Ci vorrebbe Sc’veik

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Plonk e Replonk,Mètiers d’antan:le güneral d’operette, 2014

Ci vorrebbe uno Sc’vèik! Viviamo in un mondo popolato da guerre e assistiamo all’arrivo di apprendisti stregoni che vorrebbero gettare benzina sul fuoco: più soldi per le spese militari, più presenza di soldati sul terreno, droni, bombardamenti mirati e così via: ci siamo assuefatti alla guerra.

E allora occorrerebbe rileggere il romanzo antimilitarista di Hasek, il cui protagionista è un buon uomo, dai limitati mezzi intellettuali, che vive l’invio al fronte, nella prima guerra modniale, seguendo solo la bussola di un’illimitata ingenuità al limite della stupidaggine (“sono affetto da cretinismo congenito”, dice tutto serio). Eppure questo individuo, che nella vita normale falsifica pedigree per cani rubati, frequentatore infaticabile di osterie e incapace di rifiutare una bisboccia, risulta alla fine più saggio di tutte le gerarchie sociali e militari. In un mondo impegnato ad andare in guerra, tutti perdono la trebisonda, producendosi in atteggiamenti così idioti, da fare risplendere al lume della ragione la povera semplicità del buon Sc’vèik. V’è il generale che arringa la truppa chiamando i suoi soldati “maiali di mare” e, “dopo queste considerazioni a carattere eminentemente zoologico”, passa a lodare l’amor di patria. Si incontra un cappellano militare che del prete non ha niente: squallido approfittatore, crapulone e bevitore, passa il suo tempo nello scolarsi bottiglie di ogni tipo e nel contrarre debiti di gioco. Vi sono ufficiali tromboni e squinternati, furieri ladri, sergenti animaleschi e intorno a loro ruota tutta una società civile, rincretinita dall’imperativo della guerra, del difendere il sacro suolo, dell’uccidere per un mondo migliore. A un certo punto Sc’vèik si ritrova in ospedale e riceve la visita dei membri un’associazione caritatevole che sono così stupidi da far morire dal ridere.

Hasek mise in ridicolo il militarismo. Lo fece in maniera feroce, all’indomani dell’inutile carneficina (definizione data da Benedetto XV) iniziata nel 1914. Ci vorrebbe davvero qualcuno che ci facesse riflettere su dove, oggi, stiamo portando questo mondo, con tutta questa guerra. Dice, Hasek, nell’introduzione, presentando Sc’vèik: “Io voglio molto bene a questo eroe oscuro….. Egli non ha mica incendiato il tempio della dea in Efeso, come fece quell’imbecille d’Erostrato, allo scoo di apparire sui giornali e nei libri di lettura. E ciò mi pare che basti”.imgres

Eccoci qui

Finita la pausa estiva – un po’ di vacanze, un po’ di lavoro diverso dal solito – i ritmi cambiano e quando ti guardi indietro le ore passate sembrano essere trascorse in modo diverso. Quest’anno questa parentesi  per me ha il suono di una parola: VIAGGIO.

Questo perchè mi sono capitati davanti agli occhi:

– Un libro ricevuto in dono

– Un’opera d’arte

Il libro è Non dirmi che hai paura di Giuseppe Catozzella. Narra il viaggio di Samia, una ragazza somala che, credendo nella forza delle sue capacità, è decisa a tutto pur di poter correre da atleta. Ho seguito il suo viaggio trionfale alle Olimpiadi di Pechino e poi quello terrificante, come emigrante partita dall’Etiopia, compiuto per andare in Sudan e raggiungere, attraverso il Sahara, la Libia. Un viaggio in cui la speranza si intreccia ogni momento con l’orrore e con presagi di morte. L’ultimo tratto in mare dalla Libia verso l’Italia è quello in cui l’agognata desiderio di essere libera di correre e di allenarsi annegherà con lei, proprio in quel Mediterraneo che avevo davanti agli occhi mentre leggevo il libro.

L’opera d’arte invece era collocata nel giardino del Museo Bizantino di Atene ed è un lavoro dell’artista greco Kalliopi Lemos dal titolo Pledges.

