Pasquetta al museo

Due mostre per la gita fuori porta del Lunedì di pasquetta…

Tutte e due allestite nella Svizzera italiana, tutte due appetitose più di una colomba pasquale.

La prima al Museo d’arte di Mendrisio: Metamorfosi. Uno sguardo alla scultura contemporanea. “La mostra propone un percorso nella scultura contemporanea, creata nel segno di una forma complessa, che recupera la struttura organica e di origine naturale sia attraverso materiali tradizionali (come il legno, il bronzo, il marmo, la ceramica), sia tramite composti caratteristici della produzione contemporanea: dal silicone al vetro acrilico, dalla plastica all’alluminio. Opere accomunate da forme che attraggono la curiosità dell’osservatore per la loro complessità, eccentricità e artificialità, in maniera non dissimile da ciò che suscitavano già a partire dalla fine del XVI secolo le celeberrime Wunderkammer, i piccoli gabinetti delle meraviglie di principi e reali in cui venivano conservati, raccolti ed esibiti oggetti bizzarri e originali in grado di generare sorpresa e stupore nel visitatore”.

Un enorme cuore pulsante di materiale tessile lungo otto metri che si anima grazie a un meccanismo del tutto simile a quello umano, opera di Carlo Borer, accoglie il visitatore e in seguito nelle sale dell’ex Convento dei Serviti si dipana un percorso emozionante che passa “dalle concrezioni in argilla e lacca di Julia Steiner, alle costellazioni ornate di fiori e materiali plastici di Gerda Steiner & Jörg Lenzlinger, alle viscere tradotte in porcellana da Ai Weiwei, ai cristalli in vetro acrilico di Alan Bogana, ai coralli in cemento di Christian Gonzenbach, alle forme in vetro multicromatico di John Armleder, ai fiori oscuri e scarlatti di Luisa Figini e Rolando Raggenbass, agli alveari lignei di Mirko Baselgia, agli elementi vegetali di Christiane Löhr, alle creature in legno e terracotta d’ispirazione biologica di Lorenzo Cambin, ai due cervelli gemelli in terracotta di Claudia Losi, ai percorsi sotterranei di Meret Oppenheim, alle forme sinuose e dinamiche di Tony Cragg e Jean Arp, alle creazioni erotico-vegetali di Serge Brignoni, alle costellazioni luminose in fili d’acciaio di Penelope Margaret MackworthPraed, alle porzioni di lava artificiale di Julian Charrière, ai funghi bronzei e ai cuori di zucca in silicone di Lupo Borgonovo, alle strutture molecolari in gesso di Selina Baumann, alle ramificazioni in acciaio cromato di Loris Cecchini, alle metafore naturalistiche di Teres Wydler, concludendo con due installazioni in contrapposizione: l’aerea, filiforme moltitudine di meduse creata da Benedetta Mori Ubaldini e la composizione materica in ferro e camere d’aria di Matteo Emery”.

 

L’altra mostra al Museo d’arte della Svizzera italiana (MASILugano): Boetti/Salvo. “Vivere lavorando giocando” su due fra le figure più originali della scena artistica italiana della seconda metà del Novecento.

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Viene indagato il periodo in cui i due artisti condivisero lo studio a Torino, per poi mettere a fuoco gli sviluppi successivi e del tutto autonomi della loro ricerca.

Suddivisa in due parti la prima si concentra sul dialogo tra i due artisti in una fase, al volgere degli anni ’70, di intensissima frequentazione in una clima di radicale rinnovamento, periodo in cui entrambi si interrogano, pur con accezioni diverse, sulla rappresentazione di sé, come artisti e come individui. La seconda parte della mostra mette invece a fuoco gli sviluppi successivi della loro ricerca, condotta ormai in modo autonomo, che si concentra sull’adesione comune a temi quali l’identità, il doppio, il tempo, il viaggio.

 

Le donne dell’arte

Sandra Tomboloni
Sandra Tomboloni

Questo 8 marzo lo dedichiamo alle donne dell’arte.

