Finito Carnevale é tempo di Quaresima!

Baccalà in umido… e siamo già in Quaresima, quel tempo che per i cristiani è un periodo di preparazione ai misteri pasquali.

Quest’anno le settimane quaresimali (5) sono vicinissime al Natale, che sembra appena passato, poiché la Pasqua è molto “alta”, come si dice, e cadrà il 31 di marzo.

Dicevamo della Quaresima, tempo di conversione e purificazione per antonomasia, celebrato fin dall’antichità.

Vorremmo porre l’accento su “purificazione” che comprende non solo la purificazione dell’anima, ma anche quella del corpo.

Nella nostra bella Italia, infatti, terra di ghiottoni ed edonisti sono nate le migliori e più succulente ricette “di magro” che conciliano proprio questa necessità di “purificazione” del corpo con il precetto dell’astensione da cibi grassi e carni che la tradizione quaresimale richiede.

Scavando nei ricordi della mia famiglia e facendo qualche ricerca vorrei proporre oggi una ricetta “quaresimale” che utilizza un ingrediente principe della tradizione dei piatti di magro: il baccalà. Il baccalà per i pochi che non lo sanno, è merluzzo conservato sotto sale e si differenzia dallo stoccafisso, che è comunque merluzzo, perché quest’ultimo è essiccato.

Comunque per utilizzare sia l’uno sia l’altro è necessario “spugnarli” (come diceva la mia prozia salernitana) cioè farli “riprendere” lasciandoli sotto l’acqua fredda corrente almeno per un giorno prima della cottura.

1 chilo di baccalà “spugnato”,

farina,

mezzo chilo di pomodori pelati,

un cucchiaio di capperi,

aglio,

50 g di olive nere snocciolate

un mazzetto di prezzemolo,

olio d’oliva,

peperoncino,

sale.

Infarinare il baccalà e farlo dorare in abbondante olio d’oliva caldo (questa volta olio di oliva anche per la frittura perché il baccalà ha un sapore molto forte che ben si adatta al sapore forte della frittura con olio di oliva).

Preparare una salsetta con aglio soffritto nell’olio, versare il pomodoro sminuzzato e far cuocere per una decina di minuti.

Aggiungere poi il baccalà fritto, le olive, i capperi e il peperoncino.

Lasciare insaporire, cuocendo per circa 30 minuti a fuoco lento e poi cospargere con prezzemolo tritato.

La variante per avere un piatto completo è quella di aggiungere nel sughetto, dieci minuti prima del baccalà, mezzo chilo di patate tagliate a dadini.

Piatto antico, succulento e di magro.

Un morso tira l’altro!

piadinaStiamo per essere letteralmente ricoperti dalla neve… Fuori è grigio e triste, il freddo ci morde senza pietà… questo è il tempo perfetto per cucinare e per mangiare senza troppi sensi di colpa, magari accoccolati sul divano davanti al caminetto in compagnia di un bel giallo, ascoltando musica. Con questo programma persino l’inverno diventa tollerabile!

La soluzione per cucinare qualcosa che non sbrodoli ce l’ho… no non è la pizza (ho detto che non deve sbrodolare!), sto pensando ad una signora della cucina regionale: la piadina!

Una signora molto antica se è vero che, come la pizza, a suo modo la piadina è figlia della “mensa” romana, già citata da Virgilio nell’Eneide, con la quale si designava un disco di pane piatto che si metteva in tavola all’inizio del pasto e sul quale venivano servite le carni e le altre pietanze. Questa focaccia schiacciata, di solito azzima, fu consumata per tutto il Medioevo e il Rinascimento dalle classi più povere della popolazione italiana.

Ma il secolo d’oro della Piadina è il XX secolo, per l’esattezza gli anni 50’ che vedono insieme al boom economico anche il diffondersi dei bagni di mare sulla costiera Romagnola. Qui, casa della piadina, essa ora come allora viene ancora confezionata nei chioschetti sui bordi delle maggiori strade, cotta sul momento e riempita con i fantastici salumi della tradizione, ma anche con formaggio e verdure.