Kalliopi Lemos, Pledges
Kalliopi Lemos, Pledges 2014

Si compone di una vecchia barca abbandonata utilizzata come traghetto dei migranti e ora ricoperta di 10 mila piccoli fogli di lamiera. Ogni foglietto è un ex voto, porta un nome, la data e il luogo raggiunto dall’emigrante che ha avuto il coraggio e  soprattutto la “fortuna “ di attraversare il mare per venire da noi. I biglietti di lamiera brillano nel giardino assolato di Atene e rendono la barca leggera come fosse uno spettro.

Due viaggi diversi che mi hanno portato in un’unica convinzione: lottiamo senza indugio per la libertà e la dignità di ogni essere umano.

Di mamma ce n’è più di una

Umberto Boccioni, La madre
Umberto Boccioni, La madre

Domenica sarà la festa della mamma. Ovvero è la festa di coloro che generano altri esseri umani e che provano a instaurare un rapporto di relazioni e di affetto, nell’ambito della famiglia. Quest’ultima, la famiglia, si rappresenterebbe bene come  una barchetta di carta fatta per affrontare il mare aperto.

Vi è una radicata visione tradizionale della buona madre, tutta dedita alla casa e ai figli. La verità è grazie al cielo ben più complessa. Oggi le madri sono in grado di avere una vita a spettro più ampio. Così oggi abbiamo deciso di inviare i nostri auguri a tutti le mamme: buone, cattive, ansiose, perfette, disperate, pienamente soddisfatte, raggianti, tristi, arrabbiate, fragili o in cerca di rassicurazioni.

Ogni madre è diversa, ognuna ha il diritto di scegliere come esserlo. Per cui il nostro augurio è quello di abbattere tutti i sensi di colpa su come si è e ridere un po’ di tutti quei modelli assurdi che ogni giorno ci vengono propinati dai media: donne belle, sempre fresche e rassicuranti, intente a preparare la colazione con i frollini più genuini ai propri figli,  oppure una cena col surgelato di turno.

imgresInfine ringrazio una mamma amica che ha ispirato questo commento, regalandomi un libro che tutte le mamme dovrebbero leggere: scritto da Loredana Lipperini si intitola Di  mamma ce  n’è più d’una (edito da Feltrinelli). Magari non sarete d’accordo su tutto ciò che troverete nel libro, ma sarà molto utile per rivedere tutti i modelli, le ansie e i condizionamenti che noi donne troppo spesso subiamo.

Il libro inoltre  mi ha anche ricordato che a volte noi donne dovremmo andarci piano con la mentalità della “maternità trionfante” per ricordarci il diritto di chi mamma non è. Loredana Lipperini scrive “Non è necessario diventare madri per essere felici: perché le donne che scelgono di non esserlo spesso non hanno voce, sono considerati ancora oggi un’anomalia, una stortura.”

Della follia creatrice

CopertinaSto faticosamente leggendo un libro di quelli che possono essere definiti “difficili”, bellissimo e straziante allo stesso tempo, a metà fra il saggio scientifico e l’opera letteraria. Innanzitutto qualche parola sul suo autore, Eugenio Borgna, definito il più grande psichiatra italiano, colui che nelle sue opere ha indagato l’intero ventaglio delle emozioni umane dalla nostalgia ai sentimenti di colpa, dall’inquietudine e dalla disperazione, all’ansia e ai rimpianti, dalle attese e dalle speranze, alla gioia e alla solitudine.

Il tema di questa sua nuova fatica è la follia, indagata non in senso clinico ma come presenza ineluttabile nella vita di ognuno di noi. Di armonia risuona e di follia infatti si riferisce proprio alla nostra vita che quando è colpita inevitabilmente dal dolore e dalla sofferenza diviene follia. Tale follia non è destinata a divenire patologica ma  può squarciare il velo della cosiddetta “normalità” e preludere addirittura alla creazione artistica. Il tentativo dell’autore è “di cogliere le radici umane della follia, che rifiuta le razionalizzazioni spietate per cui solo la cruda calcolante ragione cartesiana può confrontarsi con il senso della vita e tiene invece conto della crepuscolare legge pascaliana che allude alla presenza del dolore come una fatale compagna del nostro cammino”. La follia dunque come esperienza ineliminabile della vita, che comunque in tempi quali i nostri si cerca di normalizzare più rapidamente possibile.

