Dell’immortalità

La maggior parte di noi conduce un’esistenza per la quale ha lavorato, studiato, sudato e combattutto. E la maggior parte di noi é convinta di avere il completo controllo su ciò che fa e che lo circonda (casa, famiglia, lavoro ecc. ecc.).

Quando raggiungiamo dei traguardi importanti, quando otteniamo ciò che abbiamo desiderato ci sentiamo invincibili, quasi immortali e perseveriamo in questo atteggiamento fino a che non accade qualcosa che, in qualche modo, stravolge il nostro punto di vista, ci ributta violentemente a terra e ci apre (o chiude) orizzonti che credevamo erroneamente accessibili.

Come sarebbe giusto reagire se in un pomeriggio di inizio estate ti venisse comunicato che, diversamente da ciò che credi, è proprio così: non sei immortale, non sei invincibile, sei solo pateticamente e debolmente umano ? Se qualcuno ti dicesse che tutti i tuoi deisderi, i tuoi sogni, le cose per le quali hai combattuto e vinto devono per ora subire, se ti va bene, uno stop, se va male chissà… Quali sono i sentimenti «corretti» che si dovrebbero muovere nel tuo animo di fronte a chi ti snocciola asettiche statistiche, probabilità di guarigione, necessità di interventi rapidi seguiti da trattamenti medici lunghi, ma necessari ?

Beh! Nel mio caso, niente disperazione, nessun dolore, nessuno sgomento, nessuna paura (tutto ciò viene dopo, con calma), la mia prima reazione é stata, sostanzialmente, di incredulità seguita da una profonda sensazione di tradimento da parte del mio corpo e dall’urgenza di affrontare le cose con rapidità ed effcienza (cosa, che stando in Svizzera, si è realizzata senza perdite di tempo prezioso). Se di dolore, disperazione e sgomento si può parlare, quelli che ho provato sulle prime non sono stati per me, per la mia condizione, ma per la reazione che la malattia avrebbe suscitato nelle persone che amo.

Ora che il primo grosso passo è stato superato e che le alte probabilità di guarigione si sono avverate, oltre a ringraziare i cielo e tutti coloro che mi sono stati vicini e mi hanno sostenuta in questa  «avventura», tiro un sospiro di sollievo (mi sono accorta di aver attraversato una fase di apnea profonda!).

Mi brucia comunque l’«offesa» per il brutto tiro che mi ha giocato il mio corpo, per lui ho parole di biasimo. La mia rivincita è e sarà quella di rifiutare lo status di «malata», la vecchia carcassa si dovrà piegare a quello che decido io per lei e non lei per me, continuando a vivere la mia vita pensando a questo periodo come a un incidente di percorso!

Concludo invitando tutte le signore che hanno letto questo post a fare con regolarità i controlli  preventivi che ci vengono suggeriti, senza perdere tempo, senza indolenza, ma soprattutto senza paura, non dimenticando mai che non siamo né invincibili né immortali!

Non ci piace

Che la crisi economica abbia colpito anche i custodi dei musei ad Atene e ha portato alla mancanza di un’adeguata sorveglianza.  Da gennaio o oggi infatti ci sono stati due furti clamorosi, il primo alla Galleria Nazionale di Atene dove sono stati rubati due quadri uno di Picasso e uno di Piet Mondrian, il secondo al Museo archeologico di Olympia sempre ad Atene dove sono stati prelevati sessanta oggetti provenienti dal sito archeologico…

Consoliamoci, non siamo i soli a sbagliare i conti

Infatti il Museo d’arte e Storia (MAH) di Ginevra fa parlare di sé in questi giorni. In primis per le posizioni discordanti tra gli amministratori, sulla necessità o meno di rinnovarlo ( c’è già un progetto in corso realizzato   dell’atelier di Jean Nouvel)  in secondo luogo per lo scalpore che ha fatto con la scoperta di un buco finanziario di 490.000 frachi per la sua gestione.

Il Museo è in crisi per le spese, tra quelle messe  sotto accusa ci sarebbero le spese di sorveglianza. Il consigliere d’amministrazione che si occupa della cultura e dello sport a Ginevra  ha preso delle deciosioni drastiche. Tra i primi provvedimenti adottati c’è una riduzione dell’orario (il museo infatti sarà aperto alle 11 e non più alle 10) e una riduzione del perimetro visitabile. Saranno infatti  tenute chiuse le sale meno frequentate.

Con queste riduzioni si conta di risparmiare 130.000 franchi da qui alla fine dell’anno.

