… la Befana vien di notte!

befanaProviamo a fare un po’ di chiarezza sulla festività del 6 gennaio.

In Italia, e solo in Italia, il 6 gennaio si festeggia l’arrivo della Befana facendo così coincidere antiche tradizioni pagane con la tradizione religiosa e liturgica cristiana.

Ma facciamo un passo indietro. Innanzitutto vi inviatiamo a riflettere sulla derivazione della parola befana, a ritroso, dal termine latino bifania, pifania fino al termine greco epiphaneia.

E qui subito ci fermiamo perché il termine ha una storia antica non solo per la religione cristiana.

Epifania infatti significa il subitaneo apparire (e sparire) di una divinità. In epoca greca e romana gli dei si aggiravano tranquillamente fra gli umani oppure si manifestavano attraverso prodigiose luci e voci. Sui luogi dell’epifania si costruivano templi o are votive, e in tali luoghi si evocavano nuove manifestazioni della divinità. Quando l’imperatore o il faraone divennero vere e proprie divinità da adorare il termine si riferì anche al manifestarsi in pubblico del sovrano: in Grecia il termine epiphanes veniva attribuito al sovrano stesso, in Egitto il faraone si mostrava alla finestra dell’epifania, e quando l’imperatore romano si sedeva sul trono sotto il baldacchino veniva considerato dio e uomo allo stesso tempo.

La Chiesa celebra il 6 gennaio la festa dell’Epifania cioè la manifestazione del Signore e la devozione popolare ha reso questa antica festa del sovrano una festa sacra in cui i tre re che provengono dall’oriente vengono guidati alla culla di Gesù Bambino dall’epifania di una stella.

Ma in tutto ciò la Befana che c’entra? L’anello di congiunzione fra festa cristiana e festa popolare sono proprio i tre re magi (dal greco magoi, cioè sacerdoti non maghi…) Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Infatti l’orribile vecchietta emulerebbe i tre Magi che portarono doni al bambin Gesù portando doni a tutti i bambini proprio in questa data che corrisposnde all’arrivo dei re adoratori. A questa interpretazione è legata anche una leggenda secondo la quale durante il viaggio dei Re Magi per arrivare a Betlemme, ai tre si era unita una folla di persone che avevano deciso di seguire la stella che li guidava. Ad essi avrebbe voluto unirsi anche una vecchietta, che però sentendosi troppo debole cambiò idea all’ultimo momento e rimase a casa. Ripensandci volle provare a seguire la carovana che era già partita, e riempì un paniere di dolcetti da offrire al Bambin Gesù. Purtroppo non riuscì a raggiungere i Magi e si perse e allora cominciò a distribuire i dolcetti che aveva portato con sé a tutti i bambini che incontrava.

Noi preferiamo questa versione dei fatti, forse meno storica ma più simpatica, piuttosto di quella che vuole la figura della Befana legata alle tradizioni precristiane dei cicli della terra e dei rituali di purificazione, in cui invece di essere la brutta vecchietta che distribuisce caramelle e dolci ai bambini buoni e carbone a chi è stato cattivo, si trasforma in una quasi strega dispettosa e capricciosa.

Ancora una volta comunque vi facciamo i nostri auguri, nella speranza che siate state buoni  in modo che la notte fra il 5 e il 6 gennaio la Befana possa portarvi dolcezza in tutti i sensi! A questo proposito vi invito a rivedere un fantastico cartone animato del 1996, realizzato da Enzo D’Alò, tutto italiano, intitolato La freccia azzurra proprio sulla mitica figura della Befana.

Il lungo viaggio dei Magi

Oggi ripubblichiamo un intervento dello storico dell’arte Lorenzo Cipriani:

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La storia dei re Magi inizia con l’apparizione di una stella ed è strettamente connessa a questo elemento di luce. Ma chi erano questi Magi? Il termine deriva da magos, che non significa mago, come si potrebbe intendere oggi. Al tempo di Gesù i maghi erano i ciarlatani, gli imbonitori. Secondo la tradizione, questi invece erano astronomi e sacerdoti zoroastriani. Quindi seguaci di un culto – quello di Zoroastro – che ha molto influito sulla nascita del Cristianesimo attraverso la religione Mitraica. Attestato in Persia fin dal VI sec a.C. e poi diffusosi in gran parte dell’Asia centrale aveva una forte relazione con gli astri, in particolar modo con il culto del Sol Invictus che fu il veicolo usato da Costantino per affermare l’allora sconosciuta religione Cristiana. Nella parola stessa che designa il profeta Zoroastro o Zarathustra  si trova la radice di astera e tutte le vicende legate alla sua leggenda biografica sono legate alla luce, fin dalla sua nascita avvenuta in una immersione di luce sovrannaturale.

