In carrozza si parte: fermata Biennali

Sentite ancora il caldo di Venezia, di quando andavate per padiglioni e mostre durante la 57esima Biennale d’arte, oppure avete ancora il ricordo piacevole delle birre bevute bighellonando tra le varie sedi della Documenta di Kassel? Chi ancora non è sazio d’arte e sogna un settembre di nuove visite non ha che da scegliere: c’è molto da vedere, in tema di biennali rassegne d’arte.

imagesIl primo appuntamento si è aperto ieri: è la Bienalsur, la prima biennale internazionale d’arte dell’America del Sud. Una esposizione complessa che riunirà  350 tra artisti e curatori, scelti dai cinque continenti. La biennale coinvolge sedi in 30 città (che vanno dall’Avana, a Tokyo, Quedah, Santiago del Cile , per arrivare fino a Marsiglia e  Berlino). Organizzata dall’università argentina Tres de Febrero,  espone le opere che provengono da 78 paesi. Il tentativo è quello di intraprendere un’iniziativa che in simultanea connetta opere di tanti artisti nel mondo.

Il clima politico invece sembra del tutto cambiato ad Istanbul, dove il 16 settembre si aprirà la XV Biennale d’arte curata dai due artisti  Elmgreen&Dragset.  Il tema dell’edizione sarà Il buon vicino, un approfondimento sui temi della convivenza e dell’altro, intesi con riferimento al tessuto cittadino, al quartiere e alla casa .

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Mappa di Instambul con i luoghi dove si terrà la Biennale si legge : collocata nel cuore di instambul si visita con facilità

Solo due giorni dopo a Mosca si aprirà la VII biennale di Mosca. La curatrice sarà la giapponese Yugo Hasegawa il titolo scelto sarà Foresta trascendentale. maxresdefaultLa foresta un luogo dove nascondersi, ma anche connettersi; foresta come microcosmo abitativo , come area limitata dove vivere assieme e potersi nascondere.

Il 20 settembre è la volta di Lione e della sua XIV Biennale. Il commissario è Emma Lavigne, direttrice del Centre Pompidou di Metz, mentre il titolo scelto è Mondi flottanti: prende ispirazione dal fatto che, praticamente, la città è nata sull’acqua, legata l’acqua come mezzo di trasporto e vita. La mostra sarà un percorso sensoriale e esperienziale che allargherà le nostre percezioni e concezioni del mondo. http://www.biennaledelyon.com.

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Mondi Flottanti, Biennale di Lione

Un settembre da far girare la testa, una panorama sempre più complesso e allargato che sembra voler sconfiggere ogni tentativo di alzare frontiere e barriere culturali. E dunque – riprendendo il tema della Biennale di Venezia che, ricordo, chiuderà solo il 26 novembre   VIVA L’ARTE VIVA.

Biennale di Venezia

Sono praticamente cresciuta alle Biennali di Venezia. Sin da quando sono piccola, ogni due anni si programma quando e per quanti giorni si riesce a stare a Venezia. 

Il prossimo sabato si inaugura la 57esima edizione dal titolo “Viva arte viva”. VivaArteViva

Mi vengono in mente i bei momenti, quelli un po’ più  faticosi, i passaparola, le discussioni. I ricordi si sovrappongono; mi sovvengo in particolare delle celebri pecore di Menashe Kadishman del 1978, dell’edizione del 1980 con le continue visite, assieme a mio padre, per vedere e rivedere l’opera di Magdalena Abakanowicz, nel padiglione polacco. Nel 1990 ho visto per la prima volta l’opera di Anish Kapoor e mi sono scandalizzata davanti alla scultura policroma di Jeff Koons abbracciato a Cicciolina. 

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Anish Kapoor, Void Field,1990

Non posso dimenticarmi l’immersione nel padiglione giapponese dentro l’opera di Yayoi Kusama del 1993, oppure l’orrore e l’odore acre delle ossa, lasciate dalla performance Balkan Baroque, di Marina Abramowic, del 1997.

