Come si scrive un giallo

ChestertonForse alcuni ricordano ancora la serie di Padre Brown alla televisione, quando eravamo piccoli. Il prete detective nato dalla penna di Chesteron, era interpretato da un perfetto Renato Rascel e il suo compagno di avventure: Flambeau, era l’impareggiabile Arnoldo Foà. Ed è per questo che quando sugli scaffali della libreria ho adocchiato un libretto sottile l’ho considerato subito preziosissimo! Il libretto si intitola Come si scrive un giallo e l’autore è proprio Gilbert Keith Chesterton, nato a Londra nel 1874, giornalista e critico ma anche scrittore di ironici saggi diretti contro il luoghi comuni prevalenti. In realtà si tratta di una raccolta di articoli in cui Chesterton ci dà le sue riflessioni sul meccanismo della produzione poliziesca.

Lucido divertente e sicuro Chesterton scrive che “Il primo fondamentale principio – per scrivere un giallo – è che lo scopo del racconto del mistero, non è l’oscurità bensì la luce. Il racconto è scritto per il momento in cui il lettore finalmente capisce”. Il secondo grande principio è “che la’anima della fiction gialla non è la complessità bensì la semplicità. Il segreto può apparire complesso, ma deve essere semplice”. Terza regola “Il fatto o la figura che spiega tutto deve essere un fatto o una figura familiare. Il delinquente deve stare n primo piano non in qualità di criminale, ma in qualità di qualcos’altro che non di meno gli assegni un diritto naturale di stare in primo piano”. Infine “una gran parte dell’abilità – o trucco – nello scrivere un giallo consiste nel trovare una ragione convincente ma fuorviante per il rilievo del criminale, a prescindere dal suo legittimo impegno di commettere i crimine”.

Ora, se volete cimentarvi nella creazione di un giallo questo volumetto è preziosissimo, ed è altrettanto prezioso per comprendere le regole e la struttura stessa del romanzo giallo. Per chi non è interessato a scrivere o decifrare i gialli, con questo piccolo e prezioso libro Chesterton eleva il romanzo giallo a forma letteraria degna di studio e considerazione, ricordando tuttavia che “il giallo è solo un gioco; e in questo gioco il lettore non lotta con il delinquente, ma con l’autore” e ancora “differisce da ogni altro racconto in questo: che il lettore è contento solo se si sente scemo”. Si evince dunque che per essere buoni lettori di gialli non si deve “essere scemi”!

Gilbert Keith Chesterton, Come si scrive un giallo, Sellerio editore, Palermo, 2002

Drogati di… Ruzzle

RuzzleEbbene sì, anche noi ci siamo cascate!

In ansia per i figli, depresse per i risultati politici, sempre di corsa e con qualche acciacco in più cosa abbiamo pensato di fare per distrarci un po’ ?

Abbiamo scaricato sui nostri smart phone il gioco del momento: Ruzzle.

Applicazione assolutamente gratuita (con qualche spicciolo potremmo addirittura evitare la pubblicità, ma chi se ne frega !) è una specie di Scarabeo computerizzato.

Si gioca con un avversario cercando di comporre in due minuti quante più parole sono possibili con le 16 lettere che l’applicazione propone di volta in volta !

Ottimo passatempo (ti sveglia la mente), perfetto per i momenti di attesa (fuori dalla scuola, dal dentista, in areoporto). Ci si può spedire messaggi o sfidare sconosciuti quando nessun amico è in linea (se si è disposti a subire sconfitte memorabili).

Che dire ? Noi siamo sicure che presto ci saranno i campionati mondiali di Ruzzle, tutto il mondo giocherà a Ruzzle e vincerà chi ha il pollice più veloce e la mente più fredda! Ma attenzione però assieme al gioco in linea si trovano anche programmi che vi aiutano a vincere, con trucchetti subdoli, bisogna giocare pulito! è una questione di orgoglio è una sfida prima di tutto a se stessi!

