Propositi

Sandra Tomboloni
Sandra Tomboloni
Anno nuovo propositi vecchi. Tra essi una sana dieta. In sintonia con i miei pensieri scopro che il 2014 sarà l’anno europeo sullo spreco alimentare. Sprechiamo troppo cibo, compriamo le riserve e poi non riusciamo a consumarle e non ci peritiamo a buttare via montagne di cibo, io ad esempio non riesco mai ad andare a tempo con gli yogurt e ogni volta che ne butto uno via mi riprometto di non comprarli mai più. Passa qualche tempo e poi ci ricasco.
Tra le cose interessanti correlate allo spreco alimentare c’è la nuova impresa di raccogliere e rivendere a prezzo stracciato i cibi che i bar non hanno venduto a fine sera. Si chiama street food refood, oppure con lo stesso criterio raccogliere cibo in scadenza dai supermercati e mercati generali.  Per rimanere in tema sulla necessità di rendere valore a cosa si mangia e a chi lo produce mi ha anche incuriosito molto la nascita di un mestiere nuovo per le città ma antico per l’uomo, il contadino metropolitano, infatti  sempre più giovani chiamati gli Urban Farmers coltivano orti urbani sui tetti dei palazzi, in luoghi ormai abbandonati e impensabili. Lì troverete lattughe fresche, pomodorini ma anche mini allevamenti di pesce. Tutto poi viene raccolto e venduto ai negozi o nei mercati.  È un cibo che viaggia poco e lo spreco viene abbattuto.
Lo spreco è un tema sentito da tutta la nostra generazione, è diventato anche un biglietto da visita, è una filosofia di vita e molte volte un tema toccato dagli artisti. Penso alla bella mostra organizzata da Sandra Tomboloni quest’anno nella città di Pontassieve in Toscana dove ha invitato un gruppo di amici a condividere con lei delle giornate in discarica per andare a cercare tra i rifiuti la materia per la sua arte. Ha poi scelto un camion di oggetti li ha caricati e portati in mostra. Un cumulo di oggetti, Homeless, senza tetto. Questi oggetti si sono rigenerati  da essi ha saputo tirare fuori la poetica dell’abbandono, della memoria e del distacco e in tal modo ha restituito valore a cose che sembravano averne più.

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Le donne dell’arte

Sandra Tomboloni
Sandra Tomboloni

Questo 8 marzo lo dedichiamo alle donne dell’arte.

E per tutte ne scegliamo tre, nate in tre momenti diversi del XX secolo. Indipendenti e determinate hanno contribuito ad inventare nuovi linguaggi nel campo dell’arte.

Meret Oppenheim
Meret Oppenheim

La prima è Meret Oppeheim, nata a Berlino nel 1913. Cresce tra la Germania e la Svizzera, dove muore nel 1983. Negli anni Trenta vive a Parigi dove frequenta il circolo surrealista . I suoi primi lavori sono dipinti, disegni e resoconti di sogni. Posa anche come modella per una serie di fotografie erotiche di Man Ray .

Meret Oppenheim,Le Déjeuner en fourrure,1936
Meret Oppenheim,Le Déjeuner en fourrure,1936

Parlando del suo lavoro e del suo ruolo di donna nel mondo dell’arte, occorre ricordare che fu lei a incitare  le donne”a dimostrare coi fatti di non essere più disponibili ad accettare i tabù che le hanno tenute in una condizione di asservimento per migliaia di anni. La libertà non è qualcosa che viene regalato ma qualcosa che bisogna conquistare” ( da Le donne e l’arte, Taschen 2004 pag. 151). Tra le sue produzioni più ricordate sono gli object trouvés, ovvero oggetti che, trovati e trasformati per essere estraniati dal loro contesto, perdono la loro funzione d’uso e mantengono solo il valore di simbolo. Tra questi oggetti surrealisti  Le déjeuner en fourrure del 1936 rimane il più famoso: una tazzina da caffè , con piattino e cucchiaio rivestiti di pelliccia.

Niki de St Phaille
Niki de St Phaille

La seconda artista è invece la francese Niki de St Phaille. Nata nel 1930 a Parigi, Niki fece parte del gruppo dei Nouveau Realistes. Ebbe un’infanzia difficile e fuggì dalla sua famiglia. Lavorò fin dai primi anni Sessanta, con opere di assemblage e  per mezzo di happening. E’ del 1966 il suo lavoro “Hon” che significa “Essa”, in svedese. L’opera fu presentata al museo Moderna Musset di Stoccolma ed è composta da  una gigantesca scultura rappresentante una donna multicolore sdraiata con le gambe aperte. I visitatori sono invitati ad entrare attraverso la sua vagina  per vivere esperienze prenatali.  Dopo Hon, Niki continua a lavorare attorno a  figure femminili gigantesche, chiamate Nanas. Al centro del suo lavoro rimane sempre il mito del corpo femminile come luogo di mistero insondabile.

Niki de St Phalle, Hon, 1963
Niki de St Phalle, Hon, 1963

La terza artista invece è una figura a noi contemporanea. Una donna meravigliosa, piccola piccola, che vive nei dintorni di Firenze, a Pontassieve, e si chiama Sandra Tomboloni. Parlando di Sandra si deve parlare delle sue mani sempre in movimento e intente nel lavoro. Lei stessa dice: “la mia vita è come un’aereo che non decolla mai. ho paura della vita. Io ho bisogno di lavorare, il lavoro nasce per me da una necessità, quella di esserci; il mio lavoro è il mio vestito”.

Sandra riveste col pongo tanti oggetti di recupero,  lavora la creta e ricama. Il suo lavoro è come un lievito che riempie il vuoto; è la forma dei suoi pensieri e della sua fragilità. Le sue sono opere con “la febbre”; perché raccontano un flusso di immagini continuo. Il suo è un immaginario elementare, semplice; è un groviglio di colore e materia, quasi un mondo inventato che copre e riveste la realtà.

Sandra Tomboloni, prato, 2010
Sandra Tomboloni, prato, 2010

Con queste tre artiste abbiamo attraversato un secolo che ha inizialmente visto le donne escluse persino dai salotti artistici, per non parlare dall’arte stessa , per poi cominciare a lottare e riuscire ad affermarsi a pieno titolo nella storia dell’arte moderna.