In quel museo ho le mie stanze preferite e spero proprio che non saranno quelle che verranno tolte dal percorso espositivo. Una è la sala dedicata ai ritratti dell’artista settecentesco Jean Etienne Liotard che dopo aver trascorso la sua educazione tra l’Italia e Parigi e poi Vienna  ha finito la sua vita a Ginevra e

l’altra è quella del pittore, anche lui svizzero, Ferdinand Hodler. Hodler è stato un’ artista bernese installato a Ginevra dal 1872 ed è considerato  uno dei maggiori artisti simbolisti dell Svizzera. Nel museo si possono ammirare una serie di paesaggi molto suggestivi.

 

Ancora molto altro c’è in questo grande museo della città che merita assolutamente una visita ( tra l’altro  non costa niente entrare, il biglietto è gratuito per la collezione permanente).

La famiglia: una palestra di vita

Leggevo qualche giorno fa l’articolo di Concita de Gregorio su La Repubblica, dal titolo Global family, dedicato alle nuove tipologie di famiglia e in modo particolare al tema della lontananza.

Lontani i mariti dalle mogli, o viceversa, per ragioni di lavoro, lontani i nonni che ormai sono ridotti a godere dei nipoti attraverso lo schermo del computer: l’articolo era una carrellata delle famiglie di oggi.

Torno proprio oggi dall’Italia, dopo aver trascorso un paio di giorni con tanti “pezzi” della mia famiglia di origine, lasciati quando siamo partiti.
Come italiani in transito conosciamo per esperienza personale gli effetti della lontananza e il valore dell’appartenenza; ultimo aspetto, questo, da coltivare anche per i nostri figli che stanno costruendo la propria identità.

Infatti la famiglia di origine lontana è molto spesso, per chi sta all’estero, un legame che aiuta a ricordare chi sei.

Ho un’amica che, dopo aver perso entrambi i genitori e non avendo più parenti nel proprio paese, ha sofferto contemporaneamente il lutto per le persone perse e il lutto per la perdita del legame con  il proprio paese.

La famiglia, dunque, come palestra di vita: se poi è grande come la mia e ha un’ampia varietà umana al suo interno, l’esercizio sportivo te lo fa fare davvero. E cosi’, come è facile non aver voglia di andare in palestra, a volte quando si vive all’estero ci si fa cogliere dalla  pigrizia, in occasione di avvenimenti che consentirebbero un ritorno. Si vorrebbe rimanere dove siamo. Ma io so che ogni volta, quando ti sei di nuovo immerso nelle tue radici, torni indietro più tonico e felice.

E allora  ben venga l’amore a distanza ma attenzione agli strappi, la prossimità con le proprie famiglie, anche se è sempre più corta, è una pratica che non deve subire troppe trasformazioni.

… essi ritornano!

Un post leggero leggero per finire questa lunga e difficile settimana.

Vediamo chi di voi si ricorda dei perfidi personaggi e degli intrighi della serie televisiva che in assoluto è stata la più seguita al mondo… Sto parlando di Dallas, e chiaramente non mi rivolgo ai più giovani!

Ma ve lo ricordate? per la prima volta in assoluto attraverso il piccolo schermo ci venivano raccontate, con dovizia di particolari, le peggio bassezze umane, condite da milioni di dollari, case stupende, piscine, automobili luccicanti, uffici al centesimo piano ecc ecc. Andava in scena la ricchezza, ma come recita il proverbio “i soldi non fanno la felicità”…

Questi i personaggio del vecchio e nuovo Dallas. Da notare il pesante ritocco in photoshop della vecchia leva…

La serie fece scalpore, raccontò all’Italia degli anni ottanta (che oggi viene chiamato anche il decennio dell’inizio “della degenerazione morale”) un’America alternativa fatta non di eroi ma di antieroi, che indubbiamente ci hanno affascinato di più. Chi non si ricorda del perfido JR, della sua povera consorte da lui tradita e bistrattata, la bella Sue Ellen (e quante Suelle italiane ci sono in circolazione…)  con le sue mise con spalline esagerate (alla Madonna prima maniera per intenderci), del fratello buono Bobby e della moglie Pamela più volte uccisa e resuscitata (a seconda dell’audience naturalmente)?

La rete televisiva che produceva la serie ritenta oggi il colpaccio e ben presto i nuovi episodi approderanno anche in Europa. Questo non fa che sottolineare il trend recente che predilige il rifacimento di film, serie, musica piuttosto che l’opera originale sulla quale, per ovvie ragioni economiche, nessuno se la sente più di puntare. I grandi produttori preferiscono andare sul sicuro e in questo caso (e i molti reality lo hanno dimostrato) puntare sulla perfidia in più patinata è sicuramente la mossa vincente.