Provateci, se vi piace vi passeremo i nostri nickname !

Che triste fine per M13

Orso brunoLa colpa di M13, sigla con la quale era conosciuto l’orso bruno venuto dal Trentino e installatosi nei Grigioni a luglio scorso e infine ucciso martedì mattina per ordine delle autorità cantonali grigionesi, è stata quella di aver attraversato la frontiera Italia/Svizzera una volta di troppo. Diciamo che il suddetto orso per gli italiani era un “gigione”, un tipo che “amava” avvicinarsi all’uomo, anche perché aveva capito che razzolare nella spazzatura era molto più semplice che cacciare il cibo nella foresta, per i cugini svizzeri invece aveva rapidamente risalito il protocollo della pericolosità, contenuto nella Strategia Orso della Confederazione, e da “orso problematico” all’inizio dell’inverno si era velocemente trasformato in “orso a rischio” al suo risveglio dal letargo due settimane fa. È stato considerato pericoloso, M13, dopo un incontro ravvicinato con una quattordicenne che lo ha incrociato su un ponte nei pressi del suo villaggio, Miralago. Ed è stata questa sua prossimità con gli umani che gli è costata la pelliccia, ultimo atto di una vita vissuta pericolosamente (stragi di montoni, razzie in case di vacanze e nei cassonetti).

Questa “esecuzione” ha scatenato le proteste delle associazioni ambientaliste svizzere, in primo piano WWF e Pro Natura, al pensiero delle quali ci allineiamo riportando qui di seguito uno stralcio del comunicato apparso dopo l’abbattimento dell’animale: “M13 non aveva paura delle persone, non ha tuttavia mai dato prova di avere un carattere aggressivo. Ciò che irrita è che le colpe attribuitegli e che alla fine gli sono costate la vita sono in realtà da ricondurre a palesi mancanze della regione interessata e del Cantone. Carenze a livello di prevenzione e preparazione alla presenza del plantigrado hanno contribuito all’acuirsi della situazione… Non ci sono più scuse per non adottare tutte le misure preventive del caso. L’orso è ritornato in Svizzera nel 2005 e deve poter rimanerci”.

Molti giornalisti si sono occupati di questo argomento uno di loro credo abbia colto nel segno. Infatti Philippe Barraud, giornalista indipendente, scrittore e fotografo romando, ha messo impietosamente il dito nella piaga scrivendo: “La condanna a morte dell’orso M13, nei Grigioni, supportata da pretesti futili e senza riflettere sulle possibili alternative, è un segnale doppiamente grave per la società e per lo Stato. Da una parte mostra la nostra completa separazione dalla natura e dall’altra il fallimento della nostra politica nei confronti della fauna selvatica”. M13 ha pagato il conto per tutto ciò.

Per dovere di cronaca dobbiamo dire che il povero orso, cioè quel che ne rimane, avrà un posto al Museo di storia naturale di Coira, come dire dell’orso non si butta via niente!

Un martello nel cervello…

CefalyQuanti tipi di emicrania esistono? Io avrei giurato tantissime, ma ho scoperto che ne esistono fondamentalmente due. Una cefalea primaria/benigna e un secondo tipo dovuto a varie patologie detto secondario.

Da cosa dipendono? Nessuno lo ha stabilito ancora con certezza… pare si tratti di un cocktail di concause che scatenano il dolore, fra le quali ci sono quelle ambientali e fisiche, le variazioni ormonali, alimenti, stress, variazioni sonno/veglia, sforzi fisici (fra i quali anche il sesso), cambiamenti atmosferici o farmaci.

Insomma tutto, e il contrario di tutto, può scatenare il mal di testa. Fino ad oggi non esisteva alcun tipo di prevenzione dell’emicrania, tutti i rimedi, i medicinali, le erbe, gli espedienti tendevano a curare il sintomo, cioè il dolore.