Nei Vangeli sinottici è riportata la vicenda dei Magi solo in Matteo, dove ci si limita a nominarli come “Magi dall’Oriente”, senza indicarne né il numero (che si designa dai doni portati) né il nome. Queste ed altre informazioni si trovano invece in alcuni dei vangeli apocrifi: in quello armeno dell’infanzia e nel cosiddetto Protovangelo di Giacomo.

Ma come vengono rappresentati lungo il corso della storia dell’arte, come cambia la loro iconografia nel tempo?

I re magi, Sant'Apollinare Buovo, Ravenna
I tre re magi, Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna

Nella basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna: “I tre Re Magi” sono rappresentati vestiti con abiti orientali: ricche tuniche, cappello frigio e una sorta di pantaloni che per il tempo dovevano parere ben strani in occidente (sappiamo infatti che risale al Medioevo la cosiddetta “invenzione dei pantaloni”). Ma se volete vedere fra le più belle iconografie dei Magi di tutti i tempi, beh allora dovete andare agli Uffizi! Bisogna ricordare che il tema dell’Adorazione dei Magi fu uno dei più frequenti nell’arte fiorentina del XV secolo, poiché permetteva di inserire episodi marginali e personaggi che celebravano il fasto dei committenti; inoltre ogni anno, per l’Epifania, si svolgeva un corteo che rievocava la Cavalcata evangelica nelle strade cittadine. Qui trovate – tanto per fare alcuni fra gli esempi più noti – l’Adorazione di Gentile da Fabriano (1423), così sfarzosa ed elegante da essere il degno scenario per mettere in luce il committente Palla Strozzi, al tempo il cittadino più facoltoso di Firenze; ma anche quella di Botticelli realizzata nel 1475 per una cappella di Santa Maria Novella dedicata all’Epifania;

Sandro Botticelli, Adorazione dei magi, 1472
Sandro Botticelli, Adorazione dei magi, 1475

quella che Leonardo realizzò per i monaci di San Donato a Scopeto (1481-82), incompiuta eppure ritenuta per molto tempo uno dei maggiori capolavori dell’artista;

Leonardo, Adorazione dei Magi
Leonardo, Adorazione dei Magi,1481-82

e quella di Durer del 1504, vero e proprio capolavoro di tecnica pittorica, indagine naturalistica e composizione scenica, dove si assiste ad una delle prime rappresentazioni di uno dei tre re con la pelle nera, secondo quella che era l’immagine figurata delle tre razze umane (semiti, camiti, giapeti) e dell’universalità della religione portata dal Cristo.

Albert Durer, Adorazione dei Magi,Uffizi
Albrecht Durer, Adorazione dei Magi,1504, Uffizi

Potremo credere allora – alla luce di questa breve riflessione sulla straordinaria concentrazione di capolavori dedicati ai Magi degli Uffizi – che una stella cometa splenda ancora sopra i tetti di Firenze: esattamente fra ponte Vecchio e piazza della Signoria!

Il regalo più curioso

Il regalo più curioso  che ho ricevuto per questo Natale è un libro:

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Si fa presto a dire cotto di Marino Niola, pubblicato da Il Mulino.

Appena l’ho aperto, me lo sono divorato con gusto e divertimento. Siete curiosi di capire da dove vengano alcuni nostri modi di comportarci a tavola? Di sapere perché abbiamo certe tradizioni culinarie? Questo libro ve lo spiega.

L’autore, Marino di Niola, è un professore di antropologia dei simboli e dell’alimentazione. Il libro scorre in modo piacevole e vi farà riflettere su tanti aspetti di vita quotidiana legata al cibo, da noi presi per dati ma che discendono da precisi modelli culturali. Ad esempio, ogni cultura ha il suo modo di associare i sapori e di creare successioni tra un tipo di cibo e l’altro. Un europeo seguirà sempre questo ordine: dal salato verso il dolce  con delle associazioni tipiche come la carne con le patate. Sono delle convenzioni dentro le quali, secondo le diverse culture, si sviluppa un modello di alimentazioni ordinata e corretta.

