Urgenze per l’arte

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Ci sono due notizie che uniscono le competenze dell’arte alle urgenze del nostro tempo e che mi hanno dato fiducia e speranza in questi giorni. La prima riguarda l’avvio dei lavori per il nuovo ospedale di Emergency, avvenuto la settimana scorsa in Uganda: a Gino Strada stavolta si è unito Renzo Piano. Si, sarà proprio il grande architetto italiano a progettare  quello che diventerà un centro di eccellenza in chirurgia pediatrica sul Lago Vittoria non lontano dalla capitale Kampala.imgres

La seconda notizia invece è un progetto più piccolo che viene dal mondo dell’arte. Il collettivo AMP Art, infatti, che lavora nel connettere architettura, antropologia e attivismo, ha dato vita a un progetto, in Inghilterra, dal titolo OVA INE: Refuge/e . Il progetto ruota attorno a una tenda per rifugiati, che arriva direttamente dal Libano, costruita usando una combinazione di materiali poveri locali come il gesso e vecchi pannelli pubblicitari di plastica.8343020-13071243

Questa tenda viaggerà per tutta l’Inghilterra e sarà uno spazio pubblico dove si potranno ascoltare le storie (registrate) di tanti rifugiati. Frammenti della loro vita e delle lotte quotidiane per la sopravvivenza. Un modo per cercare di comprendere una  condizione di vita lontanissima dalla nostra esperienza. La tenda sarà inizialmente ospitata dallo Yorkshire Sculture Park nel periodo 16-26 marzo.

  

Rammendi

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Kader Attia

La terra trema. In Italia tutto sembra diventato fragile, ascolto per radio le notizie e vedo le immagini di luoghi che non ci sono più e di monumenti distrutti.

Il futuro da ora in poi è  fatto di “rammendi”. Ricordo che l’architetto Renzo Piano un po’ di tempo addietro ha usato questa parola scegliendola per spiegare quali interventi occorra  fare nelle nostre periferie. il suo intervento parlava di “rammendare le nostre periferie con i centri delle città”.  I rammendi ora li dobbiamo fare dappertutto nei piccoli centri senza periferie, tra i diversi monumenti.

Cerco nell’arte per scegliere un’ immagine che possa venirmi incontro per questo momento angoscioso. L’immagine la prendo dall’artista Kader Attia. Lo scelgo perché l’artista francese di origine algerina lavora sul concetto di riparazione. La prima volta che ho visto il suo lavoro, era un paio di anni fa alla Biennale di Lione,  Attia  aveva ricucito le spaccature del vecchio pavimento di cemento.  Bellissima idea, l’opera è dura come un cicatrice ma ogni punto è anche la ricerca e la speranza di ricostruire l’intergrità perduta. Il tentativo di ricucire tutti gli strappi e lacerazioni di questa terra malridotta.

In vacanza a ritroso nel tempo

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Fondazione Beyeler

Se c’è un museo che ti fa sentire in vacanza non appena vi entri, è la Fondazione Beyeler a Basilea. Mai come in questo Museo l’architetto Renzo Piano ha saputo sfruttare e valorizzare lo spazio a sua disposizione. Le mostre vi si godono appieno e la visita è come una passeggiata dove la luce e lo spazio rendono tutto piacevole. Certo il museo lo sa e si fa pagare caro, ma ne vale sempre la pena.

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Maria Vasilyeva, Rooftops, 1915

In questo momento, e fino al 10 gennaio, c’è una mostra dal titolo un po’ lungo, che potrebbe scoraggiare. Invece è da non perdere. Si intitola: In Search of 0,10 -The Last futurism Exhibition of Panting 0,10. Vedrete la ricostruzione di una mostra che si è  tenuta a San Pietroburgo esattamente cento anni fa. La mostra si intitolava, appunto, The Last futurism Exhibition of Panting 0,10. Dopo una ricerca non facile sono state di nuovo riunite  molte delle opere  di quella mostra, fornendo una vista d’eccezione sul panorama artistico russo di quel periodo. Troverete opere legate al  futurismo e al cubismo; ma soprattutto la  mostra fu molto importante perché segnò lo spartiacque tra la ricerca artistica  di Kasimir Malevic e quella di Vladimir Tatlin. Infatti, nel 1915, i due esposero una ventina di opere ciascuno e, dopo  aver  avuto un inizio simile, si separano definitivamente per  abbracciare due modi di intendere l’arte profondamente diversi. Malevich presento’ in mostra l’opera Quadro nero su fondo bianco e traccio’ le linee dell’arte astratta, non oggettiva ma che crede nella  supremazia della sensibilità pura ( sempre nel 1915 Malevic a San Pietroburgo firmerà il manifesto del Suprematismo e enunciando così la sua poetica), mentre Tatlin, al contrario, colloco’ le sue opere in una sezione distinta, ricercando un arte che si legava alla tecnica e voleva essere legata alla vita reale e al suo uso nella società.

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The Last Futurist Exhibition of Painting, 0,10, Pietroburgo, 1915

Ancora oggi ce lo chiediamo: l’arte deve stare dentro la società e servire ad essa come voleva Tatlin, oppure deve abbandonare le immagini della realtà, la “zavorra dell’oggettività”, per toccare le vette della sensibilità pura? Sporcarsi le mani con la concretezza della realtà, come desiderava Tatlin, o cercare invece il nucleo pulsante dell’arte nella purezza dell’astrazione?

Sono passati cento anni ma in questa mostra si ritrovano temi e opere che possono considerarsi delle chiavi di volta per tanta arte dei decenni successivi e anche per l’arte di oggi.