Il nonno Elviro, romagnolo doc (il cui nome rendeva omaggio alla tradizione della sua terra di attribuire ai bambini nomi inusuali quali Menotti, Oberdan, Valmore o Iorio), sosteneva che ogni azdora, cioè colei che accudiva la casa e preparava i cibi nell’antica famiglia contadina, aveva una ricetta segreta per impastare la piadina ed è per questa ragione che diamo qui la ricetta in linea generale, ma essa dovrà cambiare a seconda di parecchie variabili che vanno dallo spessore della farina, al calore delle mani di chi impasta, alla durezza dell’acqua, all’utilizzo dello strutto o dell’olio…

Per cuocere la Piada sarebbe necessario il Testo una sorta di pentola in coccio che diventava incandescente e rendeva la pasta dorata. Credo di aver visto questo magico arnese solo una volta in vita mia… dunque ingegnatevi e lasciate spazio alla fantasia per cuocere la piadina (pentolino da crèpes, fornello elettrico o quant’altro). L’importante sarà bucherellare con la forchetta le bolle che si formeranno sulla superficie dorata in modo che la pasta risulti tutta uniformemente cotta.

1 chilo di farina (preferite il tipo “0” al fior di farina “00”)

100 gr. di strutto (può essere sostituito dall’olio di oliva, ma il purista inorridirebbe)

un pizzico di sale

acqua o latte quanto basta (con il latte diventa più morbida)

Per rendere la piadina più morbida si può aggiungere un po? Di lievito (25 g per chilo o un paio di cucchiaini di bicarbonato)piadina 2

Dopo aver messo tutti gli ingredienti insieme incominciate a impastare finché non avrete un risultato bello elastico. Dividete la pasta in pagnottelle e lasciate riposare il tutto coperto con un panno per almeno mezz’ora.

Stendete le pagnottelle con lo spessore che preferite e cuocete rapidamente.

Ricordate che la classica piadina è quella che si accompagna al prosciutto crudo, ma le varianti sono infinite… sbizzarritevi!

Il regalo più curioso

Il regalo più curioso  che ho ricevuto per questo Natale è un libro:

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Si fa presto a dire cotto di Marino Niola, pubblicato da Il Mulino.

Appena l’ho aperto, me lo sono divorato con gusto e divertimento. Siete curiosi di capire da dove vengano alcuni nostri modi di comportarci a tavola? Di sapere perché abbiamo certe tradizioni culinarie? Questo libro ve lo spiega.

L’autore, Marino di Niola, è un professore di antropologia dei simboli e dell’alimentazione. Il libro scorre in modo piacevole e vi farà riflettere su tanti aspetti di vita quotidiana legata al cibo, da noi presi per dati ma che discendono da precisi modelli culturali. Ad esempio, ogni cultura ha il suo modo di associare i sapori e di creare successioni tra un tipo di cibo e l’altro. Un europeo seguirà sempre questo ordine: dal salato verso il dolce  con delle associazioni tipiche come la carne con le patate. Sono delle convenzioni dentro le quali, secondo le diverse culture, si sviluppa un modello di alimentazioni ordinata e corretta.

Il libo parla di alimentazione anche attraverso le espressioni ad essa legate, traendone le verità che le sottacevano nel momento in cui venivano formulate e adottate dai più.  Espressioni  quali “secco come un acciuga” o “ Magra come una sardina”, ad esempio, dicono di come il pesce azzurro fosse un tempo considerato il simbolo della povertà in cucina e sono specchio di una società ben diversa da quella odierna.

Nel libro c’è anche una sezione intitolata Italians. Vi si ripercorrono i piatti più tipici del nostro paese come la pizza, i maccheroni, il ragù e così via (non manca nemmeno il mitico espresso).

Non ci sono ricette in questo libro, solo riflessioni attorno ai nostri costumi e alla storia dell’alimentazione, con le sue implicazioni sociali. Prendete, ad esempio, l’invenzione della pasta fredda: oltre ad essere stata la rivincita delle farfalline, è anche stata la rivincita delle donne italiane che, grazie alla possibilità di preparare un piatto (con l’ingrediente tipico della nostra cucina) che si può conservare e consumare in tempi diversi, si sono viste liberare tempo per altre attività (anche lavorative, naturalmente). Pasta fredda uguale libertà per le donne: sarà mica per questo che mia nonna non l’ha mai apprezzata e l’ha sempre ostacolata in famiglia?

 

 

British Christmas

Christmas puddingSi dice che fu Sant’Agostino, una volta sbarcato in Inghilterra, a importare sull’isola la tradizione del Natale. Era il 568 o giù di lì e gli Angli, come sempre accade, non sostituirono le loro credenze e le antiche tradizioni, le fusero con le nuove creandone di originali. Ad esempio, l’usanza di baciarsi sotto il vischio o usare l’agrifoglio come centrotavola porta fortuna e deriva dalla millenaria tradizione druidica.