Il libo parla di alimentazione anche attraverso le espressioni ad essa legate, traendone le verità che le sottacevano nel momento in cui venivano formulate e adottate dai più.  Espressioni  quali “secco come un acciuga” o “ Magra come una sardina”, ad esempio, dicono di come il pesce azzurro fosse un tempo considerato il simbolo della povertà in cucina e sono specchio di una società ben diversa da quella odierna.

Nel libro c’è anche una sezione intitolata Italians. Vi si ripercorrono i piatti più tipici del nostro paese come la pizza, i maccheroni, il ragù e così via (non manca nemmeno il mitico espresso).

Non ci sono ricette in questo libro, solo riflessioni attorno ai nostri costumi e alla storia dell’alimentazione, con le sue implicazioni sociali. Prendete, ad esempio, l’invenzione della pasta fredda: oltre ad essere stata la rivincita delle farfalline, è anche stata la rivincita delle donne italiane che, grazie alla possibilità di preparare un piatto (con l’ingrediente tipico della nostra cucina) che si può conservare e consumare in tempi diversi, si sono viste liberare tempo per altre attività (anche lavorative, naturalmente). Pasta fredda uguale libertà per le donne: sarà mica per questo che mia nonna non l’ha mai apprezzata e l’ha sempre ostacolata in famiglia?

 

 

Gli auguri più belli

Qui di seguito, gli auguri più belli che abbiamo ricevuto per queste feste.

Un omaggio, visibile dal cielo, a tutte le donne. Ad Amsterdam un piccolo esempio di Land Art, per guardare a Sud

 

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La commissione è arrivata da parte dell’organizzazione femminista “Mama Cash”.

Siamo ad Amsterdam, dove l’artista cubano, di stanza negli Stati Uniti, Jorge  Rodriguez- Gerada, ha creato un’opera su un’area di terreno vasta come due campi da calcio.

Invitato dall’associazione, in occasione della campagna “vrouwen vogelvrije”, incentrata sulla difesa delle donne che a loro volta difendono i diritti umani, l’opera raffigura il ritratto di una donna anonima mesoamericana in onore delle attiviste e come simbolo di protesta contro la persecuzione che avviene quotidianamente nella regione che comprende la metà meridionale del Messico, i territori di Guatemala, El Salvador e Belize, la parte occidentale dell’Honduras, Nicaragua e Costa Rica. Il “pezzo” è stato realizzato rimuovendo neve e terreno da una piccola isoletta, in un’area ex industriale, nella baia di Amsterdam, con l’aiuto di 80 volontari.

Un opera forte di  contenuto sociale e poetico, lontano dalla contestazione più serrata. Quello che ora bisognerà verificare è la sua durata di fronte agli eventi dell’inverno, e la possibilità di essere ammirato anche dal vivo, e non soltanto in tour virtuali resi possibili da Google Earth.

Questo articolo era già stato pubblicato il 23 dicembre

Questo lo tengo questo lo butto

Yves Klein, Le saut dans le vide,1960
Yves Klein, Le saut dans le vide,1960

del 2012 ci siamo tenuti:

-Malala Yousafrai

-Enzo Bianchi

– Pepe Mujica

-Ai Weiwei

-Luigi Ciotti

-Il coraggio dei monaci tibetani

-I volontari di tutto il mondo

Invece abbiamo buttato dalla finestra:

-il sospetto

-l’inquietudine

-la crisi

-l’indifferenza

-lo spread

-i furbi

E ora spariamo che sia la volta buona.

Buon Anno a tutti.

Che i nostri migliori auguri vi raggiungano in qualsiasi parte del mondo voi siate!

Auguri Natale 2012Queste siamo noi!

Vi auguriamo un Natale di felicità e risate!

Vi aspettiamo tutti qui per il nuovo anno,

con tante novità,

a fare due chiacchiere come vecchi amici.

Ora scusate, ma i preparativi per il cenone ci chiamano!

Enrica e Stefania

British Christmas

Christmas puddingSi dice che fu Sant’Agostino, una volta sbarcato in Inghilterra, a importare sull’isola la tradizione del Natale. Era il 568 o giù di lì e gli Angli, come sempre accade, non sostituirono le loro credenze e le antiche tradizioni, le fusero con le nuove creandone di originali. Ad esempio, l’usanza di baciarsi sotto il vischio o usare l’agrifoglio come centrotavola porta fortuna e deriva dalla millenaria tradizione druidica.

