Cézanne et moi

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Un amico per la vita; bello ma è una prova non sempre facile. L’amicizia infatti è una miscela strana di affetto, competizione, lotta e compassione. Quattro elementi che se non sono ben dosati possono diventare una bomba; ma se riescono a convivere formano un legame indissolubile. Se poi due amici sono Emile Zola, lo scrittore, e Paul Cézanne, il pittore, allora questa amicizia diventa di interesse pubblico e quando te la raccontano in un  film diventa perfino appassionante. Questa è stata la mia reazione, quando sono andata a vedere la scorsa settimana il film Cézanne et moi, diretto da Daniele Thompson.

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Narra dell’amicizia nata tra due bambini che poi divengono adulti, continuando a intrecciare le loro vite, ma allontanandosi affettivamente sino all’incomprensione, dovuta al successo e alla freddezza di uno e all’insuccesso e alla disperazione dell’altro. Zola, è noto, divenne famoso in vita, al punto tale non solo da vendere benissimo i suoi libri, ma anche da diventare un’icona nazionale con la sua rivoluzione realistica nell’arte del romanzo. Con lui gli operai, le nuove classi dimenticate, avevano vita e dignità letteraria. Ed era appassionato d’arte! Amava gli impressionisti sin da quando nessuno voleva considerarli pittori: nel film lo si vede ospitarli a casa sua, frequentare le loro esposizioni, compreso il salone del 1863, dove loro fecero scandalo (oggi sembra impossibile). Eppure non riesce a considerare grande, veramente grande, proprio il suo caro amico, che si perde nel labirinto di una personalità contorta inanellando un rifiuto dopo l’altro.

Oggi sappiamo che invece Cézanne era il genio assoluto. Di lui Picasso disse: “E’ il padre di tutti noi”. Da lui discende il Novecento con la pittura delle avanguardie e tutto quello che ne segue. Senza Cézanne non si entra nel secolo appena concluso.

E’ un bel film, con i suoi dialoghi tra i due amici, ma anche con gli incontri con altri personaggi della cultura francese dell’epoca e con i colori della pittura di Cézanne, che vivono in ogni scena, sino a stemperare la storia nella visione di una Provenza incantata (oggi a volte sciupata da costruzioni eccessive e da un turismo un po’ becero) e luminosa. Il film si chiude con uno sguardo su uno dei soggetti preferito nell’ultima parte della sua vita: il Mont Saint-Victoire.cezanne-and-i

   

Impara l’arte…

SpeedArt_couv_boiteChi trova il collegamento fra  il Monopoli, il Trivial Pursuit, Risiko, il Gioco dell’Oca e altri giochi da tavolo e Mondrian, Van Gogh, Klee, Cézanne e tanti tanti altri artisti famosi?

Il collegamento lo ha trovato, anzi creato, la Fondazione Beyeler di Basilea, che dal 21 novembre ha messo sul mercato un gioco da tavolo in cui protagonista assoluta è l’arte.

Speed art è un gioco di carte sviluppato dai designer della Carlit + Ravensburger e dal team di mediazione artistica della Fondazione Beyeler, che si prefigge di avvicinare all’arte anche i più piccoli attraverso un gioco di carte il cui scopo è quello di riconoscere per ogni opera rappresentata le somiglianze nel più breve tempo possibile. L’invito è a osservare, riconoscere e classificare, senza il bisogno di essere esperti d’arte ma solo avendo un occhio acuto e una mano rapida. Naturalmente le opere sono quelle della collezione Beyeler.

Non è la prima volta che la Fondazione Beyeler si fa promotrice di nuovi metodi per avvicinare le giovani generazioni all’arte.  Nel 2012 infatti aveva curato la pubblicazione di un divertente volume intitolato L’Art, c’est quoi ? 27 questions, 27 réponses, in cui l’approccio all’arte veniva proposto attraverso la risposta a 27 domande sorprendenti e piene di humor. Nel 2013 fu la volta di un’applicazione per smartphone ArtShaker, attraverso la quale si possono rimixare e sistemare a piacimento le proprie foto come se fossero le opere della collezione Beyeler attraverso effetti di colore, forme luce ecc.

Questo gioco divertente ed educativo fino alla metà di gennaio sarà in vendita solo presso lo shop della Fondazione e on line.

La riapertura del Museo di Picasso a Parigi

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Pablo Picasso, ritratto di Paulo in costume da Arlecchino, 1924

Si è riaperto da poco il Museo di Picasso a Parigi. Un’occasione da non perdere per chi ancora non lo conosce, ma anche per chi aveva l’abitudine di visitarlo prima che venisse chiuso per i lunghi restauri. Il museo, che ha sede nel Palazzo Salè (XVII secolo), nel quartiere Marais, ora è più grande di prima. Però l’impressione che ho avuto, visitandolo, è che non fosse cambiato poi molto da come lo ricordavo. Grazie al cielo, e non poteva essere altrimenti, si possono ancora ammirare le luci bellissime e le sedie di Diego Giacometti, fratello designer di Alberto Giacometti. E poi, ovviamente, c’è Picasso con tutto il suo mondo. Una volta entrati nelle sale, le sue opere vi avvolgeranno. Picasso è stato un artista per tutta la vita figurativo, esplorando però ai limiti del possibile tutto ciò che si potesse fare con la pittura e con la scultura.

