Vivere in transito

Adrian Paci,
Adrian Paci, Home to go, 2001

Distanze e movimento: queste sono le due parole che mi vengono in mente quando penso al mio futuro e a quello dei miei figli e dei miei cari.
E’ così che quando mi hanno raccontato di una mostra che si è tenuta a Parigi al Jeu de Paume, dal titolo Lives in Transit, mi sono precipitata ad informarmi. Perché l’arte sa esprimere e ci fa vedere quello che percepiamo in modo confuso.
E così è stato, la mostra è dell’artista Adrian Paci. Un’opera mi ha colpito particolarmente: The Column, una colonna classica di marmo fatta in Cina. L’idea di Paci, artista albanese, rifugiato dagli anni Novanta in Italia a causa della guerra, è stata quella di seguire tutte le fasi con cui, da un blocco di marmo grezzo estratto a nord di Pechino, si e’ creata, durante il trasporto su una nave cargo, una colonna con capitello corinzio.

Adrian Paci, The Column, 2012
Adrian Paci, The Column, 2012

Viaggiare seguendo il corso di un oggetto e seguire le tappe della sua trasformazione. E’ un tema caro agli artisti in questi tempi di globalizzazione in cui tutte le carte si stanno rimescolando ad un prezzo a volte alto.
Anche lo scrittore Jonathan Franzen aveva fatto la stessa cosa nel racconto La pulcinella cinese inserito nel suo ultimo romanzo Più lontano ancora (Einuadi, 2012). In quel caso la pulcinella è un pupazzo di peluche made in Cina che il fratello gli ha regalato per Natale. L’oggetto lo attira e decide di andare in Cina a visitare il luogo dove è stato prodotto l’oggetto.
Franzen e Paci decidono di seguire il viaggio di un oggetto; entrambi gli oggetti sono partiti dalla Cina per arrivare in occidente. Lavorando sull’idea del viaggio, possano così affrontare e cercare di spiegare  temi sociali quali lo sfruttamento del lavoro e quello dell’orrore industriale e dell’inquinamento ambientale per Franzen.  Ma quel viaggio, si capisce, nasce per spiegare qualcosa a loro stessi  e per dare sostanza visiva e verbale ai mutamenti e stravolgimenti che stiamo vivendo in questo periodo di distanze e movimento.

Finisco segnalandovi un giovane fotografo: David Favrod di padre svizzero e di madre giapponese. In lui la ricerca di identità non parte da un oggetto ma da se stesso e dal suo autoritratto.

David Favrod
David Favrod

Dopo una lunga serie di indagini e ricerche sul suo Giappone lontano ha deciso di ricreare il proprio Giappone, nel Vallese, in Svizzera.

Ve lo segnalo perché mi  sembra che anche lui tratti del tema più attuale e probabile per le prossime generazioni d’artisti.

Perché l’arte in questo mescolamento è in uno dei suoi momenti migliori e sono certa che ne ne vedremo delle belle.

La famiglia: una palestra di vita

Leggevo qualche giorno fa l’articolo di Concita de Gregorio su La Repubblica, dal titolo Global family, dedicato alle nuove tipologie di famiglia e in modo particolare al tema della lontananza.

Lontani i mariti dalle mogli, o viceversa, per ragioni di lavoro, lontani i nonni che ormai sono ridotti a godere dei nipoti attraverso lo schermo del computer: l’articolo era una carrellata delle famiglie di oggi.

Torno proprio oggi dall’Italia, dopo aver trascorso un paio di giorni con tanti “pezzi” della mia famiglia di origine, lasciati quando siamo partiti.
Come italiani in transito conosciamo per esperienza personale gli effetti della lontananza e il valore dell’appartenenza; ultimo aspetto, questo, da coltivare anche per i nostri figli che stanno costruendo la propria identità.

Infatti la famiglia di origine lontana è molto spesso, per chi sta all’estero, un legame che aiuta a ricordare chi sei.

Ho un’amica che, dopo aver perso entrambi i genitori e non avendo più parenti nel proprio paese, ha sofferto contemporaneamente il lutto per le persone perse e il lutto per la perdita del legame con  il proprio paese.

La famiglia, dunque, come palestra di vita: se poi è grande come la mia e ha un’ampia varietà umana al suo interno, l’esercizio sportivo te lo fa fare davvero. E cosi’, come è facile non aver voglia di andare in palestra, a volte quando si vive all’estero ci si fa cogliere dalla  pigrizia, in occasione di avvenimenti che consentirebbero un ritorno. Si vorrebbe rimanere dove siamo. Ma io so che ogni volta, quando ti sei di nuovo immerso nelle tue radici, torni indietro più tonico e felice.

E allora  ben venga l’amore a distanza ma attenzione agli strappi, la prossimità con le proprie famiglie, anche se è sempre più corta, è una pratica che non deve subire troppe trasformazioni.