Strana terra l’Isola, sulla cena di Natale si racconta che nel medioevo un notabile fece cuocere una pie (una torta) di nove piedi di diametro  (quasi tre metri), pesante 75 chili i cui ingredienti comprendevano oltre a due sacchi di farina e una quantità impressionante di burro anche 4 oche, due conigli, 4 anatre selvatiche, 2 chiurli, 6 piccioni, due lingue di bue, 7 corvi, beccacce, beccaccini e pernici…

Per fortuna a Natale in UK oggi si mangia un po’ più leggero! Il tipico Christmas Dinner include tacchino arrosto, o oca, cavoletti di Bruxelles, patate arrosto, salsa di mirtillo, salsicce arrotolate nella pancetta e sebbene alcuni affermino che la tradizione del tacchino fu introdotta da Enrico VIII (ma quante ne ha combinate…), pare che invece essa sia figlia del benessere del ventesimo secolo.

La cosa però nella quale gli inglesi sono insuperabili sono i dolci, a Natale la tavola ne é ricoperta e fra tutti spicca il Christmas pudding bomba calorica che si mangi con la crema al brandy.

Una specie di babà ai frutti canditi  all’interno del quale la tradizione vuole sia inserita una monetina d’argento che porterà fortuna e danaro a chi la troverà sotto i denti (a meno che non se li rompa…)

Eccovi dunque la ricetta del famoso Christmas Pudding

500 g di frutta secca assortita

60 g di prugne tritate

45 g di ciliegie candite tritate

60 g di mandorle tritate

40 g di carote grattugiate

stampi per pudding

40 g di mele grattugiate

scorza e succo di un’arancia

3 cucchiaini di melassa

3 cucchiaini di brandy

1 uovo

60 g di burro sciolto

60 g di zucchero poco raffinato

un  pizzico di peperoncino

60 g di farina

60 g di pangrattato

Unite tutta la frutta in una ciotola con il brandy eil succo di arancia. Al composto aggiungete l’uovo, il burro ben morbido, lo zucchero, la farina , il peperoncino e il pangrattato, Amalgamate bene e lasciate riposare almeno mezz’ora al fresco.Riempite con il composto uno stampo da pudding (assolutamente introvabile fuori dall’Isola, ma un pentolino andrà benissimo anche se non darà al pudding la classica forma a palla di Natale…) e cuocetelo a bagnomaria per 6 ore a fuoco molto basso. C’est tout¨La guarnizione naturalmente sarà l’agrifoglio e dovrete incendiarlo con un cucchiaio di brandy prima di servirlo con altro brandy e crema!

Di monaci e sacrestani

monaco che si da fuocoEnzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, ha pubblicato (su La Sampa del 16 dicembre) un bell’articolo sui monaci tibetani che si immolano nelle fiamme per protestare contro il genocidio cinese in Tibet. Bianchi ha giustamente inquadrato il gesto in un’antichissima tradizione del Buddismo : quella di asceti che si donano, attraverso un sacrificio estremo, per il bene degli altri. Al tempo stesso, pero’, il priore di Bose ha sottolineato come questo atto abbia una valenza non solo religiosa ma anche civile. I monaci testimoniano la volontà di difendere certi valori, come la libertà e il rispetto delle coscienze, a qualsiasi prezzo, ma nell’ambito di una scelta non violenta che addirittura cerca di estinguere il male compiuto su di essi con la scomparsa del proprio corpo.

Subito ne è nato un dibattito, con i soliti esponenti cattolici prontissimi a ribadire la posizione della Chiesa che, pur rispettando le motivazioni che hanno portato al gesto, disapprova che ci si tolga la vita. Questi sacrestani non si rendono conto che il priore di Bose non voleva interrogare la Chiesa, con le sue legittime posizioni, ma le coscienze di noi tutti sui genocidi e sulle ingiustizie del nostro tempo, in particolare su quelli compiuti in Tibet. Che poi il Tibet fosse al momento dell’invasione cinese una teocrazia è vero, ma che si debba per questo giustificare un genocidio è idiota anche solo pensarlo. In Svizzera, da noi, vivono in esilio tanti monaci tibetani e ci sono tante associazioni per i diritti e la libertà del Tibet. Che bello vivere in un posto che accoglie questo popolo coraggioso.