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Marina bramovic, Balkan Baroque,1997

Mi sono tanto divertita con le sedie tamburo di Chen Zhen, nel 1999  e  mi sono lasciata condurre nello spazio dagli specchi e dai colori dell’installazione  di Olafur Eliasson, nel padiglione danese, nel 2003. Sono stata incantata e commossa, come vedessi trascorrere la mia vita, dalle opere di William Kentridge, nel 2005.

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Olafur Eliasson,2003

Alla Biennale poi ricordo le prese di posizione politiche da parte degli artisti, come quando nel 2003 Santiago Serra non mi fece entrare nel padiglione spagnolo perché non avevo il passaporto spagnolo. Oppure mi ricordo l’artista Khaled Corani, palestinese, che senza un padiglione per il suo stato aveva collocato nei giardini grandi passaporti palestinesi.

Bisogna andarci, a Venezia, e vedere cosa ci verrà proposto perché è vero l’arte è sempre viva e un po’ come ci aveva suggerito Carsten Höller nel 2015,  presentandoci la sua opera ai Giardini, la biennale è come un giro di giostra e non si può mancare.

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Carsten Höller, RB Ride, 2015

La più eccitante è a Venezia

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2017 anno di Biennali d’arte. Tutti lo sanno e tutti si stanno già preparando. Cominciano già i primi commenti e le prime classificazioni. La rivista Beaux Arts di gennaio ad esempio ha così schematizzato:

La Biennale di Atene ( 8 aprile-16 luglio) sarà quella più politica. In collegamento con Documenta di Kassel si focalizzerä sulla crisi europea e sull’incertezza del futuro.

La Biennale di New York ( 17 marzo-11 giugno) sarà la più angosciosa. Infatti i 63 artisti americani invitati al nuovo Whitney Museum dovranno confrontarsi con l’arrivo di Donald Trump e coi valori di nazione e identità nazionale.

La Biennale del Québec ( 18 febbraio .-14 maggio) sarà la più gioiosa e questo perché la sua curatrice Alexia Fabre ha scelto come tema “l’arte della gioia”.

La Biennale di Venezia (13 maggio-26 novembre) Beux Art l’ha definita la più eccitante. Viva Arte Viva questo è il titolo del progetto della curatrice di questa edizione Christine Macel, promette bene, e comunque  la Biennale di Venezia mantiene ancora il  ruolo della più antica e importante di tutte le biennali nel mondo.

Ma a cosa serve una biennale? lo spiega bene  Gillo Dorfles  La Biennale dovrebbe cercare di dare un ordine al presente. Dovrebbe esporre quanto di meglio c’è in un determinato momento storico. Ma dovrebbe anche saper valorizzare le prove di un bravo studente dell’Accademia, fuori dal sistema sociale”.

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Emilio Vedova. Milena Milani, Giuseppe Santomaso, “Pittura francese oggi”,Cà Pesaro, 1946

Ci riusciranno? staremo vedere.inviato-alla-biennale_431x431px_2010

Intanto però chi volesse fare una carrellata sulle cose accadute a Venezia dagli anni Quaranta fino al 2010 può leggere un interessantissimo libro dal titolo Inviato alla Biennale, Libri Scheiwiller dove vengono raccolti tutti gli articoli e recensioni fatti da Gillo Dorfles in tutti questi anni.

Vi sorprenderete quanto artisti presenti alla Biennale sono poi finiti nel dimenticatoio, al contrario quanti giovani segnalati invece sono diventati famosi e come cambia e si muta il gusto. Molto interessante infine vedere come negli anni la pittura e la scultura hanno ceduto il passo all’installazione, al video e alla fotografia e siamo entrati nel  tempo definito da  Dorllfes “della deregulation linguistica”.

Not New Now

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Khalil Rabah Right and Right, 1999

Ci sono alcune cose che guardando dalla finestra di internet ti rallegrano, in questi giorni ad esempio si è aperta a Marrakech la sesta biennale d’arte contemporanea.