Ma, se le reti televisive americane puntano sul deja vu non è perché considerano i loro ascoltatori come dei perfetti idioti? ai quali basta dare in pasto un qualsiasi remake per farli sbavare sullo schermo al LED?

O piuttosto è meglio pensare ad una crisi globale di creatività?

Onestamente non so casa sia peggio…

Che ne pensate?

Rabbia, ma nessuna rassegnazione

Oggi diamo spazio ad  un  amico impegnato in Costa d’Avorio, il suo messaggio è duro, uno sfogo, mosso dal desiderio di raccontare la sua esperienza. La foto che abbiamo scelto  per il testo sono opere dell’artista polacca Magdalena Abakanowicz e sono state scelte da noi.

Tempo fa, entrando all’ospedale regionale distante 30 km  da dove vivo e lavoro (cioè un centro sanitario in Costa d’Avorio creato da una Fondazione italiana di cui sono il supervisore) un infermiere, tra le risate generali, chiamandomi per nome , mi chiese “cerchi i tuoi bambini?”.

È passato un anno e più forse dall’episodio, ma la cosa non esce dalla mia testa, e continua a farmi schifo! Si, cercavo i “miei bambini”. O meglio, cercavo sangue per trasfusioni per uno dei “miei” bambini del centro. La diagnosi è sempre la stessa: malaria, quindi anemia, quindi la trasfusione è necessaria, bisogna cercare sangue. A volte è semplice, altre no, altre volte non si trova, e finisce li…

Questo ridere di un africano dei suoi figli morenti o il nostro ridere delle sofferenze degli altri è una cosa che ci unisce nella nostra comune appartenenza alla razza umana, e non aiuta.

Mentre vedo i miei colleghi neri al centro sanitario che gestisco prodigarsi, ben oltre i loro turni di lavoro spesso, per assistere malati o cercare di parlare con le  famiglie per praticare un minimo di prevenzione, mi sento attorniato da vere e proprie bestie, come un anno fa all’entrata dell’ospedale pubblico regionale.

Quali, quanti e fino a dove possono essere i danni delle nostre mentalità distorte? Un mafioso, un delinquente diventano tali solo perché nascono in un contesto di povertà o è colpa della famiglia di appartenenza, o della società in cui vivono o…?

E quando al centro arrivano bambini di 2 anni che pesano solo 6 kg (nella regione in cui vivo e lavoro in Costa d’Avorio, al confine col Ghana, le soluzioni per mangiare ci sono eccome, quindi non si tratta solo di povertà) riuscirò a farmi ascoltare dai genitori?

Su queste verità, basate su comportamenti oggettivi, si creano opinioni.

Ma voglio fare un salto indietro, a quando ero bambino nei primi anni ottanta in Italia. Mi ricordo di  quando mi dicevano del povero nero che è sempre l’ultimo della fila a prendere la mela (c’era un manifesto così  a scuola e il pensiero mi porta subito all’infermiere che ride dei miei bambini) e della mafia che non esiste (lo disse una volta un’autorità in pubblico in tv, mi ricordo). Anche da queste opinioni, si creano mentalità. Ho allora l’impressione che qualcuno stia “giocando” col nostro fegato.

Come possiamo proteggerci dalle miserie della nostra razza, e dai miserabili che le fanno vivere, per soldi, potere o entrambi, ogni giorno? (lasciamo stare i massimi sistemi,per carità).

Sarà la bellezza a salvarci o quella famosa risata li seppellirà?

Io, intanto, continuerò a cercare sangue…

Salva il pipistrello e… salverai il pianeta

Il 2012 è stato proclamato dal CMS (convention on migratory species) dell’UNEP (united nations environment programme) in collaborazione con EUROBAT (la lega per la conservazione della popolazione europea di pipistrelli) L’anno del pipistrello. Nel corso di tutto il 2012 si susseguiranno, in tutto il mondo, eventi per celebrare i vari aspetti della conservazione di questa specie, per rispettarne la biodiversità e monitorarne vita e abitudini.

Sebbene la tradizione ci abbia consegnato l’immagine di animali immondi, né uccelli né ratti, legati in vari modi a superstizioni che li hanno resi decisamente impopolari, questi mammiferi sono non solo utilissimi insetticidi naturali (riescono in un notte a mangiare più di 5000 insetti), ma sono anche determinanti  per l’impollinazione e per la dispersione dei semi delle piante forestali e sono delle vere proprie “macchine per volare” sofisticatissime, inoltre sono gli unici mammiferi che sono in grado appunto di volare senza nessun ausilio supplementare (e già solo questo dovrebbe suscitare il nostro grande rispetto).

