Che donna quella Misia

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Auguste Renoir, ritratto di Misia Sert

Sono sempre stata convinta che gli artisti avessero più bisogno di amore che di rispetto. Io li ho amati, loro, i loro piaceri, il loro lavoro, le loro pene e la loro gioia di vivere che era anche la mia”. Queste sono le parole di Misia Sert, pianista russa, al centro della scena culturale parigina nella prima metà del Novecento, amica dei più grandi esponenti della cultura mondiale. Sposata in prime nozze con il fondatore della rivista La Revue Blanche, ha sempre vissuto una casa sempre piena di amici artisti, scrittori, musicisti.  Ha amato  e sostenuto  le avanguardie quando nessuno le capiva, quando le persone “si torcevano dal ridere davanti alla pittura di Renoir e non avevano mai sentito parlare di Mallarmé, e proclamavano a gran voce che si stava tornando all’età della pietra quando ascoltavano Stravinsky o si rifiutarono di pagare duecento franchi per i più bei Van Gogh””.

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Misia è stata ritratta da Pierre Bonnard, Auguste Renoir, Toulouse de Lautrec (che usava  chiamarla Rondinella) e poi ancora di Edouard Vuillard e Félix Valletton.

In fondo al libro troverete un piccolo saggio di Claude Artaud che la descrive così“ con le sue guance rotonde, rosse e paffute , la piccola Misia sembra figlia di un gatto e di una mela”.

E’ stata una donna libera, con un modo di pensare moderno. Ha vissuto una vita incredibile, spesso con momenti di infelicità, ma sempre pronta a risollevarsi. “Una vita di tempeste di drammi” di arte, amicizie. “Di tutti i  miei amici Serge Diaghilev era quello a cui mi sono sentita più vicina”: anche questo capitolo vi troverete a leggerlo tutto d’un fiato. E poi Picasso “l’uomo del sipario di Parade, l’amico che seguivo da più di trent’anni (…)” .

Tre matrimoni, l’ultimo con il pittore catalano Jose Maria Sert. Ironica, divertente e intelligente,  snob più di quanto si possa credere . Per esempio sostiene di non sapere quale classe sociale sia  il “bel mondo”  sapevo bene che esistessero altra classi sociali, ma per me c’erano sempre stati i re, gli artisti e poi quelli che non erano né l’una né l’altra cosa”.896ac1c0a11e01ca51725e914882a13a_w600_h_mw_mh_cs_cx_cy

Insomma una vita leggendaria che vi farà sognare e divertire fino ad immergervi in un modo che per noi ormai è accessibile solo attraverso i libri, i concerti e i musei.

La lunga notte dell’Antartide

Set per un thriller metafisico: Antartide, inizia la lunga notte. 

In effetti il 3 maggio è iniziata la stagione del buio non-stop sul DomeC-Concordia, base di ricerca permanente franco-italiana situata a 75°07’S 123°22’E, sul plateau artico a un’altitudine di 3233 metri sul livello del mare. La base ha una capacità massima di 65 persone, sebbene non ne ospiti più di 32 nel periodo estivo e massimo 16 in quello invernale. È costituita da due edifici principali collegati fra di loro da un corridoio, isolati in modo da poter sopportare temperature estreme ed una escursione termica fino a 100°. Uno è dedicato alle attività “silenziose” (alloggi, laboratori, infermeria), l’altro a quelle “rumorose” e alla vita sociale. Al Dome C si studia climatologia, sismologia e fisica dell’atmosfera dell’Antartide, inoltre la base si presta anche alle osservazioni astronomiche.