E per tutte ne scegliamo tre, nate in tre momenti diversi del XX secolo. Indipendenti e determinate hanno contribuito ad inventare nuovi linguaggi nel campo dell’arte.

Meret Oppenheim
Meret Oppenheim

La prima è Meret Oppeheim, nata a Berlino nel 1913. Cresce tra la Germania e la Svizzera, dove muore nel 1983. Negli anni Trenta vive a Parigi dove frequenta il circolo surrealista . I suoi primi lavori sono dipinti, disegni e resoconti di sogni. Posa anche come modella per una serie di fotografie erotiche di Man Ray .

Meret Oppenheim,Le Déjeuner en fourrure,1936
Meret Oppenheim,Le Déjeuner en fourrure,1936

Parlando del suo lavoro e del suo ruolo di donna nel mondo dell’arte, occorre ricordare che fu lei a incitare  le donne”a dimostrare coi fatti di non essere più disponibili ad accettare i tabù che le hanno tenute in una condizione di asservimento per migliaia di anni. La libertà non è qualcosa che viene regalato ma qualcosa che bisogna conquistare” ( da Le donne e l’arte, Taschen 2004 pag. 151). Tra le sue produzioni più ricordate sono gli object trouvés, ovvero oggetti che, trovati e trasformati per essere estraniati dal loro contesto, perdono la loro funzione d’uso e mantengono solo il valore di simbolo. Tra questi oggetti surrealisti  Le déjeuner en fourrure del 1936 rimane il più famoso: una tazzina da caffè , con piattino e cucchiaio rivestiti di pelliccia.

Niki de St Phaille
Niki de St Phaille

La seconda artista è invece la francese Niki de St Phaille. Nata nel 1930 a Parigi, Niki fece parte del gruppo dei Nouveau Realistes. Ebbe un’infanzia difficile e fuggì dalla sua famiglia. Lavorò fin dai primi anni Sessanta, con opere di assemblage e  per mezzo di happening. E’ del 1966 il suo lavoro “Hon” che significa “Essa”, in svedese. L’opera fu presentata al museo Moderna Musset di Stoccolma ed è composta da  una gigantesca scultura rappresentante una donna multicolore sdraiata con le gambe aperte. I visitatori sono invitati ad entrare attraverso la sua vagina  per vivere esperienze prenatali.  Dopo Hon, Niki continua a lavorare attorno a  figure femminili gigantesche, chiamate Nanas. Al centro del suo lavoro rimane sempre il mito del corpo femminile come luogo di mistero insondabile.

Niki de St Phalle, Hon, 1963
Niki de St Phalle, Hon, 1963

La terza artista invece è una figura a noi contemporanea. Una donna meravigliosa, piccola piccola, che vive nei dintorni di Firenze, a Pontassieve, e si chiama Sandra Tomboloni. Parlando di Sandra si deve parlare delle sue mani sempre in movimento e intente nel lavoro. Lei stessa dice: “la mia vita è come un’aereo che non decolla mai. ho paura della vita. Io ho bisogno di lavorare, il lavoro nasce per me da una necessità, quella di esserci; il mio lavoro è il mio vestito”.

Sandra riveste col pongo tanti oggetti di recupero,  lavora la creta e ricama. Il suo lavoro è come un lievito che riempie il vuoto; è la forma dei suoi pensieri e della sua fragilità. Le sue sono opere con “la febbre”; perché raccontano un flusso di immagini continuo. Il suo è un immaginario elementare, semplice; è un groviglio di colore e materia, quasi un mondo inventato che copre e riveste la realtà.

Sandra Tomboloni, prato, 2010
Sandra Tomboloni, prato, 2010

Con queste tre artiste abbiamo attraversato un secolo che ha inizialmente visto le donne escluse persino dai salotti artistici, per non parlare dall’arte stessa , per poi cominciare a lottare e riuscire ad affermarsi a pieno titolo nella storia dell’arte moderna.