Fra gli altri avvenimenti organizzati in favore dei pipistrelli, il mese scorso si è tenuto ad Oxford, in Gran Bretagna, un primo meeting molto particolare: si sono, infatti, riuniti architetti provenienti da tutto il regno per discutere della costruzione di case adatte ai pipistrelli, the ultimate dream home for bats. Questi animali, poiché non costruiscono nidi o rifugi trovano il loro habitat in cavità naturali o alberi, o ancora nelle crepe dei muri, negli interstizi fra i mattoni (alcuni di essi sono così piccoli che possono comodamente sistemarsi in buchetti nei quali noi stenteremmo a mettere le dita) e le grandi colonie trovano posto negli antichi abbaini, ma poiché ci siamo dati un gran da  fare per distruggere il loro ecosistema e i loro habitat, un modo per recuperare spazi utili ai pipistrelli è quello di adattare le nostre abitazioni al loro stile di vita… ed ecco allora che il Royal Institute of British Architects in collaborazione con la Bat Conservation Trust, offre un nuovo corso di tre ore, con lo scopo di educare gli architetti sui pipistrelli, insegnando ai partecipanti la dimensione ideale, i punti di accesso, la temperatura, i materiali e un percorso adatto ai piccoli (in Europa) animali.

Un esempio per tutti è la summer house progettata e realizzata dall’architetto britannico Charles Barclay nel Suffolk. Il progetto è nato dall’esigenza di preservare una comunità di pipistrelli che l’architetto aveva trovato nella vecchia fattoria che aveva avuto il compito di rimodernare. Questo ha aguzzato il suo ingegno, che lo ha portato a creare un ambiente per questi pipistrelli realizzato in materiali ecocompatibili, con particolari angoli di accesso agli abbaini che sono stati resi particolarmente confortevoli per le famiglie che vi sono state trasferite  nel giro di sei settimane in borse termiche, con soffici rivestimenti.

Nel caso voleste a questo punto adottare un pipistrello, ma non avete il coraggio di farlo stabilire nell’abbaino di casa vostra, potete fare una donazione di 3 sterline al mese e adottarlo a distanza (di sicurezza direi perché la Fondazione si trova in Gran Bretagna). Mentre, se volete un efficientissimo insetticida naturale, potete costruire voi stessi un rifugio per pipistrelli (una bat box) e per questo vi rimandiamo all’opuscolo creato dal Museo di Storia Naturale di Firenze che qualche tempo fa in collaborazione con l’Unicoop promosse un eccellente campagna di sensibilizzazione.

Ricordiamo che i pipistrelli non sopravvivono in ambienti contaminati, perché sono delicatissimi, sono un ottimo deterrente contro gli insetti nocivi e fastidiosi, non portano malattie, si creano piccole famiglie (fanno un solo cucciolo all’anno), sono simpatici e soprattutto… non sono cugini dei vampiri.

Salviamo i pipistrelli e salveremo il pianeta!

Bene a sapersi, può sempre servire

Tutti stiamo già pensando alle vacanze estive. Per molti  di  noi che viviamo all’estero le vacanze sono anche un momento di rientro a casa; per altri sono un’occasione di viaggio e  di riposo. Attenti però ai souvenir. Ci sono convenzioni internazionali e leggi che proibiscono il commercio di tanti oggetti legati a specie in via di estinzione o al bisogno di proteggere flora e fauna dei paesi visitati e di quello ove si rientra.  La Svizzera non fa eccezione e punisce molto severamente chi introduce nel paese certe specie di vegetali in via d’estinzione e prodotti animali come pelli di serpenti, rimedi cinesi a base di corna di rinoceronte e cosi via.

Le multe sono salate e vanno dai 40.000 ai 100.000 franchi. Occhio anche ai prodotti alimentari per chi rientra da paesi non europei: alimenti come miele, latte, carne sono vietati. Per saperne di più si può consultare un sito http://www.bvet.admin.ch

Per scoprire  tante cose che si possono o non possono fare in Svizzera, oppure per trovare tanti consigli giuridici o giudizi su vari oggetti di consumo, abbiamo trovato un sito molto interessante: www.bonasavoir.ch

Il cavaliere addormentato

Per una volta sola, lo prometto, farò anch’io un’incursione  nell’arte (?) contemporanea. Non ho le competenze e le conoscenze della mia compagna di avventura, Stefania, dunque le mie riflessioni saranno decisamente da profana.

