Voler bene alla Terra

2016-header-slowfood-day“Slow Food è una grande associazione internazionale no profit impegnata a ridare il giusto valore al cibo, nel rispetto di chi produce, in armonia con ambiente ed ecosistemi, grazie ai saperi di cui sono custodi territori e tradizioni locali. Ogni giorno Slow Food lavora in 150 Paesi per promuovere un’alimentazione buona, pulita e giusta per tutti”.

Quest’anno si festeggiano i primi trent’anni dell’associazione con lo Slow food day il 16 aprile prossimo.
Voler bene alla Terra” è lo slogan che accompagnerà questa sesta edizione della giornata Slow food e in questa occasione ci sarà la possibilità di parlare di tutte le iniziative promosse dalla rete: dai 10.000 Orti in Africa e dai Presìdi Slow Food, all’Arca del Gusto e ai Mercati della Terra, dagli Orti scolastici ai tanti progetti locali che promuovono un’alimentazione sana e naturale.

“La giornata nazionale di Slow Food è stata istituita nel 2011, nell’occasione del venticinquennale dalla fondazione dell’associazione; da allora l’evento viene così riproposto a cadenza fissa, nella tarda primavera, per festeggiarne il compleanno. Questo momento rappresenta un’occasione unica per scendere nelle piazze, sotto i portici, nei locali e nei luoghi pubblici della nostra bella Italia, frequentabili da chiunque e liberamente accessibili, per proporre laboratori, informare e consigliare sui comportamenti virtuosi quotidiani, promuovere le progettualità associative legate alle filiere del cibo e ai loro migliori interpreti. Dopo il successo della prima edizione, che celebrava, oltre al 25° anniversario, l’agricoltura di prossimità, nel 2012 i riflettori sono stati puntati sui cambiamenti climatici e la green economy, nell’ideale proseguimento delle riflessioni iniziate l’anno precedente. Il tema conduttore dell’edizione2013 è stata la lotta allo spreco, una scelta per anticipare i tempi e per affrontare da protagonisti il 2014, l’anno europeo contro gli sprechi. Su questo importante tema Slow Food opera già da tempo con diverse attività, come la collaborazione ai Last Minute Market, l’adesione alla ‘Carta Spreco Zero’ e al documento ‘Meno Rifiuti Più Benessere in 10 mosse’ dei Comuni Virtuosi, di Italia Nostra e di Adiconsum”. Nel 2015 lo slow food day ha celebrato il cibo quotidiano buono, pulito e giusto ottenuto nel rispetto della sostenibilità ambientale, della territorialità e della salubrità, che emerge a fatica dalla confusione degli attuali sistemi di produzione e distribuzione alimentari che hanno progressivamente appiattito qualità e identità.

Un momento dunque non solo di riflessione ma anche di piacere come sottolinea la filosofia dell’associazione “con eventi che favoriscono l’incontro, il dialogo, la gioia di stare insieme. Perché dare il giusto valore al cibo, vuol dire anche dare la giusta importanza al piacere, imparando a godere della diversità delle ricette e dei sapori, a riconoscere la varietà dei luoghi di produzione e degli artefici, a rispettare i ritmi delle stagioni e del convivio”.

La vita o è stile o è errore

imagesLa nostra immagine, come italiani deriva dal nostro stile di vita. Cinema e moda l’hanno portata nel mondo, tirandosi dietro anche altri settori come l’alimentazione, il mobile e così via.

Uno stile di vita complesso che si riassume in una parola: buongusto. Si applica a come mangiamo, a come ci vestiamo, a come arrediamo ma anche a come ci approcciamo alla vita. Si suppone che noi italiani sappiamo farlo con leggerezza e appunto “buongusto”.

Ora, il problema è che oggi rappresentare questo stile nel mondo è divenuto difficile. Da un lato internet rende impossibile farlo senza essere banali: le cose di base sull’Italia sono disponibili ovunque. Dall’altro lo scenario è cambiato: elementi di quello stile che ci ha resi unici e famosi ci sono ancora, ma anche altri ce li hanno. Faccio un esempio: il nostro vino è ormai in competizione con quello di mezzo mondo e hai voglia a dire che da noi è una tradizione: sai cosa gliene importa a chi compra il vino a Rio de Janeiro? Questo si applica a tutti i nostri tradizionali punti di forza. La moda tiene, si dice: beh, insomma. Campa in mani straniere e dove è ancora italiana si dibatte nella discussione sull’opportunità di riportare tutte le produzioni in Italia. Il mobile va: certo, e il salone del mobile è ancora un grande evento, ma ormai l’unico nel suo genere, e purtroppo è anche cronicamente scollegato dal sistema moda, con cui dovrebbe interagire. Abbiamo slow food: super vero. Ma anche tante porcherie che avvelenano il nostro cibo; chi le mangia più le mozzarelle prodotte accanto alla  terra dei fuochi? E tutto il mondo sa della terra dei fuochi: a me ne hanno parlato amiche americane!