Gli aspetti più interessanti: la curatrice è una donna, Reem Fadda curatrice associata dal 2010  al Guggenheim di Abu Dhabi e impegnata da anni nel sostenere l’arte palestinese, fu presente  nel 2009 alla Biennale di Venezia con una iniziativa chiamata Ramallah Syndrome.

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Moham Mourabiti

La biennale, si legge, ha come obiettivo quello di far dialogare e mettere a confronto l’arte dei paesi occidentali con il mondo islamico e l’Africa. Come ogni evento che veramente voglia radicarsi e lasciare una traccia sul territorio nel programma sono previsti attività legate a favorire laboratori per i più giovani e residenze d’artisti per giovani marocchini.

La biennale quest’anno si intitola Not New Now e secondo la curatrice vuole essere una riflessione sul significato che assume oggi la parola novità. La novità non più legata ad un ideale positivo e di progresso ma qualcosa da leggere sotto diversi punti di vista, fino ad assumere il significato di  minaccia per il nostro pianeta. Un tema molto interessante e quanto mai attuale che avevo già incontrato nelle ultime biennali di  Lione (nel 1915 La vie moderne a cura di Ralph Rugoff).

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El Enatzui

A Marrakesh dunque un gruppo di artisti si confrontano sul tema. Il sito dell’esposizione è fatto molto bene e ci permette di vedere con chiarezza le opere presenti tra cui ricordo il trasformatore di materie povere e di scarto il ganese El Enatzui oppure la bravissima e tagliente Mona Hatoum .

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Mona Hatoum

L’italiano invitato è l’ architetto Alessandro Petti in coppia con Sandi Hilal che lavorano attorno al tema dei campi e degli spazi per i rifugiati entrambi vivono i Palestina.

Un appuntamento che sembra anticipare la più vecchia biennale dell’africa: la Biennale di Dakar che si aprirà invece il 3 maggio prossimo e che ormai è giunta alla sua 12 esima edizione.

Gli appassionati d’arte contemporanea dunque, devono volare in Africa se vogliono capire cosa sta succedendo e riflettere su come è cambiata la nostra percezione di ciò che siamo, delle nostre radici culturali e di cosa cambierà nel prossimo futuro nel panorama mondiale dell’arte.

Ricordi

Michael Rovner
Michal Rovner, Time Left, 2003

Oggi è la giornata della memoria: si ricordano tutte le vittime dell’olocausto. Invece di aggiungere parole scontate sull’argomento, ho preferito scegliere le immagini di un’artista che vidi per la prima volta a Venezia, alla 50esima Biennale, nel padiglione israeliano: Michal Rovner.  Nella stanza erano proiettate file ininterrotte e parallele di figure umane, ombre allineate in un cammino incessante. Le ombre, piccole come formiche, coprivano tutti i muri e su di esse erano state tirate delle linee orizzontali, come se fossero contate a dozzina. Quelle figure umane erano come una lista anonima di persone; erano nere, grandi come formiche, e venivano depennate come una lista di cose: ormai non avevano più niente di umano.

Michal Rovner
Michal Rovner

Michal Rovner – come in passato l’artista polacca Magdalena Abakanowicz con le sue sculture di iuta o bronzo – aveva suscitato in me il vuoto. Quell’allineamento passivo dei corpi che camminano, inermi, simili ad ombre, contribuiva a diluire o cancellare ogni individualità. Il punto di vista dello spettatore era simile a quello di una persona che osserva un formicaio.

Time Left, il nome di questa l’installazione del 2003 della Rovner, ricordava l’olocausto, ma non solo: qui riaffioravano tutti i genocidi e massacri di ogni tempo, non ultimo quello miserabile di Boko Haram in Nigeria. Nel silenzio della stanza, avvolti dall’installazione, percepisci che quello che vedi non è solo il passato, ma è anche il rischio del nostro presente.

