La sala di Lettura

Roberto Barni
Roberto Barni

IL GIUOCO DELLE PERLE DI VETRO

Come promesso ci dedichiamo oggi a Das Glasperlenspiel, Il giuoco delle perle di vetro di Hermann Hesse. Sappiamo che ad un certo punto della lettura la maggior parte di voi ci ha odiato per aver scelto un libro e un autore tutt’altro che facili, ma siamo convinte che ne è valsa la pena.

Il romanzo è, infatti, una vera e propria sintesi delle filosofie occidentali e orientali e rappresenta l’apogeo dell’opera di Hermann Hesse, oscillando fra utopia e ideale.

Lo statuto di capolavoro è indubbio, e l’autore lavorò a questo testo colossale quasi ininterrottamente per più di un decennio. Lampanti sono i riferimenti alla filosofia cinese, a quelle di Nietzsche e alla musica classica.
Libro difficile e di difficile lettura (che può scoraggiare anche il più accanito e motivato lettore!) che, tuttavia, dopo essere stato diligentemente digerito, pone incredibili spunti di riflessione.
Come ogni grande opera può essere letto a diversi livelli di profondità. Esattamente come il gioco delle perle di vetro, che nonostante una lunga introduzione non viene mai svelato per intero: esercizio meditativo, sinfonia  di numeri suoni e pensieri, il gioco stesso è metafora dell’utopia intellettuale rappresentata dalla provincia di Castalia luogo magico in cui si radunano tutte le virtù umane e che sembra essere il rimedio all’assurdità e alla stupidità umana. Castalia è fuori dagli schemi è la pura utopia, la perfezione che tuttavia non può vivere e prosperare senza il suo contrario, la realtà, quella stessa realtà che attira il personaggio principale del romanzo. Josef Knecht, Magister Ludi compie per intero il viaggio della conoscenza proposto dall’ordine Castaliano, ma ad un certo punto se ne discosta, rimette tutto in discussione perché capisce che l’assenza di scambi fra l’utopia di Castalia e il resto del mondo porterà alla sua fine, infatti a che scopo possono esistere la supremazia dell’intelligenza e della conoscenza se non sono destinate a niente e rimangono puro esercizio della mente?
La vita del Magister Ludi si dipana tra la ricerca di un’identità forte e la sua negazione dopo essere arrivato alla convinzione “della necessità per l’uomo di scendere dalle regioni dello spirito assoluto per immergersi nel flusso della vita” (dalla quarta di copertina dell’edizione italiana).
Il critico letterario Hans Mayer scrive: “un’opera del tempo di guerra, della vecchiaia e della solitudine” in cui è tutto Hermann Hesse.
Frasi che non dimentichi:

“Ogni inizio contiene una magia che ci protegge e a vivere ci aiuta. Su cuore mio, congedati e guarisci!” è tratto dalla poesia Gradini che si trova all’edizione economica di Mondadori a pag. 386.

Lo metterei sullo scaffale accanto

Il piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry

Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick

Lo consiglierei

Agli inguaribili utopisti… affinché si ravvedano!

Il prossimo appuntamento con il commento della sala di lettura è previsto per il 29 gennaio. Vi concediamo un po’ più di tempo per digerire il panettone!

Abbiamo pensato di proporvi Verso Nord, di Willy Vlautin

Come sempre, intanto, aspettiamo i vostri commenti!

 

La sala di lettura

Roberto Barni
Roberto Barni

copL’amore Molesto di Elena Ferrante

Nella nostra sala di lettura ognuno può esprimere la propria opinione. Finora ho sempre parlato di libri che ho amato, che mi sono piaciuti oppure che mi sono interessati. Oggi invece mi trovo ad esprimere un giudizio che mi vede decisamente controcorrente rispetto non solo alla critica ufficiale, ma anche al pensare comune.
È necessaria una breve introduzione. Confesso che ho incominciato a leggere L’amore molesto di Elena Ferrante solo dopo aver scoperto che all’estero era diventata lei stessa un “caso” editoriale ancor prima che la sua opera venisse conosciuta e apprezzata. Infatti ciò che ancor prima dei suoi romanzi ha affascinato i lettori anglosassoni è stato il mistero che avvolge la sua identità. Pare infatti che americani e inglesi abbiano sviluppato la “Ferrante Fever” a partire dal “mysterious power of Elena Ferrante”, come lo ha definito il New Yorker: chi sia, se sia uomo o donna, se si tratti di un personaggio noto che si nasconde dietro pseudonimo, che celarsi al pubblico sia una sottigliezza mediatica, una furberia birbona o una paura da sociopatico, nessuno lo sa. E in un ambiente come quello dell’editoria in cui il presenzialismo mediatico gioca ormai un ruolo importante per l’affermazione di un autore, il mistero che avvolge questa figura, che concede interviste non solo con l’intercessione della sua casa editrice, ma soprattutto solo attraverso e-mail, ha dello straordinario.
Ma passiamo al libro, il primo ad essere pubblicato della scrittrice (per comodità mi riferirò a lei come se fosse sicuro si tratti di una donna) scritto più di vent’anni fa nel 1992, che narra la vicenda di una figlia che torna nella città in cui è cresciuta, per il funerale della madre, morta suicida in circostanze misteriose. La città in questione è Napoli declinata nel peggiore dei modi: una città caotica, villana, appiccicaticcia, in cui anche il tempo non è clemente e il mare  pare “carta velina violacea fissata su una parete sbrecciata”. Una città vista dagli occhi di una donna che qui ha sofferto, e molto, non per il solito amore sbagliato giovanile, ma proprio a causa del profondo e, in un certo senso malato, amore per sua madre. La vicenda si dipana fra passato e presente fra sogno e realtà nel tentativo di ricostruire un puzzle che la memoria non vuole affatto ricomporre, per dare senso a una morte che, nonostante le affermazioni e l’atteggiamento della protagonista, pesa sul cuore come un macigno.
Il libro è scritto bene, si legge tutto d’un fiato eppure… eppure non sono riuscita ad apprezzarlo! Una vicenda troppo sfuggente, un’ambientazione disturbante, una protagonista sempre in bilico fra la paura e il desiderio di sapere e di ricordare ciò che ha destabilizzato la sua intera esistenza. Figura volutamente scostante Delia è in bilico anche fra amore e fastidio nei confronti di una madre irresoluta e un padre violento. Un libro di segreti inconfessabili e amore incompreso, comunque da leggere.