Strana terra l’Isola, sulla cena di Natale si racconta che nel medioevo un notabile fece cuocere una pie (una torta) di nove piedi di diametro  (quasi tre metri), pesante 75 chili i cui ingredienti comprendevano oltre a due sacchi di farina e una quantità impressionante di burro anche 4 oche, due conigli, 4 anatre selvatiche, 2 chiurli, 6 piccioni, due lingue di bue, 7 corvi, beccacce, beccaccini e pernici…

Per fortuna a Natale in UK oggi si mangia un po’ più leggero! Il tipico Christmas Dinner include tacchino arrosto, o oca, cavoletti di Bruxelles, patate arrosto, salsa di mirtillo, salsicce arrotolate nella pancetta e sebbene alcuni affermino che la tradizione del tacchino fu introdotta da Enrico VIII (ma quante ne ha combinate…), pare che invece essa sia figlia del benessere del ventesimo secolo.

La cosa però nella quale gli inglesi sono insuperabili sono i dolci, a Natale la tavola ne é ricoperta e fra tutti spicca il Christmas pudding bomba calorica che si mangi con la crema al brandy.

Una specie di babà ai frutti canditi  all’interno del quale la tradizione vuole sia inserita una monetina d’argento che porterà fortuna e danaro a chi la troverà sotto i denti (a meno che non se li rompa…)

Eccovi dunque la ricetta del famoso Christmas Pudding

500 g di frutta secca assortita

60 g di prugne tritate

45 g di ciliegie candite tritate

60 g di mandorle tritate

40 g di carote grattugiate

stampi per pudding

40 g di mele grattugiate

scorza e succo di un’arancia

3 cucchiaini di melassa

3 cucchiaini di brandy

1 uovo

60 g di burro sciolto

60 g di zucchero poco raffinato

un  pizzico di peperoncino

60 g di farina

60 g di pangrattato

Unite tutta la frutta in una ciotola con il brandy eil succo di arancia. Al composto aggiungete l’uovo, il burro ben morbido, lo zucchero, la farina , il peperoncino e il pangrattato, Amalgamate bene e lasciate riposare almeno mezz’ora al fresco.Riempite con il composto uno stampo da pudding (assolutamente introvabile fuori dall’Isola, ma un pentolino andrà benissimo anche se non darà al pudding la classica forma a palla di Natale…) e cuocetelo a bagnomaria per 6 ore a fuoco molto basso. C’est tout¨La guarnizione naturalmente sarà l’agrifoglio e dovrete incendiarlo con un cucchiaio di brandy prima di servirlo con altro brandy e crema!

Chiacchiere del lunedì

Prova mafaldeEccoci alle soglie del fatidico pranzo di Natale.

Organizzato e studiato nei particolari in molti paesi, l’appuntamento acquista un carattere molto speciale, se sei una tipica famiglia italiana.  Sì, perché per me il pranzo di Natale è un po’ la faccia del nostro paese. Non so se sono di parte, ma il pranzo  di Natale (o la cena della vigilia) è uno di quegli appuntamenti dove può capitare di tutto. La tradizione  vuole tenere duro, nonostante i cambiamenti nella società;  ma se in nonni in salute cercano ancora di fare da registi della giornata, sempre più le pietanze tradizionali, come i tortellini in brodo o il bollito (almeno da noi in toscana), stridono con i gusti dei più giovani. Ma si sa, è il pranzo di Natale e allora cerchiamo tutti di rimanere dentro a ciò che si è fatto per decenni. Dopo il pranzo, c’è lo scambio dei doni e se siete come la mia famiglia  quello è il momento più confusionario del giorno: più che scambio sembra un arrembaggio, tutto si svolge in pochissimo tempo  e alla fine non si capisce chi ha donato cosa. Ogni anno ciò mi colpisce di più è il fatto che quel giorno, come per magia, siamo tutti un po’ sopra le righe e manteniamo un po’ di ansia da performance, cerchiamo di essere simpatici, forse un po’troppo simpatici,  allegri, forse un po’ troppo allegri, è così i bambini della casa, i più festeggiati ma anche i più sensibili alle emozioni, finiscono quel giorno per essere irritabili e scontrosi.