Dopo quella Biennale di Venezia Michal Rovner è diventata un’artista affermata. Qualche anno dopo ho avuto il piacere di ritrovarla in Italia, in una una fiaba dal titolo l’abbraccio, illustrata da lei ma scritta da David Grossman ed edita da Mondadori. Anche questa volta sono stata toccata dal suo lavoro. La storia narra di un dialogo tra un bambino di nome Ben e la sua mamma: insieme si domandano se ognuno di noi è unico al mondo e se essere unici ci rende soli . Alla fine la mamma afferma: “ Ecco, prendi te per esempio-Tu sei unico(…) anche io sono unica , ma se ti abbraccio non sei più solo e nemmeno io sono più sola (…) vedi-gli sussurrò la mamma- proprio per questo hanno inventato l’abbraccio”.imgres

E l’abbraccio, credo, sia il miglior deterrente  per il giorno della memoria.

Mecenati precursori della storia dell’arte

Gertrude Vanderbit Whitney
Gertrude Vanderbit Whitney

I mecenati sono imprevedibili. In questi giorni si dibatte a Ginevra sull’opportunità di accettare la donazione del signor Jean Claude Gandur, che vorrebbe collocare le sue importanti collezioni di arte antica e moderna presso il Museo di Arte e Storia di Ginevra, offrendo 40 milioni di franchi per sostenere l’ampliamento e il rinnovamento del museo. Qualcosa del genere accadde nel 1918 a New York, con un esito carico di conseguenze. La scultrice e magnate Gertrude Vanderbilt Whitney voleva donare 500 opere di arte americana al Metropolitan Museum, che rifiutò l’offerta. Così creò quello che sarebbe divenuto il Whitney Museum, che fu inaugurato nel 1931.

Da quel momento il Whitney è divenuto un luogo dedicato alla storia dell’arte americana ma anche l’istituzione che attraverso mostre e acquisizioni, promuove artisti viventi .

imagesOggi il Whitney Museum ha subito una nuova trasformazione, e il nostro più grande architetto, Renzo Piano, è stato invitato a progettare un nuovo museo in grado di ospitare al meglio la grande collezione, passata nel frattempo da 500 a 21.000 pezzi.

L’invito a Renzo Piano è stato fatto nel 2004 e da poco più di un mese si è aperta la nuova sede.images

Il nuovo museo si trova ora nel Meatpacking District, la zona dove si trovano i mattatoi e il mercato di carni della città. L’edificio si affaccia da un lato sul fiume Hudson e dall’altro sul termine della High Line, una linea ferroviaria elevata ormai in disuso trasformata in un camminamento pedonale.

Dovendo tradurre in immagine l’edificio Renzo Piano ha scritto è una grande fabbrica, sollevata da terra, che da un lato guarda verso l’acqua e dall’altro verso la città”. Otto piani, a sud gli spazi espositivi a nord gli uffici: all’interno anche un teatro e spazi dedicati a laboratori educativi.

Sul lato est del museo si vedono i diversi piani “come in uno ziggurat che degradano verso la High Line e Washington street mentre la massa dell’edificio aumenta verso il fiume Hudson. Ogni piano ad est, si affaccia su una terrazza che si può utilizzare come sala espositiva all’aperto. L’edificio è rivestito d’acciaio in correlazione con il quartiere costituito per lo più da edifici industriali in mattoni e metallo, per gli interni invece è stato scelto il cemento a vista.

Io sono tra coloro che ancora non hanno visto il nuovo museo Whitney ma che hanno potuto avere tra le mani il catalogo di Renzo Piano. Ho apprezzato molto la scelta di farlo in italiano-inglese, un gesto di rispetto per la nostra identità culturale. Si, perché l’Italia merita rispetto in campo culturale ma a volte sembra distratta. Fatemi fare un esempio: che ne è della lingua italiana nella nostra famosa Biennale di Venezia e dove sono stati rilegati i nostri artisti? Sono nel canalino di coda dell’ Arsenale e con questo abbiamo detto tutto.

