Specchio specchio delle mie brame…

Lo specchio e lo specchiarsi sono fra i temi preferiti dall’arte nel corso della sua intera storia. Chi non ricorda il volto del pittore Jan Van Eyck riflesso nello specchio alle spalle dei coniugi Arnolfini, oppure Las Meninas di Diego Velasquez dove l’Infanta Margherita guarda, il re e la regina  che noi vediamo perchè riflessi in uno specchio dietro di lei.


Porsi davanti al quadro a dipingere il proprio riflesso o permettere di vedere parte della scena dipinta da un punto di vista diverso. E così il tema dello specchio non cessa mai di interessare gli artisti: anche oggi  continuano a rifletterci e attraverso esso ci ripropongono lo spazio rendendoci nuove percezioni. Penso ad artisti contemporanei come Daniel Buren che lo  ha usato per nascondere e mimitizzare una forma architettonica. Oppure lo specchio è usato per capovolgere il luogo e lo amplifica: come certi lavori di Enrico Castellani che dal quadro monocromo con la tela estroflessa è passato ad interessare lo spazio circostante. Infine  che dire del maestro dello specchio ovvero delle opere di Michelagelo Pistoletto che per decenni ha permesso ai suoi spettatori di filettersi nelle sue opere.

Lo specchio mi fa pensare anche quando l’artista si mette nei panni del  Narciso come nel caso dell’artista tedesco Olaf Nicolai con il suo “Ritratto del’artista come Narciso in lacrime” del 2000, la scultura in vetro resina è il ritratto dell’artista in ginocchio davanti alla sua immagine . L’opera in questi giorni è esposta al Museo dell’Accademia di Firenze nella mostra Arte torna arte. Una mostra collettiva di diversi artisti contemporanei messi a confronto e in dialogo con l’arte antica del museo.

E io, assolutamente convinta che l’arte contemporanea sia un piacere da saper cogliere con la curiosità che ha un bambino nei confronti del mondo, non posso dimenticare  quando mi portavano alla fiera: mi divertiva tantissimo entrare nel labirinto degli specchi dove ogni volta mi vedevo lunga e bassa, magra o grassa, e mi divertivo un sacco ad immaginare una realtà diversa da quella che conoscevo. In fondo quell’emozione era legata al  tema della realtà e dell’illusione tanto cara all’arte di tutti i tempi.

Andar per fiere: Torino è artissima

Se vi piace andare per fiere, perché  vi diverte scoprire, comprare o soltanto curiosare ciò che si trova nel mondo dell’arte contemporanea, ricordatevi che si  apre, tra pochi giorni, a Torino, Artissima. Lingotto Fiere  ospita, dal 9 all’11 novembre, la fiera dell’arte contemporanea giunta alla sua diciannovesima edizione. Quest’anno saranno presenti 172 gallerie, di cui solo 53 italiane. Ci sarà la possibilità di vedere le gallerie che presentano maestri affermati e quelle che propongono i nuovi talenti. Quando in fiera, dalle espressioni sui volti, puoi capire chi è un appassionato d’arte sincero ma senza grandi possibilita’ economiche e si diverte in quel guazzabuglio di cose da vedere, chi è un collezionista e sente la visita come una sfida, una caccia alle opere migliori con un occhio sempre aperto all’investimento, chi è  l’artista il critico o il gallerista (questi ultimi hanno spesso sul volto segni di stress e poco diletto).
Il nuovo direttore di artissima, con un contratto di tre anni, è per la prima volta una donna, la triestina Sarah Cosulich Canarutto, che al momento vive in Svizzera  e lavora come art-advisor per alcuni collezionisti privati.  Come direttrice di artissima ha pensato un programma di mostre ed eventi in tutta la città, che andranno dal 9 novembre fino al 6 gennaio. Gli eventi  sono visibili alla GAM, al Museo di Rivoli a Palazzo Madama e in molti altri luoghi. Per il programma guardate su 
http://www.artissima.it.

Torino in questi giorni vale davvero una gita anche perché sono già accese per la città le Luci d’artista, ossia interventi d’arte contemporanea basati sulla luce, che arricchiscono le strade in modo originale. Quest’anno saranno 19 le strade che si illumineranno. Nel mio ricordo la più bella rimane quella di Luigi Mainolfi, intitolata Lui e l’arte di andare nel bosco, una fiaba scritta per la strada, che tutti possono leggere e condividere  in un’atmosfera lirica e giocosa di quelle che solo Mainolfi riesce a creare.