Credo che per tutti noi italiani sia la stessa cosa. Le tradizioni impongono che almeno un giorno all’anno vengano deposte le armi in famiglia… ma quanti di voi hanno l’impressione che si tratti solo di fare buon viso a cattivo gioco? Tanto che proprio durante i pranzi di Natale spesso si scatenano quei sentimenti a lungo sopiti o nascosti che portano inevitabilmente alla “tragedia” familiare, dove tutti si azzuffano con tutti. Segreti, veleni, bugie familiari si scatenano, la miccia è corta, basta una parola sbagliata, per dare fuoco alle polveri, tuttavia, nonostante tutto la famiglia rimane un rifugio. Certo i coraggiosi che restano fino al panettone si alzano da tavola con un senso di soddisfazione totale… “anche quest’anno ce l’abbiamo fatta”!  

Niente paura: l’effetto scompare quasi subito  e in men che non si dica ci ritroviamo  a pensare quanto sia importante e bello il giorno di Natale per noi, per i nonni e per i nostri figli. Però tutto cambia, la società è in grande trasformazione: pensate che riusciremo anche a sotterrare il bollito?

… ah! Le chocolat

Il divano di cioccolato di Prudence Staite
Il divano di cioccolato di Prudence Staite

Mentre attorno a noi si scatenano gli elementi (e non mi riferisco solo a quelli atmosferici) il mio pensiero corre a qualcosa che ci fa stare bene, che secondo molti scienziati stimola le endorfine e ci procura un immenso piacere (oltre che chili di troppo e brufoli): la cioccolata.

Secondo un recente studio, condotto, neanche a dirlo, da uno scienziato svizzero e pubblicato sul New England Journal of Medicine, la cioccolata oltre a farci stare bene stimolerebbe anche l’ingegno e faciliterebbe l’aumento dell’intelligenza. Il dottor Franz Messerli, infatti ha messo in relazione il consumo di cioccolata di un paese con la vincita di un premio Nobel. In cima alla classifica si sono posizionate, naturalmente, la Svizzera, la Svezia e la Danimarca… Nel mezzo della classifica gli Stati Uniti e la Germania e fanalini di coda la Cina e il Brasile (non sono riuscita a scoprire la posizione dell’Italia in questa classifica…).

Lo studio spiega ancora “in Svizzera si mangiano 120 tavolette di cioccolata da 85 grammi ciascuna pro capite all’anno” e questo consumo starebbe in relazione alla vincita di un Nobel. È chiaro che lo stesso Messerli riconosce l’assurdità di questa idea e si spinge a dire che anche in altre occasioni scientifiche si è giunti a risultati privi di logica sebbene tutti i dati sembravano poter dimostrare la tesi.

… E allora che significa tutto ciò?

La spiegazione è piuttosto semplice: il consumo nazionale di cioccolato è da mettere in relazione alla ricchezza e al benessere di un paese e la qualità della ricerca e la seguente maggiore possibilità di vincere un Nobel non devono essere messe in relazione con il consumo nazionale del cioccolato quanto alla ricchezza di cui il consumo stesso è la dimostrazione.

Dunque dopo aver rimescolato un po’ le carte ci rimane solo la sicurezza che purtroppo la cioccolata fa davvero ingrassare (troppi grassi e zuccheri), ma se mangiamo quella nera, la meno raffinata, i ricercatori assicurano che gli antiossidanti che contiene potrebbero sicuramente dare benefici al cervello.

Che dire? Anche questa volta ci è andata male…

Natale in… Svezia

Antica cartolina di Natale

Con questo primo Venerdì di dicembre inauguriamo una rubrica che ci porterà fino all’anno nuovo e che ci è sembrata divertente. Vogliamo descrivere, attraverso ricette ad hoc, le tradizioni natalizie di altri paesi, magari chiedendo consiglio e aiuto a chi conosciamo.

Vogliamo iniziare con la Svezia perché da lì provengono un sacco di amici! La situazione è la seguente: noi, italiani, mediterranei, abbronzati d’estate, olivastri d’inverno, che durante le vacanze all’una del pomeriggio ci chiediamo ancora cosa cucinare; loro, biondi, eterei, slanciati, con profondi occhi azzurri, che alle otto di mattina già tornano dallo jogging…

Noi con i cappelletti in brodo, il cappone, gli struffoli e il presepe; loro con la carne di renna, le aringhe e l’immancabile albero di Natale (il Kungsgran, l’abete del Caucaso), ma tutti rigorosamente in famiglia.

Se per noi è immancabile il cenone di magro la Vigilia e il pranzo di Natale, per loro sacrosanto è  il julbord il buffet delle feste in cui le aringhe (marinate in 100 modi diversi) sono regine, ma sul quale non manca il prosciutto al forno, il gubbröra (salsa di uova e acciughe), le salsicce, i paté, innaffiati dalla birra e dall’acquavite, e naturalmente  dal glögg, il saporito vin brulé svedese, con uvette e mandorle (che squisitezza!)