Il giardino volante

Con questo cartone animato realizzato da  Chiara Guidi si è inaugurato sabao scorso Il giardino volante. Un giardino pubblico progettato a Pistoia pensato come un pensiero d’arte.  Il giardino nel centro della città è una grande area verde disegnata con tante opere- gioco dedicate ai bambini che amano scivolare, saltare, arrampicare e correro tutto il giardino sembra una grande opera  costruita per stuzzicare, sollecitare e invitare ad aprire l’intelligenza verso un modo diverso di percepire la realtà  .

Atelier Mendini  con Andrea Balzari, Pagoda
Atelier Mendini con Andrea Balzari, Pagoda

L‘arte contemporanea penetra nel tessuto della città e diventa un momento di svago, riposo e gioco. Finanziato per intero dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia il giardino è stato chiamato Giardino Volante.

Chi ha disegnato i giochi sono stati gli artisti Luigi Mainolfi , Gianni Ruffi e l’atelier Mendini con Andrea Balzari. Tutti scelti perché nel corso della loro carriera hanno sempre mantenuto una curiosità per la vita, un’ironia e un approccio all’arte che si conciliavano con il giardino.

A questi giochi opere dobbiamo aggiungere il lavoro dei due architetti Lapo Ruffi e Angiola Mainolfi che hanno ritessuto il giardino, ripensando il verde , aggiungendo percorsi , casette di legno , panchine e una strordinaria illuminazione.

Il giardino, opera architettonica di Lapo Ruffi e Angiola Mainolfi
Il giardino, opera architettonica di Lapo Ruffi e Angiola Mainolfi

Concludo con una riflessione: da pochi giorni si è aperta a Venezia la 56°biennale di Venezia, l’appuntamento d’arte più prestigioso per l’arte contemporanea. Quest’anno il titolo è Tutti i futuri del mondo. Il Giardino Volante sembra voler proporre un futuro visto attraverso l’arte,  quello che guarda ai suoi abitanti e in modo particolare all’infanzia lasciando che cresca imparando a coltivare la libertà di pensiero.

Il giardino fin da subito è stato preso d’assalto da tanti bambini e famiglie, chi volesse saperne di piiù può trovare tutte le informazioni sul sito www.ilgiardinovolante.it.

Volume e leggerezza, forza e intimità nelle opere di Ursula Von Rydingsvard

Ursula Von Rydingsvard, Right Arm Bowl
Ursula Von Rydingsvard, Right Arm Bowl

Le sculture di Ursula Von Rydungsvard ricordano le forme misteriose di certi alberi millenari, sono grandi possenti e monumentali, ma più di una volta possono stupirti perché diventano traforate come un merletto oppure ricordano i ritagli di carta.

Ursula Von Rydingsvard, Collar with Dots, 2008
Ursula Von Rydingsvard, Collar with Dots, 2008

Alcuni lavori si ispirano anche a semplici oggetti quotidiani o ricordano attrezzi agricoli del passato, cornici, collari appena abbozzati, oggetti tondi che ricordano dei vecchi specchi o una serie di cucchiai giganti che si staccano dal muro. Ma la maggior parte del suo lavoro è fatto di semplici forme che ricordano le zolle di terra, tracce di cortecce impresse sulla carta.

Ciò che fa affascina è anche il frequente uso del legno – il cedro per la precisione – da lei scelto come l’essenza più neutrale, e che lei utilizza fin dagli anni Settanta assemblando pezzetti di formato 4X4 .images

C’è tutta una generazione di artiste nate intorno nella prima metà del XX secolo che hanno lavorato la scultura cercando di conciliare la forma e la forza della materia con la sensibilità di uno sguardo interiore. Anche Ursula è tra quelle: lavora con grandi dimensioni che ispirano monumentalità, ma allo stesso tempo nascondono una leggerezza e un’intimità tutta femminile.

Ursula Von Rydungsvard nasce a Deensen nel 1942 in Germania e ancora bambina si trasferisce in America dove studia alla Columbia University. Ora vive e lavora a Brooklyn.

