Story pod, un guscio pieno di storie

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Cosa si può fare per riqualificare un luogo?

Senza arrivare ai casi estremi come quello di Bilbao – che da città post industriale, grigia e semi sconosciuta grazie ad un ardito piano di rigenerazione, comprendente anche la costruzione e inaugurazione del Museo Guggenheim, progettato da Frank Gehry, è oggi un esempio di riqualificazione urbana da seguire – si possono fare interventi di modesta spesa ma di impatto sorprendente.

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È quello che suggerisce lo studio di architetti AKB di Toronto, Canada, che ha installato a Newmarket, una cittadina dell’Ontario, uno Story Pod, cioè un guscio che cela al suo interno un preziosissimo contenuto.

Infatti in un’area urbana scarsamente frequentata è nata una “scatola per libri” posta ai margini di una piazza recentemente ristrutturata, nel centro del quartiere storico della cittadina, la cui funzione è quella di favorire gli incontri e stimolare i fruitori alla lettura.

Si tratta di una struttura con mura girevoli che di giorno resta completamente aperta mostrando comode sedute e scaffali colmi di libri, mentre di notte viene chiusa e assume l’aspetto di una lanterna, illuminata al suo interno grazie ad un sistema di pannelli solari.

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Il progetto possiede una forma pura, semplice che svela un approccio profondamente riflessivo all’architettura. Il grande cubo nero potrebbe essere un’opera d’arte contemporanea. Offre un ambiente che invita al raccoglimento della lettura, ma allo stesso tempo è aperto allo spazio intorno perché stimola l’aggregazione in nuove forme.

L’arte è schiava del mecenatismo?

Takashi Murakami dntro un negozio di Luis Vitton
Takashi Murakami dntro un negozio di Louis Vuitton

Questa riflessione mi è scaturita in seguito a un articolo, comparso domenica scorsa su La Repubblica e scritto da Natalia Aspesi, dal titolo “L’arte è di moda”. Vi si metteva in luce lo stretto rapporto – ormai più che decennale tra arte e mondo della moda. Nell’articolo si ripercorrevano le collezioni e i favolosi contenitori di arte aperti in questi anni dai grandi mecenati della moda, come Palazzo Grassi e Punta della Dogana (di Pinault, patron del gruppo Kering), a Venezia, come il più recente centro d’arte contemporanea della Fondazione Prada, sempre a Venezia, o l’appena inaugurata Fondazione Louis Vuitton, opera di Frank Gehry a Parigi.

Fondazione Louis Vuitton, Paris
Fondazione Louis Vuitton, Parigi

Questo connubio ormai è un dato di fatto. Però io non posso esimermi dal sentire che qualcuno ha preso qualcosa all’arte. Mi accade ogni volta che mi imbatto in una manifestazione di questo sovrapporsi di moda e arte, come quando cammino per strada e mi trovo davanti a vetrine di case di moda firmate da artisti. E’ un po’ come quando i turisti in giro per il mondo scattano le foto alle persone del luogo, pur sapendo bene che queste ultime non vedono la cosa con favore perché si sentono derubate della propria anima.

Certo, sappiamo bene che non siamo di fronte a niente di nuovo, perché l’arte da sempre è stata legata ai suoi committenti; basti pensare – uno per tutti – alla Chiesa. Le opere più importanti della storia sono nate da un gioco di forza tra il committente che voleva qualcosa e l’artista che la concedeva lottando comunque sempre per la propria libertà.

Ma cosa cerca la moda nell’arte contemporanea? Cerca di agganciare la creatività e il pensiero degli artisti per colpire gli acquirenti, sempre più in difficoltà a distinguersi con un paio di scarpe o una borsa. “I signori della moda” come li chiama Natalia Aspesi sono interessati a mettere il loro marchio sull’arte.

E quale arte prediligono e promuovono? È una questione di trend: c’è una chiara predilezione per quel che colpisce subito e si predilige un’arte provocatoria, con quel tanto di cinico che fa snob. E’ tornata la narrazione, il figurativo, e un interesse anche per il tragico, basta che abbia qualcosa di esteticamente immediato. Si vedono sempre meno i linguaggi più ermetici e complessi, come quelli concettuali. Per chi da sempre visita le mostre, questi centri , che tanto dettano legge nel mercato dell’arte, sembrano come un giro di giostra.