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Pablo Picasso,Natura morta con sedia impagliata, 1912

Ha attraversato tutte le fasi dell’arte in un percorso personale intenso e lungo una intera vita: nel museo troverete le sue prime esperienze pittoriche spagnole, la scoperta del colore nei primi viaggi a Parigi, il contatto con Braque, il cubismo, il suo passaggio in Italia e poi il surrealismo, la scultura fatta con tutto e poi le opere di ceramica. Vi troverete opere di arte africana da lui collezionate e alcuni studi per Les demoiselles d’Avignon, una delle sue opere più celebre del 1907. Vi sono i ritratti e le sue fotografie, così come i quadri della serie dei baci, fatti con bocche popolate da denti affilati. Troverete anche quadri della sua collezione: Cézanne, Degas, Seurat, Rousseau il Doganiere, Modigliani.

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Pablo Picasso, Il bacio, 1969

In questo museo incontrerete, insomma, tutta la vita di Picasso, e su richiesta è possibile anche consultare una biblioteca specilizzata sull’artista. Insomma, un vero gioiello per la Francia che ebbe l’intelligenza di permettere agli eredi di Picasso di pagare le tasse di successione con le opere d’arte, in modo da realizzazione di questa raccolta pubblica.

La riapertura è stata un gran segno positivo e, senza guardare alle polemiche sui tempi della burocrazia e sui costi, vorrei segnalare un lato che ho trovato nonostante tutto carente: mi riferisco all’aspetto più museografico. Dovrebbe infatti essere migliorata l’accoglienza al visitaotre. Sarebbe, ad esempio, assai utili migliori e più frequenti pannelli esplicativi, per meglio seguire le diverse fasi del lavoro di Picasso, per sapere chi fossero i personaggi principali del suo lavoro, oppurecome costruì la sua collezione personale. Emblematica è la sedia tratta da uno dei suoi studi, posta in mostra con i penneli e i colori dell’artista, sicuramnte per incuriosire il visitatore, ma senza una vera spiegazione che aiuti a collocarla nella storia dell’artista stesso, rendendola così pienamente parte del percorso espositivo. E’ certamente vero che le audioguide nel museo non mancano, ma una visita senza di esse è priva di ogni sostegno alla lettura dell’artista.

Comunque ciò che conta è che le opere ci sono. Spero che un allestimento espositivo migliore sia solo questione di tempo. La vista vale assolutamente la pena.

Le avventure della verità

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Fondation Maeght

Andar per musei può essere un modo diverso di organizzare le vacanze: se poi il museo si trova in una delle città più vacanziere e affascinanti della Costa Azzurra, unire l’arte con il divertimento è naturale. E’ così che vorrei segnalarvi una mostra che si aprirà il 29 giugno prossimo a Saint-Paul de Vance presso la Fondation Maeght, dal titolo “Les aventures de la vérité. Peinture et philosophie: un recit”. La mostra non è curata da un critico d’arte, ma dal filosofo Bernard-Henry Lévy che la ha pensata e studiata per due anni, su invito dal direttore della Fondazione Olivier Kaeppelin, con lo scopo di esplorare i rapporti tra arte e filosofia. E la verità è il fulcro attorno al quale ruotano le opere scelte. Tutto è partito, come Henri Lévy ha riferito in un’intervista a Beaux Arts, da una lettera di Cezannè scritta a Emile Bernard, dove il pittore afferma che la verità possa essere raggiunta attraverso la pittura, cosa che invece Platone aveva escluso potesse avvenire. Per il filosofo greco, infatti, l’artista poteva solo imitare ciò che già era una copia della realtà ultima. Chi ha ragione dei due, si domanda il filosofo? E su questa domanda costruisce la mostra.

Nella mostra si cerca di mettere in luce come le immagini  hanno influito, trasformandola, sulla storia del pensiero. Al centro dell’esposizione è stata posta una scultura di Marina Abramovic, intitolata The Communicator (number 4), una testa di cera nera trafitta da cristalli di quarzo.  Sono visibili poi un centinaio di opere antiche e contemporanee, divise in sette sezioni ,viste come un percorso intellettuale e artistico: Così vengono affiancate opere come la crocifissione di Basquiat e quella del Bronzino, oppure la Pietà dell’artista ferrarese del Quattrocento Cosmé Tura e quella dell’artista contemporaneo Jan Fabre.  Ogni opera sarà illustrata da un testo del filosofo e si potranno vedere dei video degli artisti che leggono una scelta di testi di filosofi indicata da Henry Lévy stesso.

Marina Abramovic,The Communicator (number 1)
Marina Abramovic,The Communicator (number 1)

Non sarà semplice cogliere in pieno il percorso immaginato da Henri Lévy, che lega assieme l’origine iconoclastico delle nostre società d’origine giudaico-cristiana e l’affermarsi nel tempo delle immagini sul pensiero.  Ci verranno posti dei dubbi sul ruolo dell’arte nella nostra esistenza e sarà messo l’accento sul fatto che l’arte non può essere letta come si leggono i fatti della storia: l’arte ha sempre qualcosa di sacro e non può essere separata dall’esperienza estetica.

Sicuramente questa mostra è uno degli eventi da non perdere di quest’estate: “uno degli eventi culturali del 2013” come l’ ha definita il New York Times.