Gli scienziati qui alloggiati, saranno isolati completamente per i prossimi tre mesi, non solo al buio, ma anche a temperature che possono raggiungere i -85°. Ciò che si prova è stato sintetizzato in maniera perfetta da un post su FaceBook di Marco Buttu componente della spedizione antartica 2018:

“Cari tutti, il Sole è appena tramontato e lo rivedremo ad agosto. Ci aspetta qualcosa di veramente speciale, e non parlo del fatto che staremo al buio a -80 gradi per tre mesi. Se ci pensate infatti, qua non ci sono insetti, animali, aerei che passano sopra la nostra testa, foglie che volano al vento, colori. Non c’è niente che si muove, niente e nessuno a farci compagnia, eccetto che il Sole, sino ad oggi. Adesso potete capire che si può avere la nostalgia di una stella, considerandola un essere vivente. Ora immaginate di stare qua, nel posto più freddo e isolato al mondo, persi in una immensa e piatta distesa bianca, lontani da tutto e tutti. Nessuno può raggiungervi, in alcun modo, e non potete più andar via. Nessun rumore. Silenzio assoluto e buio pesto. Se non fosse per il moto dei pianeti e quello apparente delle stelle, tutto sarebbe statico. É rimasta solamente una infinitesima parte dell’Universo, quella che si manifesta ai vostri occhi, a farvi compagnia. Iniziate a intuire quanto siete piccoli e insignificanti al cospetto del cosmo, e vi sentite un tutt’uno con il resto del sistema. Ecco perché adesso, finalmente, percepisco pienamente la sensazione di isolamento. Ed è meravigliosa. Mi permette di apprezzare ancor di può ciò che mi manca, di riflettere e pensare alla vita al di là di come la concepiamo noi esseri umani”.

Raggelante… sotto tutti glia aspetti!

 

Viva la pappa pappa

Quando ero piccola e Rita Pavone cantava, vestita da Gian Burrasca, “viva la pappa pappa pappa al pomodoro”, non ero per niente convinta che avesse ragione. Eppure, ora che non vivo più in Italia e mi mancano i pomodori rossi davvero saporiti, nonché  il pane senza sale, sono certa la pappa al pomodoro sia la cosa migliore del mondo!

La ricetta è semplice, ma come tutte le cose semplici richiede attenzione.

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Dunque seguite attentamente:

Usate il pane raffermo ( del giorno prima) e mettetelo ad ammollo nell’acqua; nel frattempo prendete una casseruola e mettete un po’ di olio (rigorosamente olio di oliva extravergine), aglio e un bel po’ di pomodori rossi perini preventivamente scottati e senza buccia.

Fate un bel sugo al pomodoro, dunque prendete il pane e sminuzzatelo.  Ponete il pane nella pomarola e aggiungete delle foglie di basilico.

 Prima di portarlo in tavola grattate un bel po’ di parmigiano.

La pappa al pomodoro è pronta: è un piatto povero ma sarà apprezzato da tutti.

 

Bruges e l’utopia di una città liquida

 

Bauman e la sua società liquida, cioè una società che sfoggia una fisionomia sempre più effimera e incerta, fanno da sfondo al percorso artistico e architettonico della seconda Triennale di Bruges. Ville liquide infatti è il titolo della kermesse che dal 5 maggio al 16 settembre renderà la città medievale e i suoi canali palcoscenico per un percorso espositivo in cui la città è resa viva e pulsante da opere di artisti e architetti provenienti da tutta Europa.

Una società fluida e cangiante necessita di uno spazio urbano che si adegui a questa sua liquidità. L’edizione della Triennale del 2018 propone dei progetti, delle architetture, delle installazioni che cercano di suggerire una possibile forma alla città del futuro.

Fra le tante opere presenti nella città delle Fiandre quella che forse è più rappresentativa del tema della Triennale è quella offerta dal collettivo Nigeriano Nlé, diretto dall’architetto urbanista Kunlé Adeyemi. Sul canale Minnewater, Adeyemi ha riproposto  la Minne floating school che si affaccia su uno dei parchi più belli della città. Il progetto originariamente concepito per un estuario del complesso sistema di fiumi di Lagos, aveva vinto alla Biennale di Architettura di Venezia del 2016 il Leone d’Argento. L’opera di Bruges sarà animata anche da seminari ed esami.