È stato però recentemente sperimentato e messo in commercio, anche in Europa, un dispositivo che potrebbe fare la differenza e agire come prevenzione al manifestarsi del disturbo. Questo oggetto utilizzato per una ventina di minuti al giorno, ridurrebbe la probabilità di attacco dell’emicrania ed avrebbe un’efficacia simile, se non maggiore, ai farmaci usati per il mal di testa, senza essere così invasivo. Inoltre è un bell’oggetto, che i produttori sono sicuri piacerà soprattutto alle donne, che soffrono di emicrania il 25% più degli uomini.

Io spero veramente, che il diabolico aggeggio possa servire a risolvere almeno in parte il problema che rende la vita infernale ad un sacco di persone e che ad esempio in alcune regioni è addirittura riconosciuto come malattia invalidante.

Oggi, che non ho il mal di testa, posso perfino scherzarci sopra e cantare insieme a Rossini del Barbiere di Siviglia!

Mi par d’esser con la testa, in un’orrida fucina, dove cresce e mai non resta, delle incudini sonore, l’importuno strepitar. Alternando questo e quello, pesantissimo martello, fa con barbara armonia, muri e volte rimbombar. E il cervello poverello, già stordito sbalordito, non ragiona, si confonde, si riduce ad impazzar.

Pellegrini… non per caso!

Itinerarium Egeriae ad loca sanctaHo viaggiato un intero giorno per ritornare a casa. Sono passata da aeroporti affollati, ho aspettato pazientemente il decollo, seduta diligentemente al mio posto, in un aereo che ha impiegato più di un’ora per avere l’ok e volare via, e mi è sembrato un ritorno faticoso e difficile.
Per caso durante la lunga attesa ho letto, nell’immancabile e spiegazzato giornaletto contenuto nella tasca del sedile anteriore, un interessante e strano, per collocazione, articolo e che ha risvegliato i miei ricordi storici e mi dà oggi l’occasione di parlare di una figura decisamente singolare.
Vorrei, infatti, raccontare di una donna, molto lontana cronologicamente, ma straordinariamente vicina quanto a spirito e iniziativa.
Una donna di cui non si conosce con esattezza identità, provenienza e stato, ma che ha compiuto un’impresa titanica. Il nome con il quale è conosciuta è Egeria, ed è nota per aver compiuto un lunghissimo pellegrinaggio fra i luoghi del giudaismo e del cristianesimo, di cui fu relatrice attenta, curiosa ed entusiasta tradendo un grandissimo interesse storico, linguistico, liturgico, religioso, antiquario e biblico, quanto mai singolare in un’epoca così remota, soprattutto per una donna.
Gerusalemme carta da Madaba
Vorrei parlarvi, brevemente, di una viaggiatrice ante litteram la cui storia è giunta a noi in modo fortunoso.
Il manoscritto contenente le peregrinazioni di questa donna straordinaria infatti fu ritrovato ad Arezzo nel 1887, proveniente dalla biblioteca del Monastero di Montecassino, fortemente mutilo, fra le altre curiosità lo scritto servì a Pietro Diacono (XII secolo) come fonte per la realizzazione di un trattato sui luoghi santi.il viaggio di Egeria
Si tratta di un’opera letteraria in lingua latina “volgare”, cioè priva di quelle espressioni classiche che si addicevano ad un buon documento. Tuttavia proprio questo latino volgare ricco di espressioni popolari ci dà la misura della curiosità e della capacità di osservazione dell’autrice. La figura di Egeria ha appassionato generazioni di studiosi. Nulla si conosce di lei con esattezza. Forse compì il suo viaggio intorno al 381, forse fu una monaca (lo si evince dal rispetto che suscitava fra vescovi e prelati che incontrò) ma potrebbe essere stata una ricca e influente signora, forse di stirpe regale, forse proveniente dalla Spagna, il suo carattere, la sua forza e la sua determinazione si intuiscono mano mano si procede nella lettura dei suoi scritti, delle sue descrizioni di luoghi, persone e azioni. Lucida, colta, curiosa Egeria intraprese un viaggio attraverso il Medio Oriente che la portò consapevolmente sulle orme non solo degli Apostoli e dei primi martiri, ma dello stesso Gesù Cristo. In nave fino a Costantinopoli e poi a piedi o a cavallo o su battelli, attraverso la Palestina, l’Egitto, la Fenicia, la Mesopotamia, l’Arabia.
L’ Itinerarium Egeriae ad Loca Sancta durò circa quattro anni, durante i quali la nostra misteriosa viaggiatrice toccò tutte le tappe più importanti dei luoghi citati nella Bibbia e nei Vangeli.
Al di là dell’itinerario scelto da questa donna coraggiosa, spinta da una profonda fede che la portò ad affrontare indicibili fatiche soprattutto per una donna, il tratto saliente della sua personalità è quello che caratterizza da sempre i viaggiatori che compiono con profonda curiosità e senza alcun pregiudizio ogni passo del loro lungo cammino.
Perché parlarne oggi? perché possiamo trovare nei suoi resoconti uno spirito moderno e una curiosità culturale che ancora oggi possono fare la differenza tra i viaggiatori e i turisti!

