Libere

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Domenica ha vinto Macron in Francia ma soprattutto hanno vinto, guadagnando la vita, 80 studentesse prigioniere di Boko Haram, il gruppo fondamentalista nigeriano : sono state liberate nel quadro di uno scambio di prigionieri col governo nigeriano.

Questa storia, fa paura come il più terribile degli incubi. E’ agghiacciante e poco comprensibile per noi donne dell’occidente. E’ cosi’ imbarazzante che sia potuto accadere un rapimento del genere, che quasi sarebbe più (ignobilmente) comodo se le ragazze divenissero trasparenti e invisibili, per noi che viviamo in un altro mondo, ove queste cose non accadono, ma anche per la Nigeria, che non è stata in grado di impedire questa follia.imgres

Proprio domenica, a pranzo, con una donna di quella parte di Africa (un’esperta di cose sociali impegnata in prima linea in vari progetto di sviluppo), abbiamo riassunto la parabola criminale di Boko Haram. A ben guardare, è radicata nella storia della Nigeria degli ultimi decenni: la corruzione dilagante nel governo centrale, faceva sì che nelle province arrivassero solo funzionari corrotti delle élite della capitale: i pochi che avevano studiato nel mondo coloniale. Col tempo, la gente delle province più sfruttate si è industriata per mandare i propri figli a studiare, anche all’estero, perché potessero sostituirsi a queste élite corrotte. Ma la corruzione in Nigeria è sistemica, e quindi anche gli studenti di ritorno si sono dedicati con cura a questa attività, che sembra essere un vero e proprio sistema parallelo di governo. Rabbia assoluta e una domanda: se anche i figli delle nostre comunità sono corrotti: dov’è l’errore? ed ecco al risposta dettata dall’ignoranza, ma semplice e immediatamente comprensibile d tutti (anche se sbagliata): la corruzione è legata all’educazione e in particolare a quella occidentale! Da qui Boko Haram, che significa: l’educazione è proibita. Da qui il peggior fondamentalismo. da qui il legame con l’islamismo. Da qui il rapimento delle studentesse. Cronaca di un fallimento globale: dell’occidente e di ciò che ha lasciato dietro di sé in Africa, ma anche delle élite africane e del mondo che hanno costruito in decenni di autogoverno.

Ricordi

Michael Rovner
Michal Rovner, Time Left, 2003

Oggi è la giornata della memoria: si ricordano tutte le vittime dell’olocausto. Invece di aggiungere parole scontate sull’argomento, ho preferito scegliere le immagini di un’artista che vidi per la prima volta a Venezia, alla 50esima Biennale, nel padiglione israeliano: Michal Rovner.  Nella stanza erano proiettate file ininterrotte e parallele di figure umane, ombre allineate in un cammino incessante. Le ombre, piccole come formiche, coprivano tutti i muri e su di esse erano state tirate delle linee orizzontali, come se fossero contate a dozzina. Quelle figure umane erano come una lista anonima di persone; erano nere, grandi come formiche, e venivano depennate come una lista di cose: ormai non avevano più niente di umano.

Michal Rovner
Michal Rovner

Michal Rovner – come in passato l’artista polacca Magdalena Abakanowicz con le sue sculture di iuta o bronzo – aveva suscitato in me il vuoto. Quell’allineamento passivo dei corpi che camminano, inermi, simili ad ombre, contribuiva a diluire o cancellare ogni individualità. Il punto di vista dello spettatore era simile a quello di una persona che osserva un formicaio.

Time Left, il nome di questa l’installazione del 2003 della Rovner, ricordava l’olocausto, ma non solo: qui riaffioravano tutti i genocidi e massacri di ogni tempo, non ultimo quello miserabile di Boko Haram in Nigeria. Nel silenzio della stanza, avvolti dall’installazione, percepisci che quello che vedi non è solo il passato, ma è anche il rischio del nostro presente.

Dopo quella Biennale di Venezia Michal Rovner è diventata un’artista affermata. Qualche anno dopo ho avuto il piacere di ritrovarla in Italia, in una una fiaba dal titolo l’abbraccio, illustrata da lei ma scritta da David Grossman ed edita da Mondadori. Anche questa volta sono stata toccata dal suo lavoro. La storia narra di un dialogo tra un bambino di nome Ben e la sua mamma: insieme si domandano se ognuno di noi è unico al mondo e se essere unici ci rende soli . Alla fine la mamma afferma: “ Ecco, prendi te per esempio-Tu sei unico(…) anche io sono unica , ma se ti abbraccio non sei più solo e nemmeno io sono più sola (…) vedi-gli sussurrò la mamma- proprio per questo hanno inventato l’abbraccio”.imgres

E l’abbraccio, credo, sia il miglior deterrente  per il giorno della memoria.

Chiacchiere del Lunedì

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Volutamente non abbiamo commentato a caldo i fatti tragici della settimana scorsa. Abbiamo voluto lasciar trascorrere un po’ di tempo in modo che le nostre parole non fossero fraintese o strumentalizzate da chicchessia.

Ma i morti di Parigi, della strage di Charlie Hebdo, e quelli della Nigeria, provocati dalla furia di Boko Haram, ci ricordano quanto siamo schiacciati da una violenza sorda ad ogni tipo di compromesso.

Chi come me ha vissuto gli anni di piombo sa che la strategia del terrore si esprime repentina come violenza armata, come peso insostenibile sulla vita delle persone, sui sogni delle nuove generazioni.

Ecco è proprio questo che non dobbiamo permettere, che la paura ci immobilizzi, e riporto qui le parole di un fumettista Lionese, Olivier Jouvray, pronunciate il giorno stesso della strage di Parigi: “amici artisti, siamo forti e soffiamo il vento dell’amore, dello humor e della benevolenza per spegnere questo incendio di odio”.

Mercoledì dunque tutti a comprare il nuovo numero di Charlie Hebdo.

Chiacchiere del Lunedì

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Vogliamo mettere in primo piano oggi la vicenda delle oltre 200 ragazze nigeriane rapite dal gruppo armato di estremisti di Boko Haram mentre erano a scuola nel villaggio di Chibok, vicino al confine con il Camerun, le quali, a dispetto delle minacce si erano recate in classe per poter sostenere gli esami del liceo. Tutto il mondo ne parla e si sta mobilitando affinché queste giovani vengano ritrovate al più presto, ma sembrano svanite nel nulla.

Michelle Obama

Sabato mattina la First Lady, Michelle Obama, ha preso un’inconsueta iniziativa. È apparsa in vece del marito Barack nel consueto spazio televisivo che occupa il Presidente degli Stati Uniti settimanalmente, invitando tutti i a fare pressione ed ad aiutare il governo Nigeriano nel ritrovamento delle ragazze. Ma già all’inizio della settimana Michelle aveva twittato una foto in cui regge un cartello su cui compare #BringBackOurGirls. Sabato anche papa Francesco aveva fatto sentire la sua voce riguardo alla vicenda. Ancora violenza, ancora sulle donne, in un continente che non riesce a trovare la pace…