Ma ‘è anche un’altra opera che ci riguarda da vicino, la Bruges Aerocene Tower da un’idea dell’artista argentino Tomas Saraceno, che ispirandosi alla città galleggiante di Italo Calvino, ha immaginato un paesaggio urbano in levitazione, sostenuto dall’energia solare ed eolica. Una sorta di città utopica che si solleva dalla Terra. Sopra Bruges quindi si leveranno dei palloni e a terra l’artista ha realizzato una performance filmata.

 

Neto a Zurigo

La Fondazione Beyeler presenterà fra il 30 giugno prossimo e il 27 luglio nella Stazione Centrale di Zurigo un’istallazione dell’artista brasiliano Ernesto Neto. L’opera è una scultura monumentale intitolata GaiaMotherTree, realizzata con nastri colorati di cotone annodati a mano, che si estenderà fino al soffitto dell’ingresso a 20 metri d’altezza.

I visitatori potranno entrare nell’istallazione che nell’intento dell’autore costituirà un luogo di incontro, di scambio e di meditazione. Essa accoglierà al suo interno una serie di avvenimenti di diverso stampo: dalle manifestazioni musicali e di danza a pubbliche letture e atelier creativi, tanto per adulti quanto per bambini.

L’arte di Neto, presente più volte alla Biennale di Venezia e nelle collezioni del MoMa di New York, della Tate di Londra e del Centre Pompidou di Parigi, è contrassegnata dalle correnti del neo-concretismo brasiliano, dal minimalismo e dall’arte povera. Nelle sue opere si fondono spiritualità, umanità ed ecologia ed esse si distinguono per le tecniche e per i materiali atipici utilizzati. Possono essere toccate, attraversate o messe in movimento. I visitatori sono sempre invitati ad interagire con l’opera e spesso anche l’olfatto è stimolato attraverso stratagemmi originali.

GaiaMotherTree è un’opera interamente artigianale. I nastri di cotone sono stati tinti a mano con colori naturali, poi intrecciati e annodati a formare una struttura traslucida che ha le sembianze di un’albero, le cui cime giungono al soffitto della hall della stazione. Ai piedi dell’albero, fra le radici si troverà un grande spazio accessibile ai visitatori che qui potranno istallarsi su cuscini e panche disposti in cerchio. Dal soffitto penderanno dei recipienti a forma di goccia colmi di spezie profumate e foglie secche.

Salvare la terra

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Oasi di Focognano

Passare una giornata a passeggio in uno spazio all’aperto incorniciato tra l’autostrada A1 e una grande discarica, con relativo impianto di compostaggio, potrebbe sembrare un incubo. Invece è stata un ‘esperienza esaltante. Lo spazio di cui parlo, infatti, è un’oasi del WWF! Consta di 60 ettari di terreno diventati un paradiso per piante e animali.

 

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Sono decenni che tanti volontari – e il direttore del progetto (il biologo Carlo Scoccianti) – spendono la propria vita per ristabilire un equilibrio perduto tra cemento e abbandono. Oggi l’Oasi di Focognano è una riserva naturalistica dove vivono migliaia di piante, già originarie di queste terre, e dove sono stati creati 5 bacini lacustri diventati tappa privilegiata per uccelli migratori e stanziali. Un microambiente, un paradiso, dove puoi camminare immerso nel verde e nel cinguettio degli uccelli. Nell’oasi non si spreca niente; piuttosto si protegge e si facilita la vita di qualunque essere vivente.  Ci cammini dentro, nell’incanto, poi improvvisamente arrivi in alto su una collinetta che da un lato si affaccia a natura e  dall’altro sull’autostrada, con mille macchine che corrono a mille.

A quel punto non resisti e ti viene da urlare: ma dove cavolo state andando tutti quanti? fermatevi per favore!oasi_stagni_focognano