Una mostra che non voglio perdere

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Tino Sehgal, performance Tate Modern, 2012

Una mostra che voglio veramente vedere  si aprirà il 12 ottobre a Palais de Tokyo, dell’artista Tino Sehgal. Sono sicura che sarà un’esperienza che non dimenticherò, come accadde la prima volta che vidi l’opera di Sehgal nel padiglione tedesco alla biennale di Venezia del 2005. Non so, pero’, se il verbo vedere sia quello giusto, perché il lavoro di Tino Sehgal non si vede: si vive. Non si può definire  un semplice performer, anche se il suo lavoro parte dal teatro;  lui si definisce un “costruttore di situazioni”. Non puoi afferrare con le mani la sua opera, non ci sono opere da vedere, ti devi accontentare il ricordo di un momento in cui ti ha coinvolto nella sua arte, con le sue parole, gesti e momenti di incontro.

Ho letto di questa mostra su Beux Arts di ottobre . Il suo intervento rientra in una manifestazione dal titolo “Cartes Blanches”, che offre all’artista la possibilità di lavorare in tutto lo spazio del Museo (13.000 quadrati).

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Tino Sehgal, Performance Biennale di Venezia 2013

Leggo nella rivista l’articolo di Emmanuelle Lequeux e già penso a come devo organizzarmi per andare a Parigi a visitarla. La mostra leggo sarà : “ Come un’odissea dove il visitatore farà esperienza della sua propria complessità , della sua soggettività. Confrontato  con delle opere che sollecitano un’energia folle, ciascuno può’ scoprire la sua scrittura individuale e risvegliare quella materia prima dormiente che costituisce i legami fra tutti noi, soggetti”. Leggo che per la mostra Sehgal ha invitato altri artisti come Daniel Buren o Philippe Parreno che presenteranno delle opere in dialogo con il  suo lavoro. Si rifletterà su alcuni concetti  come la sparizione dell’oggetto, la dipendenza tra opera e visitatore. Insomma Palais de Tokyo si trasformerà in un teatro perpetuo, un labirinto di percezioni diverse.

 Mentre penso a questa mostra vedo incroci di linguaggi artistici che si sfiorano e che partecipano insieme al lavoro più difficile che l’arte deve compiere : risvegliare la nostra attenzione e i nostri sensi. Allora penso ad una forma di teatro che non è lontana dalla ricerca di Sehgal . E’ il teatro sensoriale del drammaturgo e antropologo Enrique Vargas. Il teatro de los Sentidos,  che ho potuto conoscere grazie al lavoro dell’attrice Patrizia Menichelli, da decenni parte della compagnai teatrale dello stesso Vargas www.arsinteatro.it.

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Patrizia Menichelli

La cartolina

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Oggi inviamo una cartolina da Strasburgo, città famosa per essere la sede del Parlamento europeo ma in questi giorni Capitale del Natale. Nel mese di dicembre infatti la città si veste a festa con milioni di luci e mercatini di tutti i generi. Ormai è una tradizione e tra vin brulé, cappelli natalizi e angeli, la testa non mancherà di girarvi.

Gli angeli volano luminosi nelle strade e stanno attaccati alle capanne di legno del mercato. Ma se andate, non mancate di vedere gli angeli più belli: quelli che si trovano all’interno della cattedrale (monumento iniziato nel XII secolo e terminato nel 1439). Nel transetto destro troverete il Pilastro degli angeli, un opera scultorea del 1230 che rappresenta il Giudizio Universale. L’opera ha un’iconografia molto originale e vedrete, in tre registri sovrapposti, i quattro evangelisti, gli angeli che suonano la tromba e quelli che portano gli strumenti della Passione, con infine Cristo giudice.Vicino al pilastro, rimarrete anche affascinati dall’orologio astronomico del XVI secolo. Se lo guardate potrete trovare un sacco di informazioni: l’ora, il calendario e gli astri e al suo interno ci sono dei carillon spettacolari. Queste caratteristiche della cattedrale aumentano il fascino della magia di Natale.

La cattedrale e la città vi affascineranno. Se però non fosse sufficiente, rimarrete molto soddisfatti anche della visita, sempre nel centro della città, del Museo d’arte contemporanea. Lui stesso vi chiamerà con lo sguardo, perché spicca fra tutti gli edifici a causa della  sua facciata colorata, opera dell’artista Daniel Buren.

Gli abitanti di Strasburgo curano il Natale in tutti i suoi aspetti di festa e di gioia. Non c’è da stupirsi che vi si trovino tante persone con strani copricapi in testa: alcuni indossano la cicogna, segno della regione dell’Alsazia, altri i piedi di babbo natale che esce dal cappello a forma di camino.


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Bandiere

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E’ davvero inusuale per me, ancora fatico a non sorprendermi: senza dubbio in Svizzera c’è passione per le bandiere. Ora che ci avviciniamo all’inizio dei mondiali di calcio, le vedo spuntare dappertutto. Sventolano sulle case e sui tetti delle macchine, vengono perfino usate per decorare gli specchietti retrovisori. In fondo è un buona abitudine, dal momento che è l’occasione per mostrare le proprie origini e per adornare le città con bandiere di tanti paesi diversi.

Da sempre quel drappo di stoffa attaccato ad un’asta è un simbolo sotto il quale riconoscersi.
Ricordo che nel 2002, durante la guerra in Iraq, il dissenso con l’intervento militare veniva espresso attraverso la bandiera con i colori dell’arcobaleno, simbolo di pace, che in breve spuntò sui balconi e sulle finestre di tantissime case. Il mio parroco la tenne per molto tempo appesa all’altare.