Carsten Holler, Fondazione Prada, The Doubel Club
Carsten Holler, Fondazione Prada, the double Club

Ma un giro di giostra è poi un male? No, niente catastrofismi è solo una direzione dei marchi del lusso, unici in questo momento interessati a spendere e a promuovere l’arte. Così mentre il “regno dell’effimero cerca l’immortalità” e le quotazioni dell’arte si impennano, atteniamoci a ciò che si vede e attendiamo il momento in cui questa fase lascerà spazio a nuove sfide e magari chissà a maggior libertà.

Quando l’architettura scotta

walkie talkieAll’inizio di settembre un elegante signore che lavora nella City di Londra, tornando verso la sua automobile, scorge un capannello di gente che sta fotografando qualcosa. Incuriosito domanda a un ragazzo che si sta affannando a scattare cosa sia capitato e scopre con grande sorpresa che oggetto dell’interesse generale é la sua automobile, una Jaguar, che si è letteralmente sciolta, come se fosse stata colpita da un’arma aliena.

Il problema è che non si è trattato di un attacco alla terra, ma di un raggio di sole dirottato sull’auto da un grattacielo in costruzione li vicino, la cui realizzazione costerà oltre 200 milioni di sterline. E l’auto non è il solo danno provocato da quello che è chiamato il Walkie Talkie per la sua originale forma, pare infatti che decine di proprietari dell’Estcheap di Londra hanno lamentato danni dovuti ai raggi solari deviati dalle pareti concave e ricoperte di specchi dell’edificio. Cosa che l’architetto Rafael Viñoly, non aveva considerato quando ha disegnato questa bellezza di vetro. Intonaco a bolle, zerbini bruciati, inizi di piccoli fuochi dovuti al « fenomeno » che i realizzatori stanno attentamente valutando per debellare.

Ma storie su grattacieli che si trasformano in « specchi ustori », come quelli di Archimede a Siracusa, non sono però prerogativa della capitale del Regno Unito.

Esistono infatti diversi precedenti. Scalpore ha fatto anche il cosiddetto « raggio della morte di Vdara » (come è stato denominato dagli stessi dipendenti dell’hotel) dal nome del grattacelo a Las Vegas, progettato, guarda caso, dalla prestigiosa Rafael Vinoly Architects dove si trova l’elegantissimo MGM Resort International, costato 8,4 miliardi di dollari. Qui erano i bicchieri e le sdraio della piscina ad andare in fiamme a causa della forma concava della costruzione e si è corso ai ripari ricoprendo tutte le finestre dei piani intermedi con una costosissima pellicola che impedisce la riflessione del sole, che in Nevada è ben più forte che in pieno centro di Londra.

Ma a las Vegas anche l’AdventureDome at Circus Circus (Architects Rissman and Rissman Associates) e il Mandalay Bay hanno problemi di riflessione. Inoltre anche la Disney Concert Hall di Frank Gehry a Los Angeles, per problemi analoghi, ha dovuto essere smerigliata in alcune sue parti.Disney Concert Hall

Insomma architettura che scotta non solo a causa degli astronomici costi di realizzazione di queste cattedrali moderne, che impreziosiscono gli skyline delle città, ma anche per l’utilizzo, in questi casi, « ardito » di tecniche e materiali innovativi.

Certo un grattacielo di legno non avrebbe lo stesso impatto sul paesaggio…

I musei si espandono: il nuovo Louvre a Lens

E così i musei si sdoppiano, aprono succursali. E più sono ospitali e più vengono visitati diventando luoghi dove trascorrere il proprio tempo e divertirsi. La prima succursale se la è inventata la Solom R. Guggenheim Foundation quando nel 1997 aprì a Bilbao lo spettacolare museo di Frank Gehry: ricordate il clamore e il successo che ne seguì? Ebbene il Guggenheim ha poi ha continuato la sua espansione e, sempre nel 1997, ha aperto un’ altra sede a Berlino. Prossimamente ne aprirà una ad Abu Dhabi, mentre la sede di Venezia merita considerazioni diverse perché è stata, più che una nuova sede, l’assorbimento di un museo che doveva rimanere veneziano e italiano.
Frank Gehry, Museo Guggenheim, Bilbao
In genere sono musei nuovi realizzati da architetti importanti come nel caso del nuovo Centro Pompidou, sorto a Metz, nel 2010, per opera dell’architetto giapponese Shigeru Ban. Il Centro ospita mostre con opere prese in prestito dalle collezioni del Museo d’arte moderna di Parigi.