Lavora il legno e la carta con grande originalità. Al legno è legata anche da ricordi d’infanzia, ricordi duri legati alla permanenza con la sua famiglia nei campi di lavoro in Germania dopo la guerra vicino alla foresta di Holzminden. La sua famiglia infatti originaria della Polonia ha vissuto durante la guerra il dramma dell’esilio e dei campi lavoro in Germania. Il legno era l’unico materiale a disposizione per scaldarsi, per costruire le baracche, per realizzare utensili come i cucchiai.images

Il legno dunque diventa per lei compagno di vita e di lavoro, materia per i suoi ricordi e per le sue creazioni più suggestive.

Quest’anno chi andrà a vedere la Biennale di Venezia la cerchi perché lei ci sarà, con il suo lavoro, fuori dal percorso ufficiale, presentata tra l’altro dal Yorkshire Sculpture Park dove in questo momento ha una bellissima mostra.

Spazi pubblici arte e sentimento

I processi sociali cambiano lo spazio pubblico urbano.

Riflettevo su questa frase mentre  avevo in mente altri due fatti, di per se’ lontani, che mi hanno colpito in questi giorni:

-L’iniziale  protesta pacifica contro  il piano di demolizione del parco di Gezi a Istanbul per costruire un centro commerciale.
– L’opera di Lara Almarcegui presentata nel padiglione spagnolo alla Biennale di Venezia.

Paglione spagnolo, Biennale di Venezia 2013, opera di Lara Almarcegui
Paglione spagnolo, Biennale di Venezia 2013, opera di Lara Almarcegui

Entrambi gli eventi riflettono sul significato d’identità di un luogo pubblico.
Lara Almarcegui lo fa con il suo lavoro d’artista,  da sempre interessata a mettere in evidenza i rapporti tra architettura e assetto urbano, tra rigenerazione e decadenza di un luogo. Si è sempre interessa ai luoghi abbandonati delle città e alle struture che verranno demolite. L’hanno definita un’archeologa del presente e, in quanto artista, il suo pensiero si traduce  nel “fare e nel restituire visivamente la sua ricerca”. Così, quando sceglie un luogo, come ad esempio il padiglione spagnolo a Venezia, per prima cosa studia lo spazio che le è stato offerto assieme all’architettura del padiglione e alla sua storia, per poi rendercelo sotto forma di peso e volume. Mi spiego meglio: il suo intervento sta nel rimettere dentro al padiglione tutto il materiale scomposto che è servito a costruirlo. E’ così che ci ritroviamo davanti a una montagna di sassi, tutti della stessa misura (500 metri quadrati), di mattoni (255 metri quadrati)  e poi di cemento e così via.

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Lara Almarcequi, padiglione spagnolo, Biennale di Venezia 2013

Questo lavoro lei lo fa non come semplice atto formale, ma anche con il desiderio di ottenere un impatto sociale. Le sue opere infatti, come ha  spiegato bene il suo curatore Octavio Zaya, esplorano le relazioni che intercorrono  tra il materiale, l’economia e lo spazio pubblico.

Tornando a noi: “i processi sociali cambiano lo spazio urbano“.

Che significato allora ha avuto per i turchi difendere quel parco? Perché hanno cominciato a lottare affinchè non vengano tagliate quelle piante? Questa protesta sembrava diretta, almeno nei suoi stadi iniziali prima che prendesse un altro peso politico, al rifiuto per il peso e il volume di un centro commerciale e per la difesa di quello spazio pubblico.

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Parco di Gezi, Istanbul

Ancora una volta l’arte respira il sentimento contemporaneo e anticipa gli stati d’animo delle persone. E cosa altro se non questo fu il significato della grande installazione che Joseph Beyus intraprese nel 1982 quando decise di voler far piantare a Kassel7000 querce, ciascuna con un basamento in pietra. Un intervento che si concluse solo nel 1987.
Beuys sapeva che con un intervento del genere avrebbe influenzato il paesaggio urbano  avrebbe lasciato un segno e lanciato un messaggio per tutti in difesa della natura ma anche dei suoi valori .

Alla fine ho deciso i processi sociali, cambiano lo spazio urbano in meglio se accompagnati dall’arte.