Le parole sono importanti!

Bruce Naumann: The true artist helps the world by revealing mystic truths
Bruce Naumann: The true artist helps the world by revealing mystic truths

Un’amica olandese mi diceva che mi avrebbe ascoltato parlare in italiano anche per un giorno intero, perché l’italiano “è una lingua che canta”.

Melodiosa e dolce, la lingua italiana è priva di quelle asprezze che a volte propone lo spagnolo ed ugualmente priva del ritmo ridondante del francese, anche se la matrice latina è la medesima. Non ho le competenze filologiche per affrontare l’argomento in modo scientifico, più che filologa nell’accezione specialistica del termine mi sento piuttosto φίλος λόγοι (filos logoi) amante della parola, perché quando si parla o si scrive bene il risultato è una specie di melodia, che, credo, tutti possono intendere. Quando riesco ad ottenere questa specie di musica (il che non è semplice) mi sento bene, soddisfatta. Lo scorrere esatto delle parole, in modo che non tradiscano il significato che voglio loro attribuire, mi rassicura e mi rallegra. Ma non sempre c’è il tempo di scrivere e riscrivere finché il risultato sia consono ai canoni che ci si impone…

L’italiano ci offre una straordinaria ricchezza di parole che pronunciate o scritte sono di una bellezza ineguagliabile. Intrinsecamente belle, belle per come suonano e per il ritmo e il colore che sono capaci di dare al nostro dialogare. Aggettivi come ferale, ubertoso, segaligno, desueto, poco utilizzati nel linguaggio comune, o termini come lungimiranza, oblio, cagione, scartafaccio, pescati a caso dal vocabolario, concorrono tutti a dare alla nostra espressione inusuali sfumature.

Il mio appello per l’inizio dell’anno nuovo è usiamo le larghe possibilità che ci offre l’italiano (e mi rivolgo in particolar modo ai giovani, compresi i miei figli, che stando all’estero sempre meno riescono a cogliere quella segreta melodia di cui si parlava), non facciamoci condizionare dalla televisione o dai giornali che propongono, per esigenze di tempo, una lingua rarefatta e arida. Ricerchiamo il piacere antico del “parlar bene”, dell’esattezza delle espressioni, sono sicura che ognuno di noi proverà, nel fare ciò, una profonda soddisfazione e ci sembrerà, in questo modo, di dare lustro alla nostra italianità, oggi più che mai appannata per altre ragioni.

Riciclare, che passione!

clam shell
Una delle opere di Tom Deininger realizzata con i mozziconi di sigaretta

Sapete quanto tempo ci vuole perché il filtro di una sigaretta si degradi? Da 2 a 5 anni…

Sapete sulle spiagge italiane l’incidenza di  mozziconi di sigaretta per metro quadrato qual è? Da 2 a 12…

Basterebbero queste cifre a convincerci che sarebbe cosa buona e giusta smettere di fumare, ma, si sa, non tutti hanno a cuore il bene del pianeta… o il proprio!