L’arte dà senso ad un luogo

E’ di questi giorni l’inaugurazione all’Aquila dell’auditorium progettato da Renzo Piano. Tre anni dopo il terremoto nasce  (con il contributo economico della Provincia di Trento) un luogo per ascoltare la musica, incontrarsi per conferenze e anche per assistere a proiezioni.  Uno spazio concepito come uno scrigno prezioso, non a caso definito un “piccolo gioiello” che, come capita spesso all’arte, non ha mancato di suscitare assieme al consenso anche qualche polemica, per il costo elevato e per la convinzione di alcuni che con quei soldi si sarebbe potuto fare altro.
Siamo avvezzi a queste polemiche, anche se mi domando quanto siano intelligenti: ogni volta che un’opera d’arte (in senso ampio, di tutte le arti) arricchisce una città, questa sarà una ricchezza per tutti. Ricchezza per tutte le fasce d’età per il fatto di essere pubblica e fruibile da tutti.
Allora gli esempi si affollano nella mia mente e penso a cosa sia voluto dire per la città di  Bilbao, anche in termini di visitatori, il museo Guggenheim,  opera dell’architetto Frank Gehry.Oppure penso alla città francese di Metz col nuovo centro Pompidou, realizzato dall’architetto giapponese Shingeru Ban. Anche qui in Svizzera la nostra gloria italiana, Renzo Piano, ha lasciato non pochi segni sul territorio, come il bellissimo  Museo di Klee a Berna o la fondazione Bayeler a Basilea.

Lo sdegno iniziale dei cittadini che accolgono un nuovo progetto d’arte si trasformerà, in un momento successivo, in orgoglio e passione per la sua conservazione. A questo proposito, mi viene in mente la piccola cittadina di Riola, in provincia di Bologna, che nella seconda metà degli anni Sessanta accolse il progetto per una chiesa del grande architetto finlandese Alvaar Alto. Quella chiesa, nella sua concezione moderna del sacro, è sempre rimasta un luogo di incontro per tantissimi appassionati d’arte e fede.


E come l’architettura, così fa anche l’arte plastica. Pensiamo a Prato: la grande scultura di marmo bianco di Henry Moore è diventata infatti il simbolo della città.


Ben vengano i soldi spesi nel campo dell’arte quando naturalmente a scegliere i progetti c’e’ chi la conosce e  sa dove stia di casa.

Il Grand Tour dell’arte contemporanea: girare per meglio capire

Per gli appassionati d’arte contemporanea c’è solo un modo per capirne e saperne di più ed è quello di viaggiare e non perdersi gli appuntamenti più importanti che riuniscono, selezionano e presentano tanta arte tutta assieme. E così, se in estate il popolo dell’arte non ha perso l’occasione di andare in Germania a Kassel, a visitare Documenta 13,  ora deve cambiare clima e atmosfere e deve programmare una visita a San Paolo, in Brasile, dove il 25 settembre si aprirà la 29esima Biennale d’Arte.  Questa biennale, tra alti e bassi, è una delle più antiche del mondo (seconda solo alla Biennale di Venezia) perché è nata nel 1962.

E quest’edizione promette bene: sono stati invitati 159 artisti provenienti da 33 paesi diversi che presenteranno in totale 850 opere. Scopo della rassegna, si legge, è quello di  diffondere e far conoscere ad un vasto pubblico l’arte contemporanea. I curatori, Agnaldo Faias e Moacir dos Anjos, hanno infatti pensato di organizzare nel percorso espostitivo anche un programma didattico molto vario, in cui spicca lo spazio denominato le Terrazze: luoghi scelti per organizzare dibattiti, proiezioni, performance e momenti musicali. Le terrazze sono dentro al   padiglione progettato dall’architetto Oscar Niemeyer.

Filo conduttore della biennale sarà il legame dell’arte con la politica, un connubio che – affermano i curatori – non si può separare, perché entrambe interagiscono con la realtà e influiscono sulla percezione che abbiamo del mondo.

Sarà possibile vedere tra i tanti lavori le opere dell’artista cileno Alfredo Jaar ,  del brasiliano Ernesto Neto (una felice scoperta alla Biennale di Venezia del 2001). E poi ci sarà il lavoro di Helio Oiticica, mentre per le riflessioni sull’arte e sul suo essere dentro alla politica  non mancheranno artisti come il cinese Ai Weiwei, e le  Guerrilla Girls (un gruppo di femministe anonime, conosciute solo con le maschere di gorilla, nate a New York nel 1985) . Ci saranno artisti affermati come Nancy Spero, il fotografo americano Nam Goldin, o più giovani come l’australiana Fiona Tan, e il cinese Cao Fei.

Cao Fei

Una biennale come questa ci consente di vedere il panorama artistico mondiale con gli occhi brasiliani.

Chi volesse saperne di più, può consultare il sito www.fbs.org.br

Il cavaliere addormentato

Per una volta sola, lo prometto, farò anch’io un’incursione  nell’arte (?) contemporanea. Non ho le competenze e le conoscenze della mia compagna di avventura, Stefania, dunque le mie riflessioni saranno decisamente da profana.