 

Siete pronti per discutere con noi Il giuoco delle perle di vetro, di Hermann Hesse? L’11 dicembre si avvicina, mancano poche settimane, dunque coraggio! Mettetevi all’opera.

 

La sala di lettura

Attenzione: oggi lanciamo il secondo libro che commenteremo assieme l’11 dicembre prossimo.Il libro scelto questo mese è Il giuoco delle perle di vetro di Hermann Hesse.

Roberto Barni
Roberto Barni

Più voci sono meglio di una. E quindi quando in rete nasce un nuovo sito che si occupa di libri è ben accetto.

Il blog si chiama www.illibraio.it e anche se chi lo promuove è il Gruppo editoriale GeMs il loro intento è quello di guardare anche oltre le proprie proposte editoriali e offrire una panoramica a noi lettori delle novità. Nel sito poi offrono anche delle proposte legate ad un tema specifico come la sezione: I libri che parlano di libri, oppure i The best di avventura per l’Indiana Jones che c’è in te e naturalmente Libri per chi ama viaggiare.

Ricordo i discorsi degli adulti e delle maestre, quando ero bambina, in materia di libri e di rendimento scolastico. Dicevano sempre: ah, quella ragazza scrive bene perché legge molto! Oppure: chi legge va avanti più velocemente degli altri. Io la ritenevo cosa naturale, la passione per la lettura, e mi stupivo che dovesse essere promossa sottolineandone i vantaggi: leggere è bello, che bisogno c’è di dire che è anche utile?

Poi da grande mi sono resa conto che è giusto promuovere la lettura, perché così facendo si promuove anche una crescita culturale collettiva. Vivendo fuori dall’Italia mi sono anche resa conto che ci sono paesi dove si legge di più che da noi. A Ginevra, ad esempio, se qualcuno visita la libreria Payot rimarrà colpito di quanti giovani sono seduti per terra a leggere. Dunque, ben venga questa nuova iniziativa. Onore a chi l’ha lanciata. Seguiamola e stiamo a vedere cosa ci proporrà.

Un parco letterario per Hermann Hesse

Casa rossa“Era passata la mezzanotte e Klingsor, di ritorno da un suo giro notturno, stava sul piccolo balcone in pietra del suo studio. Al di sotto di lui si sprofondava a picco il vecchio giardino pensile, un groviglio pieno d’ombra di fitte vette d’alberi, palme, cedri, castagni fiori di Giuda, faggi sanguigni, eucaliptus allacciati da piante rampicanti, liane e glicine. Al di sopra degli alberi splendevano come pallidi specchi le grandi foglie metalliche delle magnolie, e tra il fogliame i giganteschi fiori bianchi come neve, dischiusi a metà, grandi come teste umane, lividi come la luna e l’avorio, dai quali, penetrante ed alato emanava un acuto profumo di limone”.

Il pezzo è tratto da uno dei romanzi bervi più autobiografici di Herman Hesse, sconosciuto ai più, scritto nel 1920, L’ultima estate di Klingsor. Chissà se Herman Hesse vedeva e sentiva ciò che è qui descritto, dalla sua abitazione di allora, Casa Camuzzi a Montagnola, in Canton Ticino, nel sud della Svizzera. Certo è che quando nel 1932 si trasferì, sempre a Montagnola, nella Casa Rossa, una villa fatta costruire appositamente per lui dal ricco amico zurighese Hans Bodmer, essa rispondeva ad alcune sue basilari necessità.

hesse in giardino

 

Innanzitutto la possibilità di coltivare il giardino, sua grande passione; luoghi abbastanza arieggiati e luminosi per poter scrivere, certo, ma anche dipingere. Un impianto di riscaldamento che alleviasse i dolori dovuti all’artrosi e infine l’esistenza di due appartamenti separati uno per lui e uno per la sua terza moglie Ninon. Il giardino di questa abitazione era un luogo privilegiato e profondamente amato dal premio Noel, e proprio parte di questo giardino viene oggi minacciata da un progetto immobiliare che prevede la costruzione di 9 ville e una palazzina nell’area del parco sottostante la costruzione.

casa rossa 2

Naturalmente si sono levate potenti opposizioni contro la licenza edilizia che il Municipio di Collina d’Oro aveva accordato, oltre ad una petizione, è stata addirittura presentata una mozione per creare il “Parco letterario Hermann Hesse” accorpando Casa Camuzzi, che ospita già il museo Hermann Hesse, e la Casa rossa con il suo giardino e le pertinenze.

 

Tutto ciò per fare in modo che la letteratura non rimanga solo “il viaggio di chi non può prendere un treno”, come diceva Francis de Croisset, ma che sia viva attorno a noi nella memoria degli autori che preferiamo.