Mecenati precursori della storia dell’arte

Gertrude Vanderbit Whitney
Gertrude Vanderbit Whitney

I mecenati sono imprevedibili. In questi giorni si dibatte a Ginevra sull’opportunità di accettare la donazione del signor Jean Claude Gandur, che vorrebbe collocare le sue importanti collezioni di arte antica e moderna presso il Museo di Arte e Storia di Ginevra, offrendo 40 milioni di franchi per sostenere l’ampliamento e il rinnovamento del museo. Qualcosa del genere accadde nel 1918 a New York, con un esito carico di conseguenze. La scultrice e magnate Gertrude Vanderbilt Whitney voleva donare 500 opere di arte americana al Metropolitan Museum, che rifiutò l’offerta. Così creò quello che sarebbe divenuto il Whitney Museum, che fu inaugurato nel 1931.

Da quel momento il Whitney è divenuto un luogo dedicato alla storia dell’arte americana ma anche l’istituzione che attraverso mostre e acquisizioni, promuove artisti viventi .

imagesOggi il Whitney Museum ha subito una nuova trasformazione, e il nostro più grande architetto, Renzo Piano, è stato invitato a progettare un nuovo museo in grado di ospitare al meglio la grande collezione, passata nel frattempo da 500 a 21.000 pezzi.

L’invito a Renzo Piano è stato fatto nel 2004 e da poco più di un mese si è aperta la nuova sede.images

Il nuovo museo si trova ora nel Meatpacking District, la zona dove si trovano i mattatoi e il mercato di carni della città. L’edificio si affaccia da un lato sul fiume Hudson e dall’altro sul termine della High Line, una linea ferroviaria elevata ormai in disuso trasformata in un camminamento pedonale.

Dovendo tradurre in immagine l’edificio Renzo Piano ha scritto è una grande fabbrica, sollevata da terra, che da un lato guarda verso l’acqua e dall’altro verso la città”. Otto piani, a sud gli spazi espositivi a nord gli uffici: all’interno anche un teatro e spazi dedicati a laboratori educativi.

Sul lato est del museo si vedono i diversi piani “come in uno ziggurat che degradano verso la High Line e Washington street mentre la massa dell’edificio aumenta verso il fiume Hudson. Ogni piano ad est, si affaccia su una terrazza che si può utilizzare come sala espositiva all’aperto. L’edificio è rivestito d’acciaio in correlazione con il quartiere costituito per lo più da edifici industriali in mattoni e metallo, per gli interni invece è stato scelto il cemento a vista.

Io sono tra coloro che ancora non hanno visto il nuovo museo Whitney ma che hanno potuto avere tra le mani il catalogo di Renzo Piano. Ho apprezzato molto la scelta di farlo in italiano-inglese, un gesto di rispetto per la nostra identità culturale. Si, perché l’Italia merita rispetto in campo culturale ma a volte sembra distratta. Fatemi fare un esempio: che ne è della lingua italiana nella nostra famosa Biennale di Venezia e dove sono stati rilegati i nostri artisti? Sono nel canalino di coda dell’ Arsenale e con questo abbiamo detto tutto.

L’arte dà senso ad un luogo

E’ di questi giorni l’inaugurazione all’Aquila dell’auditorium progettato da Renzo Piano. Tre anni dopo il terremoto nasce  (con il contributo economico della Provincia di Trento) un luogo per ascoltare la musica, incontrarsi per conferenze e anche per assistere a proiezioni.  Uno spazio concepito come uno scrigno prezioso, non a caso definito un “piccolo gioiello” che, come capita spesso all’arte, non ha mancato di suscitare assieme al consenso anche qualche polemica, per il costo elevato e per la convinzione di alcuni che con quei soldi si sarebbe potuto fare altro.
Siamo avvezzi a queste polemiche, anche se mi domando quanto siano intelligenti: ogni volta che un’opera d’arte (in senso ampio, di tutte le arti) arricchisce una città, questa sarà una ricchezza per tutti. Ricchezza per tutte le fasce d’età per il fatto di essere pubblica e fruibile da tutti.
Allora gli esempi si affollano nella mia mente e penso a cosa sia voluto dire per la città di  Bilbao, anche in termini di visitatori, il museo Guggenheim,  opera dell’architetto Frank Gehry.Oppure penso alla città francese di Metz col nuovo centro Pompidou, realizzato dall’architetto giapponese Shingeru Ban. Anche qui in Svizzera la nostra gloria italiana, Renzo Piano, ha lasciato non pochi segni sul territorio, come il bellissimo  Museo di Klee a Berna o la fondazione Bayeler a Basilea.

Lo sdegno iniziale dei cittadini che accolgono un nuovo progetto d’arte si trasformerà, in un momento successivo, in orgoglio e passione per la sua conservazione. A questo proposito, mi viene in mente la piccola cittadina di Riola, in provincia di Bologna, che nella seconda metà degli anni Sessanta accolse il progetto per una chiesa del grande architetto finlandese Alvaar Alto. Quella chiesa, nella sua concezione moderna del sacro, è sempre rimasta un luogo di incontro per tantissimi appassionati d’arte e fede.


E come l’architettura, così fa anche l’arte plastica. Pensiamo a Prato: la grande scultura di marmo bianco di Henry Moore è diventata infatti il simbolo della città.


Ben vengano i soldi spesi nel campo dell’arte quando naturalmente a scegliere i progetti c’e’ chi la conosce e  sa dove stia di casa.