Le bandiere poi sono anche un tema per l’arte contemporanea. Le bandiere al vento, ad esempio, sono state, direi, la firma di un’artista francese che ne ha fatto il proprio linguaggio artistico: Daniel Buren. Invece la bandiera dipinta alla stregua di un qualsiasi oggetto comune fu, alla fine degli anni Cinquanta, un tema centrale per l’artista New Dada Jasper Johns.

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Jasper Johns

Infine, indimenticabili, gli arazzi fatti eseguire alle donne afgane da Alighiero Boetti, dove si ammirano carte geografiche dell’intero pianeta, nelle quali lo spazio occupato da ogni paese ha i colori della sua bandiera. Un lavoro concettuale che nell’arco di pochi anni ha poi mostrato come le bandiere possano cambiare anche quando i confini rimangono immutati.

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Alighiero Boetti

In Italia, poi, da qualche anno, il 7 gennaio, si festeggia la Giornata Nazionale della Bandiera: un appuntamento per celebrare la nostra bandiera, ossia quel tricolore che tanto non piaceva al Principe Fabrizio Salina che, nel romanzo Il Gattopardo, affermava: “Il tricolore! Bravo, il tricolore! Si riempiono la bocca con questa parola i bricconi. E cosa significa questo segnacolo geometrico, questa scimmiottatura dei francesi, così brutta in confronto alla nostra bandiera candida con l’oro gigliato dello stemma? E che cosa può far loro sperare quest’accozzaglia di colori stridenti?” (Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, 2013, p.50).

Specchio specchio delle mie brame…

Lo specchio e lo specchiarsi sono fra i temi preferiti dall’arte nel corso della sua intera storia. Chi non ricorda il volto del pittore Jan Van Eyck riflesso nello specchio alle spalle dei coniugi Arnolfini, oppure Las Meninas di Diego Velasquez dove l’Infanta Margherita guarda, il re e la regina  che noi vediamo perchè riflessi in uno specchio dietro di lei.


Porsi davanti al quadro a dipingere il proprio riflesso o permettere di vedere parte della scena dipinta da un punto di vista diverso. E così il tema dello specchio non cessa mai di interessare gli artisti: anche oggi  continuano a rifletterci e attraverso esso ci ripropongono lo spazio rendendoci nuove percezioni. Penso ad artisti contemporanei come Daniel Buren che lo  ha usato per nascondere e mimitizzare una forma architettonica. Oppure lo specchio è usato per capovolgere il luogo e lo amplifica: come certi lavori di Enrico Castellani che dal quadro monocromo con la tela estroflessa è passato ad interessare lo spazio circostante. Infine  che dire del maestro dello specchio ovvero delle opere di Michelagelo Pistoletto che per decenni ha permesso ai suoi spettatori di filettersi nelle sue opere.

Lo specchio mi fa pensare anche quando l’artista si mette nei panni del  Narciso come nel caso dell’artista tedesco Olaf Nicolai con il suo “Ritratto del’artista come Narciso in lacrime” del 2000, la scultura in vetro resina è il ritratto dell’artista in ginocchio davanti alla sua immagine . L’opera in questi giorni è esposta al Museo dell’Accademia di Firenze nella mostra Arte torna arte. Una mostra collettiva di diversi artisti contemporanei messi a confronto e in dialogo con l’arte antica del museo.

E io, assolutamente convinta che l’arte contemporanea sia un piacere da saper cogliere con la curiosità che ha un bambino nei confronti del mondo, non posso dimenticare  quando mi portavano alla fiera: mi divertiva tantissimo entrare nel labirinto degli specchi dove ogni volta mi vedevo lunga e bassa, magra o grassa, e mi divertivo un sacco ad immaginare una realtà diversa da quella che conoscevo. In fondo quell’emozione era legata al  tema della realtà e dell’illusione tanto cara all’arte di tutti i tempi.

il colore come arma per leggere lo spazio: Daniel Buren al Grand Palais

Per chi fosse un italiano in transito a Parigi oppure per chi in questo periodo ha in programma un viaggio nella capitale francese, vorrei suggerire una visita al Grand Palais dove, nella cornice di Monumenta, potrà visitare la grande installazione di Daniel Buren.

Monumenta infatti è un avvenimento artistico molto atteso a Parigi, che si tiene ogni anno al Grand Palais e consiste nell’invitare ogni volta  un’artista di fama internazionale a produrre per quello spazio una monumentale installazione temporanea.  In passato sono stati ospitati gli artisti Anselm Kiefer, Richard Serra, Anish Kapoor e Christin Boltansky .

Come sempre le opere dell’artista francese Daniel Buren si presentano sotto la forma di installazione e  non nascono nello studio ma sono la realizzazione di un’idea nata in situ.  Il suo lavoro, infatti,  è sempre in relazione allo spazio. Anche in questo caso sembrerebbe voler mettere in risalto la complessità architettonica del posto.  Lo spazio viene riletto anche dall’uso del colore che per Buren ha un rulo molto importante, lui stesso definisce il colore “ L’ elemento visuale che appartiene alle arti plastiche. E’ connesso all’arte come il suono è connesso alla musica. E’ un pensiero puro che non può essere tradotto” .

Ogni volta il visitatore vive davanti alle opere di Buren  un susseguirsi di situazioni visuali in cui viene coinvolto in prima persona e diventa parte attiva dell’opera: è infatti il suo muoversi e immergersi dentro l’opera che permette di ricomporre i quadri e le forme geometriche dell’ambiente.

Nello spazio al Grand Palais Buren ha dato un grande risalto  alla luce filtrata dal soffitto e ha giocato con la forma geometrica del cerchio, facendolo divenire il tema dominante che evidenzia il cerchio  della cupole, dei balconi e delle nicchie interiori.

Assolutamente da non perdere : Daniel Buren  “Monumenta 2012” (Parigi, Grand Palais 10 maggio-21 giugno)