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Joseph Beuys, Kassel 1982

È l’ora del Festival

Festival-di-Cannes-PosterChi l’avrebbe mai pensato che il Festival del Cinema di Cannes deve la sua nascita alla cugina italiana, la Mostra del Cinema di Venezia ? La storia, fra i cinefili intendo, è nota. La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia vede la luce nell’agosto del 1932 per volere dell’allora presidente della Biennale di Venezia il conte Giuseppe Volpi di Misurata (da cui la Coppa Volpi che ancora oggi viene assegnata ai vincitori come migliore attore e migliore attrice protagonisti), dello scultore Antonio Maraini e di Luciano De Feo, capo dell’Istituto internazionale per il cinema educativo. Il tutto nasce come un rilancio turistico della città di Venezia, per attitrare le folle che magicamente scomparivano dalla laguna nel bel mezzo dell’estate. Apprezzata fin dalla nascita per la proiezione di film senza censura, si ritrovò ben presto presa nelle anguste maglie del regime fascista (tanto che il film vincitore dela rassegna veniva premiato con la Coppa Mussolini). Fra il 1932 e il 1938 passarono al festival di Venezia i nomi migliori del cinema dell’epoca : nel 34’ migliore attrice fu Katharine Hepburn per Piccole donne di Cukor ; nel 36’ furono proiettate le pellicole di registi quali Frank Capra, John Ford e René Clair ; nel 37’ spopola La grande Illusione di Jean Renoir con un giovanissimo Jean Gabin. Poi, nel 1938, le pressioni del governo fascista falsarono i risultati della competizione e portarono alla vittoria Olympia di Leni Riefenstahl, il lungometraggio sui giochi olimpici a Berlino del 1936, pura propaganda nazista.

Questo episodio fu la scintilla che fece decidere al governo francese, nella persona del Ministro delle belle arti Jean Zay, di creare un festival in Francia in cui fosse chiaramente affermato il concetto di pace e di liberta.

Due candidate si contesero il posto per ospitare il nuovo festival : Biarritz, ex villaggio di pescatori di balene, scoperta da Victor Hugo nel 1843 e divenuta luogo di vacanze per antonomasia in cui approdava tutta l’alta borghesia francese, e Cannes che incominciava proprio al termine degli anni 30’ la sua espansione, grazie al clima favorevole, alle belle spiagge e agli hotel di lusso.

Cannes fu la prescelta e nel 39’ si aprì il primo festival di Cannes, che chiuse subito i battenti a causa della guerra, che decretò uno stop fino al 1946.

Quando il Festival di Cannes riaprì i battenti lo fece alla grande, celebrando anche il cinema italiano che con Roma città aperta di Rossellini, vinse il Grand Prix come migliore film dell’anno.

In effetti fra il cinema italiano e il festival c’è sempre stata una « relazione di amorosi sensi », bastano pochi nomi di film del Palmares sulla Croisette per dimostrarlo : La dolce vita, Il Gattopardo, Padre Padrone, L’albero degli zoccoli, La stanza del figlio.

Ma il festival non è solo la passerella di divi e registi che qui hanno l’occasione di farsi conoscere dal grande pubblico è un evento mondano in cui non si risparmiano colpi di scena, incontri « ravvicinati » e comparsate sul « red carpet ». Tutti voglion esserci, tutti vogliono stupire, tutti vogliono richiamare l’attenzione,

E se un tempo sul lungomare di Cannes si vedevano camminare Grace Kelly e il suo bel principe Ranieri oggi una folla brulicante attende la star di turno armata di cellulari per riprendere l’evento.

La giuria di quest’anno conta nomi super famosi : presidente Steven Spielberg, giurati Nicole Kidman, Ang Lee, Naomi Kawase, Daniel Auteuil, Vidya Balan e Christoph Waltz, Cristian Mungiu e Lynne Ramsay.

Auguriamo loro un buon lavoro e aspettiamo con ansia non solo di poter assistere ai film in concorso, ma anche di avere notizie di stravaganze e gossip su un mondo, quello del cinema, che sempre affascina noi spettatori.