Goodbye Lenin!

AspirapolvereChe si può fare quando la giornata è uggiosa e fredda e non si ha nessuna intenzione di gettarsi fra la folla natalizia? Ma naturalmente si può navigare sul web alla ricerca di chicche da condividere! Ed è proprio una chicca quella che vogliamo presentarvi oggi, certo un po’ lontana (a Mosca…) ma che riporta, almeno quelli della nostra generazione, ad un passato recente che sembra essere stato cancellato dagli eventi.

Si tratta di un’esposizione al Moscow Design Museum, che fino al 20 di gennaio 2013 mette in mostra il design sovietico fra il 1950 e il 1980, gli anni cioè della cortina di ferro, delle spie, della Baia dei Porci, del terrore nucleare. Nella presentazione on line leggiamo che si tratta di un vero e proprio stile di vita presentato attraverso oggetti di design e simboli iconici appartenenti all’epoca del comunismo.

Sono stati qui raccolti i migliori esempi sovietici di design industriale, grafica, arti applicate e moda, un universo di oggetti affascinanti non solo perché retrò, ma perché testimonianza di risultati conseguiti grazie ad un approccio sistematico, funzionale, estetico e umanistico alla progettazione, approccio che caratterizzò gli anni ruggenti del comunismo sovietico.

Giochi, hobby, sport ed eventi di massa, educazione e scienza, produzione e vita domestica, tutto trova spazio in questo Amarcord fortemente voluto dalla direttrice del museo Alexandra Sankova. Chissà l’effetto che fa ai moscoviti ripiombare in piena era comunista e quale pensano possa essere l’eredità che ha lasciato loro questo periodo.

L’idea, macchina che crea l’arte

Continuiamo il nostro viaggio ideale durante queste feste di Natale. Dopo Roma e la Galleria Borghese, propongo  di scendere a Napoli dove, dal 15 dicembre, si è aperta una mostra dal titolo “Sol Lewitt e i suoi artisti”. Sua è la frase che dà il titolo a questo articolo.

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Sol Lewitt potrebbe risultare, a chi non è avvezzo all’arte contemporanea, un’artista tosto da comprendere e da assimilare, almeno al primo incontro. Anche se cosi’ è, io vi proporrei comunque di non scoraggiarvi, perché questo personaggio americano, teorico dell’arte minimale e concettuale fin dagli anni Sessanta, è un caposaldo dell’arte contemporanea.  Egli si dedicava a pensare e riflettere su tutte le possibilità di espressione offerte dalle della forme geometrihe primarie.  Se andate a vedere il suo lavoro non cercate il racconto; lui non ha mai  da raccontarvi un fatto o da lasciare  traccia del suo punto di vista:  ha studiato tutta la vita per offrirci tutte le possibilità combinatorie delle  forme geometriche, come ad esempio il cubo. Sol Lewitt ci lascia le norme, le combinazioni delle forme, come quando si dedica a quantificare e rappresentare tutte le possibilità di rappresentare due linee che si incontrano.

Non cercate il sentimento facile quando andate a vederlo, ma la struttura fondante dei segni che accompagnano la nostra vita. La sua opera fondata su rigorosi calcoli matematici  è in ultimo  la trasposizione delle sue pratiche di logica. Il pensiero di Sol Lewitt è il pensiero di un teorico di un filosofo che ha la forza di rifondare i principi dell’arte.

Sol Lewitt
Sol Lewitt

Allora vedrete linee spezzate, in bianco e nero e a colori, cubi, forme geometriche seriali in progressione. Non disperate e cercate la logica matematica di questi progetti. E se vi domanderete come hanno fatto a trasportare le opere sulle pareti del museo ricordatevi che l’artista non ha mai dipinto direttamente tutto il suo lavoro.  Lui esprime il suo progetto, descritto minuziosamente, per poi lasciare  ai suoi assistenti il compito di eseguire l’opera. A loro dovevano essere sufficienti le sue direttive . Ciò che conta nel suo lavoro è il concetto, l’idea, non la realizzazione.

E ciò che mi piace di più è che l’idea è di tutti e rimane nell’aria per sempre.

La mostra resterà aperta fino al 1 aprile ed espone anche la sua collezione di opere di altri artisti.