Sfogliando i giornali, mi sono imbattuta nella presentazione di un’opera bizzarra, che mi ha (se non altro) fatto ridere di gran gusto.

L’opera in questione è un’istallazione di Antonio Garullo e Mario Ottocento intitolata Il sogno degli italiani con sottotitolo Per un’immagine definitiva dell’era di Berlusconi ed è esposta per tre giorni soltanto (fino ad oggi) a Palazzo Ferrajoli, a Roma, proprio di fronte a Palazzo Chigi.

Personalmente l’ho trovata esilarante, fantasticamente surreale e mi ha colpita per il suo stile scandalosamente kitsch.

Si tratta di una riproduzione in silicone, uno a uno, del corpo di Berlusconi, mollemente adagiato in una teca di vetro, un incrocio tra la Biancaneve in attesa del bacio del Principe Azzurro e la mummia di Lenin.

Gli artisti per realizzare l’istallazione hanno utilizzato oltre al silicone, capelli organici, stoffa, legno vetro e il risultato è assolutamente stupefacente, madame Tussauds ne sarebbe deliziata. Il particolare è che il nostro ex capo del governo è rappresentato steso nel sonno (eterno?) con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra, in doppio petto blu e cravatta a pallini allentata, con un braccio appoggiato sul pamphlet auto celebrativo Una storia italiana, che aveva fatto recapitare a tutte le famiglie italiane, le pantofole con la faccia di Topolino e la mano sinistra infilata significativamente nei pantaloni slacciati.

Rappresentazione del culto della personalità o piuttosto il corpo del capo come icona del potere? La realizzazione lascia aperte tutte le possibili interpretazioni.

I due autori nella presentazione scrivono che essa può servire a «porre un diaframma tra la realtà contingente e il giudizio storico. Se gli italiani sono in ultima analisi “Un popolo di santi, di poeti, di navigatori…” allora l’arcitaliano Silvio ne costituisce degno simulacro».

Io rimango sempre attonita davanti all’arte (?) contemporanea, ho la difficoltà del neofita a comprenderne i linguaggi… volutamente non ho mai parlato di “opera d’arte”, perché non sono sicura che questo lo sia effettivamente. Tutto sa di provocazione e forse di desiderio di pubblicità (basta che se ne parli…), ma chi vivrà vedrà!

Devo confessare però che questa volta la performance ha toccato la mia ilarità, e, sebbene priva di gusto (o per lo meno tatto), l’ho trovata ricca di spunti per ripensare alla recente storia del Bel Paese.

Plainpalais: due occhi ci guardano, delle parole ci giudicano

Una passeggiata a Ginevra nella grande piazza del Plainpalais, magari di sabato mattina durante il curioso mercato delle cose vecchie, potrebbe essere una buona idea per scoprire le due installazioni d’arte contemporanea  piazzate sui tetti delle case, opere di Sislej Xhafa e Sylvie Fleury.

Sislej Xhafa ha realizzato due grandi occhi in neon che ci guardano dall’alto; l’opera realizzata nel 2009 si intitola Axis of Silence.

Axis of silence, Sislej Xhafa, © picture: Serge Fruehauf, 2009

 Xhafa nasce in Kosovo e, dopo aver vissuto per un periodo in Italia, si trasferisce negli Stati Uniti dove ora vive e lavora. Le sue opere sono molto spesso provocatorie e sovversive: lavora con la performance, con la scultura, con i video e con le installazioni. Un esempio delle sue provocazioni rimane, per noi italiani, la mostra 2705 baci, tenutasi in Svezia alla galleria Roda Sten di Gotenborg, dove ha presentato il  busto – alto cinque metri e largo otto – di Silvio Berlusconi, nelle sembianze di una divinità dal corpo di sabbia.

La svizzera ginevrina Sylvie Fleury, invece, ha installato sui tetti una scritta a neon Oui a tout, Yes to all. Sì a tutto, sembra essere la risposta che ci diamo ogni giorno immersi nella superficiale società dei consumi. In quelle parole, riflettendoci,  sembra essere nascosto il tarlo che ammala la nostra epoca.

Il "si a tutto" della Fleury a Plainpalais

I consumi, il desiderio di possesso e l’oggetto di lusso sono da sempre i temi preferiti dall’artista, fin dal 1992 quando si presentò per la prima volta al pubblico con l’installazione realizzata da una serie di Shopping bags di esclusive firme dell’abbigliamento e della cosmesi: oggetti del desiderio che presentò con il titolo Poison.

E così mentre due occhi ci guardano e alcune parole ci giudicano dai tetti del Plainpalais, possiamo scoprire un lato di questa città fuori dagli schemi e bello: il non aver paura di investire in un’arte nuova, capace di avvicinare ambiti diversi come quello sociale, economico e politico.

 Buona visita a tutti!