La domanda allora è: ma c’è un modo di ricostruire uno stile italiano per usarlo in modo da ri – affermarci nel mondo? Gli americani chiamano soft power l’attrattività culturale di un paese. Un potere basato sulla seduzione e non sulla potenza militare o economica.

Con lo stile italiano noi il soft power ce lo avevamo. Ma adesso come lo ricostruiamo? Come ricreiamo un soft power per ricavarci un nuovo posto nel mondo di domani?

La vita o è stile o è errore, si diceva un tempo. Speriamo lo capiscano anche i nostri politici.

Una dichiarazione d’amore per l’Italia

girlfriend-in-a-comaFin dal titolo si intuisce che il film documentario scritto da Bill Emmott, ex direttore dell‘Economist e diretto dalla film-maker italiana Annalisa Piras non puó lasciare insensibili.
Girlfriend in a coma, che tradotto significa “la fidanzata in coma”, infatti, è due cose insieme: da una parte una profonda, entusiastica, struggente dichiarazione d’amore per il Bel Paese e dall’altra una crudissima, lucida, a tratti penosa denuncia del malcostume italiano.
Film decisamente scomodo, soprattutto prima delle elezioni politiche, tanto che la prima della pellicola, che doveva tenersi al MAXXI di Roma, é stata bloccata per volontà della presidente della fondazione del museo Giovanna Melandri, che ha motivato il gesto schermandosi dietro la par condicio che vige in questo periodo pre elettorale, ma che è stato bollato dalla stampa, soprattutto straniera, come un atto di “intellectual cowardice”, alla lettera codardia intellettuale.
Impietoso ritratto dei peccati di un’Italia, che, inutile negarlo, esiste, con le sue bassezze e le sue vigliaccherie, in balia di una classe politica corrotta e corruttrice che ha finito per soffocare quel “primato morale” che era la caratteristica principale degli italiani. Un vero e proprio collasso morale, che non ha eguale altrove nel mondo occidentale, scaturito da una crisi economica senza precedenti e aggravato da una classe politica che per decenni si è dimostrata più affezionata alla “poltrona” che al Paese. Eppure… eppure il film è anche uno spaccato sulle forze sane del paese, su quelle eccellenze che con difficoltà trovano spazio nelle cronache, su quella energia rinnovatrice che fa parte del DNA italiano.
Il film è realizzato come fosse un diario di viaggio tenuto da uno straniero che percorre l’Italia, l’ex direttore dell’Economist, appunto. Attraverso l’incontro e l’intervista di più di 50 personaggi italiani, Emmott trae le conclusioni sul male che ha colpito l’Italia. Gli intervistati sono nomi famosi che fanno parte dell’elite politica, culturale ed intellettuale del paese: da Mario Monti, a Carlo Petrini fondatore del movimento Slow food, a rappresentanti della cultura e dell’arte come Umberto Eco, Nanni Moretti e Roberto Saviano a personaggi del mondo economico quali Sergio Marchionne o Jhon Elkan. Tutti raccolti al capezzale della povera fidanzata in coma. Tutti sferzati da domande anche insolenti, ma che aprono scenari inquietanti. Lo stesso autore spiega “Temo che qui ci sia qualcosa per offendere tutti. Diamo uno sguardo alla corruzione istituzionalizzata del Paese, al crimine organizzato, al sistema politico cleptocratico e all’influenza perniciosa della Chiesa”. E di sicuro non risparmia nessuno.
Non nego che è stato difficile arrivare alla fine del film. Ho veramente provato un senso di malessere di fronte a verità per troppo tempo nascoste e ad italici atteggiamenti che non ci fanno onore.
La parte finale della pellicola poi comprende una serie di interviste a persone che hanno per scelta o necessità lasciato l’Italia.
E qui, da italiana, per di più residente all’estero, mi sono dovuta porre una serie di domande su atteggiamenti che sono anche i miei. Tutti gli intervistati infatti si proclamavano disperati per essere lontani dalla patria, ma allo steso tempo affermavano che così come stanno le cose di tornare non se ne parla. Tutti auspicavano un cambiamento, tutti si sono riempiti la bocca di “se si cambia siamo i primi a tornare” ed è proprio qui l’inghippo… Ma se i cambiamenti non contribuiamo a farli anche noi da lontano non solamente divenendo esempi di quelle virtù italiche che in patria non sono più apprezzate, ma in prima persona concorrendo al dibattito sul cambiamento, non è la nostra una forma di vigliaccheria che ci condurrà a veder morire la fidanzata in coma?
Da vedere per riflettere e agire…