Sfogliando i giornali, mi sono imbattuta nella presentazione di un’opera bizzarra, che mi ha (se non altro) fatto ridere di gran gusto.

L’opera in questione è un’istallazione di Antonio Garullo e Mario Ottocento intitolata Il sogno degli italiani con sottotitolo Per un’immagine definitiva dell’era di Berlusconi ed è esposta per tre giorni soltanto (fino ad oggi) a Palazzo Ferrajoli, a Roma, proprio di fronte a Palazzo Chigi.

Personalmente l’ho trovata esilarante, fantasticamente surreale e mi ha colpita per il suo stile scandalosamente kitsch.

Si tratta di una riproduzione in silicone, uno a uno, del corpo di Berlusconi, mollemente adagiato in una teca di vetro, un incrocio tra la Biancaneve in attesa del bacio del Principe Azzurro e la mummia di Lenin.

Gli artisti per realizzare l’istallazione hanno utilizzato oltre al silicone, capelli organici, stoffa, legno vetro e il risultato è assolutamente stupefacente, madame Tussauds ne sarebbe deliziata. Il particolare è che il nostro ex capo del governo è rappresentato steso nel sonno (eterno?) con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra, in doppio petto blu e cravatta a pallini allentata, con un braccio appoggiato sul pamphlet auto celebrativo Una storia italiana, che aveva fatto recapitare a tutte le famiglie italiane, le pantofole con la faccia di Topolino e la mano sinistra infilata significativamente nei pantaloni slacciati.

Rappresentazione del culto della personalità o piuttosto il corpo del capo come icona del potere? La realizzazione lascia aperte tutte le possibili interpretazioni.

I due autori nella presentazione scrivono che essa può servire a «porre un diaframma tra la realtà contingente e il giudizio storico. Se gli italiani sono in ultima analisi “Un popolo di santi, di poeti, di navigatori…” allora l’arcitaliano Silvio ne costituisce degno simulacro».

Io rimango sempre attonita davanti all’arte (?) contemporanea, ho la difficoltà del neofita a comprenderne i linguaggi… volutamente non ho mai parlato di “opera d’arte”, perché non sono sicura che questo lo sia effettivamente. Tutto sa di provocazione e forse di desiderio di pubblicità (basta che se ne parli…), ma chi vivrà vedrà!

Devo confessare però che questa volta la performance ha toccato la mia ilarità, e, sebbene priva di gusto (o per lo meno tatto), l’ho trovata ricca di spunti per ripensare alla recente storia del Bel Paese.

Quando il museo non ascolta. A Firenze: il Museo del Bargello

Il  Museo parla al pubblico era il titolo di un famoso convegno che si tenne nel 1989, a Bologna, dove si metteva in evidenza la necessità per i musei italiani di trovare modalità di accoglienza  dei visitatori più adatte a soddisfare la loro sete di conoscenza e contatto con le opere.

Non sempre, però, ciò si avvera. E’ il caso di un amico francese che, lo scorso  aprile, ha cercato di mettersi in contatto con il Museo del Bargello di Firenze per compiere una sua ricerca su un’opera ospitata nel museo: una lastra del reliquario d’Auzon. Tutto il suo entusiasmo però non ha trovato riscontro. L’amico, infatti, appassionato d’arte e turista intelligente, si era  preparato con grande cura il viaggio, anche perché si trattava di passare un’intera settimana a Firenze unendo la ricerca al piacere di visitare una delle città più belle del nostro paese. Oltre a tutto lui discende dalla famiglia a cui è appartenuta l’opera e quindi aveva anche un motivo personalissimo per vederla. Così ha scritto, in anticipo, una lettera al museo ( che si è fatto tradurre in italiano per essere certo di essere capito). Ma non ha ricevuto nessuna risposta. Perciò quando è andato a Firenze si  è presentato al museo e con la lettera, spiegando la faccenda e chiedendo di poter parlare con qualche responsabile. Purtroppo l’usciere, dopo averlo fatto accomodare, gli ha detto che ciò non era possibile perché nessuno aveva tempo per riceverlo.

È finita così. Lui non si è lamentato, quando poi me lo ha raccontato: era comunque sollevato perché ha trovato da solo l’opera dentro il museo e ha potuto vederla. Ma io che abito all’estero e sono più sensibile nei confronti delle esperienze di stranieri nel mio paese (e ancor più mi piace sentire storie edificanti sul mio paese, quando ve ne sono) mi sono dispiaciuta per lui, perché in quel caso il Museo si è fatto trovare sordo alle richieste educate di un visitatore.