Per farvi assaporare tutto il gusto delle feste svedesi abbiamo deciso di darvi la ricetta di due dolci che si gustano a Santa Lucia quando in Svezia si aprono ufficialmente i festeggiamenti del Natale: i Saffransbullar, le tipiche brioches allo zafferano e i Kanelbullar, le brioches alla cannella.

Saffransbullarsafranbullar

700 g di farina,

150 g burro,

25 g di lievito di birra,

1,5 g di zafferano,

3 dl di latte,

150 g di zucchero semolato,

uva sultanina,

un pizzico di sale

1 uovo per spennellare

In una pentola fate sciogliere il burro, il latte e aggiungete lo zafferano portando tutto all’ebollizione, togliete dal fuoco e fate raffreddare. Aggiungete tutti gli altri ingredienti (tranne uvetta e uovo che serviranno alla decorazione) e lavorate l’impasto finché non è morbido. Copritelo e fatelo lievitare un’ora al termine della quale create delle briochine a forma di s oppure di 8, spruzzatele con l’uva passa precedentemente ammorbidita in acqua calda e spennellatele con l’uovo. Vanno cotte per 10 minuti in forno a 220 gradi.

Kanelbullarkanelbullar

450 g di farina

100 g di zucchero

un quarto di litro di latte

75 g di burro

25 g di lievito fresco

1 cucchiaino di cardamomo macinato

un pizzico di sale

zucchero a granella

per la il ripieno

50 g di burro

50 g di zucchero di canna

1 cucchiaio di cannella

Sciogliete il lievito nel latte tiepido. Mescolate farina, zucchero,  cardamomo e sale, aggiungete il burro fuso e il latte col lievito e lavorate fino ad ottenere una bella pasta liscia che coprirete e farete lievitare (deve raddoppiare il volume).
Stendete la pasta a un’altezza di mezzo centimetro e spennellatela con il burro unito allo zucchero e alla cannella. Arrotolate la pasta e tagliate delle girelle di pasta alte 3 centimetri che poste sulla carta forno sulla piastra dovranno lievitare ancora per mezz’ora. Al termine mettete tutto in forno preriscaldato a 190 gradi per una ventina di minuti.

A questo punto non possiamo che augurarvi God Jul, Buon Natale

Chiacchiere del lunedì

… metti una sera a cena con delitto

Grazie, grazie a tutti coloro che hanno partecipato e contribuito con allegria alla cena con delitto organizzata sabato scorso. La cena è stata per noi una doppia occasione, incontrare tanti italiani che abitano come noi in Svizzera e realizzare una raccolta fondi per sostenere il Centro San Giuseppe di Addis Abeba in Etiopia. Il centro San Giuseppe è un luogo per assistere e sostenere tante famiglie povere di Addis Abeba. Il Centro garantisce fra le tante cose un supporto scolastico ai bambini, un’assistenza sanitaria e avviamento al lavoro per le fasce più povere della città.

La serata è stata per me ed Enrica la prima occasione di un incontro fuori dalla rete e mi sono convinta che se il blog è un bellissima opportunità di scambio ancor più  bello è parlarsi e incontrarsi  di persona.

L’obiettivo è stato raggiunto… tanti vecchi e nuovi amici riuniti insieme hanno reso questo evento indimenticabile! 

Il pretesto del delitto tratto da una storia di Agatha Christie ci ha fatto divertire. Abbiamo visto persone disposte a giocare e pronte e fare di tutto per stare bene e far divertire gli altri: così rispettosissimi italiani si sono trasformati in palme, barche, vicari, modelle, miliardari in carrozzina e tanti altri personaggi disegnati dalla penna della giallista. Abbiamo visto morti improvvisati che “galleggiavano all’orizzonte” sui tavoli e scanzonati ragazzi a pesca o in bicicletta così in un’atmosfera esotica e fatta di colpi di scena abbiamo trascorso una serata memorabile.

La serata è trascorsa in un attimo, anzi quasi troppo velocemente.  E per la bella atmosfera che si è creata vi vogliamo ancora una volta ringraziare di cuore, tutti! Vi faremo avere notizie dal Centro San Giuseppe, e chi di voi voglia collaborare ancora al benessere di bambini e mamme di Addis Abeba ci può contattare, vi daremo tutti gli estremi per continuare questa bella cooperazione!