Oggi tuttavia c’é una soluzione almeno per bonificare il pianeta dai mozziconi di sigaretta (non per smettere di fumare) e ce la offre Tom Szaky inventore di TerraCycle l’organizzazione che con l’intento di cambiare l’idea stessa del rifiuto (tutto può essere riciclato) si è di volta in volta dedicata alla raccolta di scodelline di yogurt, incarti di caramelle, ciabattine infradito, confezioni e imballaggi di ogni tipo e che nel 2012 ha lanciato il primo programma di riciclaggio al mondo dei filtri usati di sigaretta, che sono uno degli elementi più comunemente disseminati sul pianeta. Dopo il lancio in Canada nel mese di maggio, il programma si è  rapidamente allargato a Stati Uniti e  Spagna con l’aiuto (cosa si farebbe per tacitare la coscienza!) del Santa Fe Natural Tobacco e British American Tobacco. I mozziconi raccolti vengono trasformati in posacenere (!) e panchine!

Dettaglio dei mozziconi utilizzati dall'artista
Dettaglio dei mozziconi utilizzati dall’artista

TerraCycle si avvale dell’aiuto (stipendiato) di milioni di “raccoglitori” sparsi un po’ in tutto il mondo (ahimè non in Italia) che collezionano i rifiuti che poi vengono spediti alle varie sedi della compagnia. La cosa furba è il farsi sponsorizzare le varie campagne di raccolta da quelle compagnie che con le loro produzioni inquinano il pianeta (Nespresso e le sue capsule, Colgate e i suoi tubetti di dentifricio, solo per citarne alcuni).

Anche artisti e creatori di moda si sono mobilitati per pensare al riutilizzo dei filtri di sigarette usati, ricordiamo Tom Deininger, artista statunitense, con le sue opere visive composte da mozziconi, o la stilista cilena Alexandra Guerrero che per la realizzazione delle fibre tessili da lei utilizzate nella realizzazione di poncho e cappelli ha personalmente raccolto e ripulito centinaia di migliaia di mozziconi,  che dopo aver subito un processo di purificazione sono stati tinti e filati insieme ad altre fibre.

Vi invitiamo a dare un’occhiata al sito di TerraCycle che oltre a liberare un po’ il mondo dalla sporcizia impiega parte dei profitti non solo per avviare nuove campagne, ma anche per finanziare scuole e altre attività benefiche.

Dunque fumatori siate almeno virtuosi e raccogliete i vostri mozziconi e sperate che in breve tempo anche in Italia TerraCycle o organizzazioni similari ne possano coordinare la raccolta e il riciclaggio!

Questo lo tengo questo lo butto

Yves Klein, Le saut dans le vide,1960
Yves Klein, Le saut dans le vide,1960

del 2012 ci siamo tenuti:

-Malala Yousafrai

-Enzo Bianchi

– Pepe Mujica

-Ai Weiwei

-Luigi Ciotti

-Il coraggio dei monaci tibetani

-I volontari di tutto il mondo

Invece abbiamo buttato dalla finestra:

-il sospetto

-l’inquietudine

-la crisi

-l’indifferenza

-lo spread

-i furbi

E ora spariamo che sia la volta buona.

Buon Anno a tutti.

Di monaci e sacrestani

monaco che si da fuocoEnzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, ha pubblicato (su La Sampa del 16 dicembre) un bell’articolo sui monaci tibetani che si immolano nelle fiamme per protestare contro il genocidio cinese in Tibet. Bianchi ha giustamente inquadrato il gesto in un’antichissima tradizione del Buddismo : quella di asceti che si donano, attraverso un sacrificio estremo, per il bene degli altri. Al tempo stesso, pero’, il priore di Bose ha sottolineato come questo atto abbia una valenza non solo religiosa ma anche civile. I monaci testimoniano la volontà di difendere certi valori, come la libertà e il rispetto delle coscienze, a qualsiasi prezzo, ma nell’ambito di una scelta non violenta che addirittura cerca di estinguere il male compiuto su di essi con la scomparsa del proprio corpo.