Una parte importante del libro è dedicata all’influenza che la follia così interpretata svolge “sulla immaginazione creatrice di persone geniali”, l’autore si concentra infatti sulla “dimensione creativa della sofferenza psichica” e sulla possibile connessione dell’esperienza artistica con questo tipo di stato d’animo. Dall’altra parte Borgna afferma: “Le opere d’arte aiutano la psichiatria a conoscere meglio gli sconfinati orizzonti delle emozioni, e delle loro forme di espressione, che nei volti e nei gesti, nei paesaggi dell’anima, si condensano, e si fondono, in arcobaleni impensabili ai linguaggi e ai modi di guardare della psichiatria clinica. Ogni radicale creazione artistica si fa mediatrice, e generatrice, di risonanze emozionali che la vita di ogni giorno tende a rimuovere, e che dilatano vertiginosamente i confini della nostra anima. Ci immergiamo così in relazioni palpitanti di vita con quelle che sono state le emozioni, e l’immaginazione, degli autori delle opere d’arte; partecipando del loro dolore e della loro tristezza, della loro angoscia e della loro inquietudine, della loro gioia e della loro speranza”.

Dunque la scintilla della follia, come risultante del dolore che è inevitabilmente presente accanto a noi, fa parte del nostro essere e come avverte l’autore: “Solo se si seguono sentieri diversi da quelli abituali è possibile guardare alla follia con occhi rinnovati dalla esperienza mai finita del dolore, dalle letture dei testi non solo psicopatologici ma poetici e filosofici, dalle intuizioni improvvisamente riemergenti della vita dal mettere fra parentesi ideologie, e tradizionali modi di pensare”.

Un avvertimento per non avere paura delle nostre fragilità…

Questa volta ho fatto centro

imgresIo sono una cui in libreria piace balzellare qua e là senza nessun rigore scientifico. Vivendo all’estero, quando ci vado cerco di fare scorta. Per  lo più le scelte le divido secondo il tempo a disposizione, vi faccio un esempio, so che quando trascorrerò molto tempo in treno o in attesa forzata in macchina (vedi attesa di una figlia che finisce la lezione di canto di 50 minuti) opto per un giallo (ultimissimo letto Henning Mankell, Il ritorno del maestro di danza, a dire il vero un po’ troppo truce per i miei gusti). Per la sera a letto preferisco leggere qualche  saggio serio che mi impegna e mi fa dormire (che razza di scelta direte voi, in genere le mie preferenza vanno all’arte)  oppure ho sempre vicino qualche libro di Beppe Severgnini che mi parla di noi italiani, delle nostre manie che mi fanno sorridere e sognare tranquillamente .

Per un momento di malinconia, vai con il romanzo di amore (ti fai un po’ gli affari di qualcun’altra e stai subito meglio). Poi ci sono i libri che ti consigliano le amiche, l’ultimo, divertente e gustoso  per noi che viviamo all’estero è stato  Pecore nere, quattro racconti di altrettante extracomunitarie che vivono in Italia, edito da Laterza.imgres

Infine ci sono gli autori che ormai  per me sono un marchio di fabbrica e come esce un libro acquisto a scatola chiusa, in questo caso ho appena finito l’ultimo libro di Daniel Pennac Storia di un corpo edito da Feltrinelli.

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La storia è quella di un padre che lascia alla figlia un diario della sua vita tenuto da quando aveva dodici anni fino ad ottantasei. Il diario non è il solito diario intimo di una persona che racconta i propri stati d’animo, l’autore lo spiega fin dalla prima pagina, questo è un diario in cui il protagonista registra in modo lucido le relazioni intercorse negli anni  tra il corpo e la mente. E così a parole Pennac prova a raccontarci come il corpo si  manifesta nella mente dell’uomo,  come si può a parole esprimere i suoi sintomi di fronte alle paure, alle delizie del cibo, all’amore, alla malattia.

“L’uomo-scrive – nasce nell’iperrealismo per dilatarsi piano piano fino a un puntinismo alquanto approssimativo per poi disperdersi in una polvere di astrattismo”.

Quando termino libri come questo mi sembra di essere stata fortunata, ho fatto centro. Ho scelto giusto e sono davvero contenta.