è grazie ad artisti come  Fontana, che oggi siamo tutti liberi di apprezzare alcune espressioni attorno a noi e definirle opere d’arte.  Però il discorso sarebbe stato lungo e avrei dovuto menzionare le avanguardie, i primi papier colle di Picasso e poi i ready made di Duchamp.

Ma torniamo alla street art, oggi vorrei presentare un’artista americano che vive a Washington. Il suo lavoro è di grande suggestione  e utilizza la città come campo di azione. Quest’artista si chiama Mark Jenkins. Tra i temi del suo lavoro vi sono esseri umani, animali e oggetti.  Bambini, vagabondi, senza tetto,orsi, giraffe, parchimetri, lampioni sono riprodotti attraverso involucri di nastro adesivo dai quali sembrano state tolte le forme originarie. Queste figure vengono messe sempre in rapporto con il contesto urbano, piazzate come sono nei posti più improbabili. 

Nel tempo l’artista ha vestito i suoi involucri di nastro con dei veri vestiti e li ha posizionati in contesti inaspettati e disarmanti in luoghi pubblici. Così queste opere si trovavano un po’ dappertutto: una donna che siede sull’orlo di un tetto a Washinton, un’altra che cade da una passerella a Dublino,  un uomo che dorme sul pavimento in un angolo del museo Taubman di Roanoke,  un altro con la testa nascosta in un muro di cemento a Londra.”The Floater”, creato in Svezia a Malmö, rappresenta un uomo vestito con una felpa e in pantaloni sportivi, che giace a faccia in giù, in un canale, con alcuni palloncini sospesi in aria e legati sua cintura: sembra che i palloncini cerchino di tirare il corpo fuori dall’acqua. Questa scultura è stata creata quando Jenkins ha lanciato la sua campagna per Greenpeace, col fine di denunciare la condizione dell’orso polare, che progressivamente affonda con i ghiacci sui quali vive.

Arte di strada che stupisce e ci fa riflettere,  collocata in luoghi scelti dagli artisti; arte ambientale, dunque, visibile a tutti senza biglietto.