È di questi giorni la notizia di una nuova sede distaccata aperta da un grande museo. Ancora una volta in Francia, questa volta ad opera del Louvre. Infatti, dal 12 dicembre, sarà possibile visitare una sua succursale nella città di Lens, nella Francia del nord. Il Museo è stato costruito dagli architetti giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, che lavorano assieme sotto il nome di SANAA.
Louvre, Lens
Si tratta di una realizzazione enorme: più strutture espositive, la principale delle quali è un hangar lungo 120 metri, realizzato in alluminio e vetro, di grande eleganza e armonia. E’ stato chiamata la Galleria del tempo perché strutturata lungo una linea temporale (una time line) che si dipana all’interno di essa, accompagnando il visitatore dall’antichità sino al secolo appena trascorso. Conserva opere provenienti per la maggior parte dal Louvre (il diciannovesimo secolo è rappresentato da quelle del Museo d’Orsay, naturalmente) che vi rimarranno per cinque anni. Vi è poi uno spazio a pareti mobili per esposizioni temporanee e vi è anche uno spazio (una specie di grande scatola in vetro) pensato per esposizioni di storia e cultura locale. La luce naturale prevale e la struttura può regolarne la quantità in entrata.
Tutta questo fermento ci fa venire la voglia di mettersi in viaggio. Ma, al contempo, ci assale il dispiacere che l’Italia non partecipi a queste rivoluzioni culturali; anzi spesso si lascia scappare anche ciò che di grande ha nel suo territorio.

L’arte dà senso ad un luogo

E’ di questi giorni l’inaugurazione all’Aquila dell’auditorium progettato da Renzo Piano. Tre anni dopo il terremoto nasce  (con il contributo economico della Provincia di Trento) un luogo per ascoltare la musica, incontrarsi per conferenze e anche per assistere a proiezioni.  Uno spazio concepito come uno scrigno prezioso, non a caso definito un “piccolo gioiello” che, come capita spesso all’arte, non ha mancato di suscitare assieme al consenso anche qualche polemica, per il costo elevato e per la convinzione di alcuni che con quei soldi si sarebbe potuto fare altro.
Siamo avvezzi a queste polemiche, anche se mi domando quanto siano intelligenti: ogni volta che un’opera d’arte (in senso ampio, di tutte le arti) arricchisce una città, questa sarà una ricchezza per tutti. Ricchezza per tutte le fasce d’età per il fatto di essere pubblica e fruibile da tutti.
Allora gli esempi si affollano nella mia mente e penso a cosa sia voluto dire per la città di  Bilbao, anche in termini di visitatori, il museo Guggenheim,  opera dell’architetto Frank Gehry.Oppure penso alla città francese di Metz col nuovo centro Pompidou, realizzato dall’architetto giapponese Shingeru Ban. Anche qui in Svizzera la nostra gloria italiana, Renzo Piano, ha lasciato non pochi segni sul territorio, come il bellissimo  Museo di Klee a Berna o la fondazione Bayeler a Basilea.

Lo sdegno iniziale dei cittadini che accolgono un nuovo progetto d’arte si trasformerà, in un momento successivo, in orgoglio e passione per la sua conservazione. A questo proposito, mi viene in mente la piccola cittadina di Riola, in provincia di Bologna, che nella seconda metà degli anni Sessanta accolse il progetto per una chiesa del grande architetto finlandese Alvaar Alto. Quella chiesa, nella sua concezione moderna del sacro, è sempre rimasta un luogo di incontro per tantissimi appassionati d’arte e fede.


E come l’architettura, così fa anche l’arte plastica. Pensiamo a Prato: la grande scultura di marmo bianco di Henry Moore è diventata infatti il simbolo della città.


Ben vengano i soldi spesi nel campo dell’arte quando naturalmente a scegliere i progetti c’e’ chi la conosce e  sa dove stia di casa.