 

Dolce autunno

Se cercate tronco di castagne, rotolo di castagne o salame di castagne e via dicendo vi appariranno sul web un bel numero di risultati. Tante ricette sicuramente gustosissime, ma tutte elaborate e complesse. Nessuna delle ricette che ho letto dava le dosi di quello che in famiglia corrispondeva al tronco di castagne, dessert assolutamente autunnale, irripetibile in altri periodi dell’anno, che mia suocera sfoggiava in tutte le ricorrenze più importanti!

Ho detto sfoggiava, sì, perché lei lo faceva alla vecchia maniera, sbucciando le castagne, facendole bollire spellandole con delicatezza affinché non si rompessero, passando così una mezza giornata dietro quella che sarebbe stata la degna conclusione di una cena con i fiocchi!

Io sono un po’ pigra, non ho voglia di buttarmi in complicati procedimenti e soprattutto ho trovato qui i marroni già bolliti e sbucciati… Il risultato è stato che il rotolo di castagne compare molto più sovente sulla mia tavola ed ogni volta ringrazio mentalmente la nonna Nina che lo ha tramandato.

Saltato lo scoglio della preparazione delle castagne il resto è davvero moto semplice.

È necessario avere

500 g di marroni bolliti e sbucciati (quelli già pronti come ho detto vi faranno risparmiare tempo e andranno benissimo)

125 g. di burro

150 g. di zucchero (ma la dose può variare secondo il vostro gusto)

una tavoletta di cioccolato fondente

biscotti sbriciolati (ma io non li metto e ricordo che la nonna Nina li metteva solo se le sembrava le castagne non fossero abbastanza)

un cucchiaio di marsala (ma io non lo  metto)

In una terrina schiacciate con lo schiaccia patate le castagne, aggiungete il burro sciolto con la tavoletta di cioccolato di cioccolato e lo zucchero. Mescolate ben bene aggiungete biscotti e marsala se lo gradite.

Arrotolate il composto nella carta forno e mettetelo in frigo!

Finito!

Quando lo vorrete mangiare a fette spesse potrete guarnirlo con: cioccolata fondente sciolta,

panna zuccherata o panna acidulata mescolata a zucchero a velo!

Non vi rivelerò il contenuto calorico del tronchetto (che è veramente devastante), ma non vi sembra un’opera d’arte?

Ah… non ho fatto in tempo a fare la foto… troppo buono!

Chiacchiere del lunedi

Le origini della festa di Halloween per gli anglosassoni si perdono nella notte dei tempi quando i popoli Celti festeggiavano la fine della stagione calda e l’inizio del nuovo anno. La notte fra il 31 di ottobre e il 1° di novembre era tradizionalmente anche il momento in cui  le anime dei morti tornavano sulla terra, con streghe, demoni e fantasmi. I Celti allora lasciavano in omaggio a queste anime cibo e bevande sulla tavola in modo che esse non tirassero loro dei brutti scherzi durante l’anno. Il passaggio dalla tradizione celtica a quella cristiana si attesta intorno all’ VIII secolo grazie all’opera di alcuni vescovi Franchi che ravvisarono in questa festività pagana una stretta connessione con la festa di Ognissanti che si festeggia il 1° novembre e la commemorazione dei defunti del 2 novembre. La patina di occultismo di cui è stata rivestita la festa di Halloween appartiene invece all’epoca moderna.

Le discussioni di questa settimana su Halloween no, Halloween sì  mi hanno lasciato interdetta. Forse perché per molti anni ho avuto una vicina di casa americana che mi ha fatto scoprire il senso di questa festa, non riesco a vederci niente di male.

Ecco, infatti vorrei riuscire proprio a capirla! Per me è una forzatura, una tradizione che non mi sembra ci appartenga…

In un mondo come il nostro dove tutto si va mescolando cibi, modi di pensare e di essere si deve trovare un compromesso fra il riuscire a mantenere vive le nostre tradizioni ma senza avere timore di quelle diverse. Ben rimanga viva la  festa dei morti e dei santi, ma che male c’è se si trascorre  una giornata ad incidere zucche e raccontarci storie di paura?

In epoca di globalizzazione è assolutamente corretto dare spazio alle contaminazioni… ma io mi ci ritrovo stretta!

A dire la verità, anch’io vestita da strega o da scheletro in giro per Ginevra la notte di Halloween proprio non mi ci vedo ma quando i bambini mi suonano il campanello, mi diverto un sacco a far loro un po’ paura e poi a regalare le  caramelle e cioccolatini.