Subito ne è nato un dibattito, con i soliti esponenti cattolici prontissimi a ribadire la posizione della Chiesa che, pur rispettando le motivazioni che hanno portato al gesto, disapprova che ci si tolga la vita. Questi sacrestani non si rendono conto che il priore di Bose non voleva interrogare la Chiesa, con le sue legittime posizioni, ma le coscienze di noi tutti sui genocidi e sulle ingiustizie del nostro tempo, in particolare su quelli compiuti in Tibet. Che poi il Tibet fosse al momento dell’invasione cinese una teocrazia è vero, ma che si debba per questo giustificare un genocidio è idiota anche solo pensarlo. In Svizzera, da noi, vivono in esilio tanti monaci tibetani e ci sono tante associazioni per i diritti e la libertà del Tibet. Che bello vivere in un posto che accoglie questo popolo coraggioso.

Chiacchiere del lunedì

Prova mafaldeEccoci alle soglie del fatidico pranzo di Natale.

Organizzato e studiato nei particolari in molti paesi, l’appuntamento acquista un carattere molto speciale, se sei una tipica famiglia italiana.  Sì, perché per me il pranzo di Natale è un po’ la faccia del nostro paese. Non so se sono di parte, ma il pranzo  di Natale (o la cena della vigilia) è uno di quegli appuntamenti dove può capitare di tutto. La tradizione  vuole tenere duro, nonostante i cambiamenti nella società;  ma se in nonni in salute cercano ancora di fare da registi della giornata, sempre più le pietanze tradizionali, come i tortellini in brodo o il bollito (almeno da noi in toscana), stridono con i gusti dei più giovani. Ma si sa, è il pranzo di Natale e allora cerchiamo tutti di rimanere dentro a ciò che si è fatto per decenni. Dopo il pranzo, c’è lo scambio dei doni e se siete come la mia famiglia  quello è il momento più confusionario del giorno: più che scambio sembra un arrembaggio, tutto si svolge in pochissimo tempo  e alla fine non si capisce chi ha donato cosa. Ogni anno ciò mi colpisce di più è il fatto che quel giorno, come per magia, siamo tutti un po’ sopra le righe e manteniamo un po’ di ansia da performance, cerchiamo di essere simpatici, forse un po’troppo simpatici,  allegri, forse un po’ troppo allegri, è così i bambini della casa, i più festeggiati ma anche i più sensibili alle emozioni, finiscono quel giorno per essere irritabili e scontrosi.

Credo che per tutti noi italiani sia la stessa cosa. Le tradizioni impongono che almeno un giorno all’anno vengano deposte le armi in famiglia… ma quanti di voi hanno l’impressione che si tratti solo di fare buon viso a cattivo gioco? Tanto che proprio durante i pranzi di Natale spesso si scatenano quei sentimenti a lungo sopiti o nascosti che portano inevitabilmente alla “tragedia” familiare, dove tutti si azzuffano con tutti. Segreti, veleni, bugie familiari si scatenano, la miccia è corta, basta una parola sbagliata, per dare fuoco alle polveri, tuttavia, nonostante tutto la famiglia rimane un rifugio. Certo i coraggiosi che restano fino al panettone si alzano da tavola con un senso di soddisfazione totale… “anche quest’anno ce l’abbiamo fatta”!  

Niente paura: l’effetto scompare quasi subito  e in men che non si dica ci ritroviamo  a pensare quanto sia importante e bello il giorno di Natale per noi, per i nonni e per i nostri figli. Però tutto cambia, la società è in grande trasformazione: pensate che riusciremo anche a sotterrare il bollito?