Acquacotta maremmana

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In toscana, con il pane e un po’ di fantasia, si sono inventate delle ricette di ogni tipo e dopo la pappa al a pomodoro  ( articolo dell’8 maggio) leggete questa vecchia ricetta  Maremmana:

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Sei fette di pane/3 cipolle rosse/pomodori maturi o pelati 400 gr/6 uova/pecorino grattato/basilico/foglie di sedano/olio di oliva/olio e pepe.

In una pentola fate appassire le cipolle tagliate. Aggiungete poca acqua e unite i pomodori, il basilico  e le foglie di sedano tritate, sale e pepe.

Fate cuocere per circa mezz’ora e poi versate un litro e mezzo di acqua ( o brodo). tenete sul fuoco per altri 30 minuti . Direttamente nella pentola aggiungete le uova facendo attenzione a non romperle , cuocetele per 3 o 4 minuti in modo che diventino come “uova in camicia”.

Nelle scodelle , o in una terrina , mettete le fette di pane abbrustolite , cospargetele di pecorino e versatevi sopra, l’acquacotta caldissma,

Darete un uovo a testa e chi vuole può aggiungere altro pecorino. Provatela è facile e buona.

 

Chi la cerca non ce l’ha…

Tutti sanno cos’è e tutti desiderano ottenerla non importa come. Ma cos’è la felicità, davvero? Che cosa sta succedendo nel nostro cervello quando sperimentiamo l’emozione tanto ricercata? Biologicamente è molto complicato, come sempre accade quando si parla di qualcosa prodotto dal cervello. Una verità certa è che chiunque offra un semplice “segreto” o una  “chiave” sicura o “cinque consigli facili” per arrivare alla felicità mente a se stesso e agli altri… Dean Burnett, neuro scienziato, dà la sua spiegazione in un gustoso libro (per ora solo in inglese) che spiega i processi scientifici che generano la felicità. Happy Brain: Where Happiness Comes From, and Why,  questo è il titolo del volume di Burnett.  

Sono troppe le cose che concorrono a influenzare la nostra felicità: il nostro ambiente, la nostra età, le nostre relazioni e comunità, i nostri posti di lavoro e le nostre ambizioni, la nostra salute, la nostra ricchezza, il nostro passato, il nostro futuro e così via. Tutte queste cose hanno un ruolo importante e sbloccano o meglio aprono la nostra persona a quei magnifici flash di pura felicità che giungono a prescindere dalla situazione contingente. A torto si pensa che ciò che ci rende felici, risieda nel lusso, nei beni costosi, nei viaggi, nei divertimenti, ecc. Ma è possibile essere felici senza queste cose, anche nelle circostanze più estreme. Si tratta di un cortocircuito del cervello e l’approccio di Burnett all’argomento è squisitamente scientifico!

Accanto al libro di Burnett ho riletto un libro antico, poche pagine in realtà, ricordo del liceo, che propone invece una via filosofica alla felicità. È la Lettera sulla felicità a Meneceo, di Epicuro, in cui il filosofo dà la sua condivisibilissima ricetta. Per Epicuro è necessario allontanarsi dal “mare in tempesta” delle false ansie, dei timori e dei cattivi pensieri e, soprattutto, cancellare i desideri irrealizzabili. Liberi dai falsi bisogni saremo pronti ad accettare e gioire di ciò che la vita offre. La felicità risulta un compito doveroso per giovani e vecchi, perché non esiste un’età per essere felici.

Approcci diversi l’uno scientifico, l’altro filosofico a voi la scelta della pista da seguire e buona fortuna!

 

Europe Europe

 

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Jona Nemes, Ponytail, 2009

Vi sentite più o meno europei dopo tutti gli alti e bassi di questi ultimi anni? E’ passato diverso tempo da quando si sono costituite prima la Comunità e poi l’Unione Europea. Non senza contraddizioni e battute d’arresto, sono stati fatti grandi passi avanti nel processo di integrazione tra stati. Oggi mia figlia non sente la Francia, la Germania, la Spagna così lontane come potevamo sentirle noi.Viaggia, risiede o lavora senza problemi in un paese o nell’altro.

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Nathalie Cohen, Christine Denamur

Dal 2014 anche l’arte contemporanea ha dato il suo contributo al processo di integrazione.In quell’anno, infatti, è nata Europe, una manifestazione itinerante che ogni anno esplora, in una capitale diversa, la scena dell’arte europea.  Questa mostra è stata pensata e voluta dal direttore Gunner B. Karan, del Astrup Fearnley  Museer di Oslo, insieme ai critici Hans Ulrich Obrist e Thomas Boutoux.  Partita da Oslo la mostra è stata poi organizzata in molte città europee (Londra, Lione , Zagabria, Lodz, Roma) . Il 20 giugno ci sarà una nuova tappa che si apre al Bozar, il museo d’arte di Bruxelles. Il titolo dato alla mostra sarà Somewhere in Between ed è dedicata ai diversi punti di contatto, ma anche alle diverse identità artistiche e culturali, esistenti tra Europa occidentale e Europa orientale. 

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EIise Van Mourik, How to Built Care Intimacy

Questa nuova tappa è importante anche a causa del clima difficile che stiamo vivendo in questi ultimi anni, per quanto attiene il destino dell’Europa.  

Un momento di riflessione in più, per pensare come poter costruire – e non distruggere  – un futuro migliore per tutti noi.

La mostra si aprirà il 20 giugno e resterà aperta fino al 19 agosto per tutte le informazioni http://www.bozar.be

Peggy, Venezia, la Biennale…

“La mia mostra ebbe una risonanza enorme e il mio padiglione divenne uno dei più popolari della Biennale. Tutto ciò mi emozionava terribilmente, ma quel che mi piacque di più fu veder comparire nei prati dei giardini pubblici il nome Guggenheim accanto a quelli della Gran Bretagna, della Francia, dell’Olanda, dell’Austria, della Svizzera, della Polonia […] Mi sembrava di essere un nuovo paese europeo”.
Peggy Guggenheim, Una vita per l’arte.

Queste le parole della protagonista di quello che fu un vero e proprio evento per il mondo dell’arte: l’esposizione della collezione di Peggy Guggenheim alla XXIV Biennale di Venezia.

Per celebrarne il settantesimo anniversario il 25 maggio sarà inaugurata la mostra 1948: la Biennale di Peggy Guggenheim, allestita nelle Project Rooms fino al 25 novembre. La mostra mira a ricreare l’ambiente del padiglione attraverso documenti, fotografie, lettere e una maquette che per la prima volta ne ricostruisce gli spazi e l’allestimento originario del ’48, seguito dall’eminente architetto veneziano Carlo Scarpa. Non mancheranno alcune delle opere allora in mostra, oggi parte della Collezione Peggy Guggenheim, insieme ad altre in seguito donate, quali Composizione n. 113 (1939) di Friedrich Vordemberge-Gildewart e Composizione (1936) di Jean Hélion, oggi nella collezione del Museo d’arte di Tel Aviv, e che dagli anni ’50 non sono mai più state esposte a Venezia. La mostra offrirà dunque l’opportunità di riesaminare questo evento quale spartiacque nella carriera di Peggy e nella storia stessa della Biennale di Venezia. La collezione offrì infatti agli Europei l’occasione di mettersi al passo con gli esiti migliori delle avanguardie più recenti, e conoscere gli artisti newyorkesi che avrebbero dominato la scena artistica degli anni ’50.

Indovinello

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In un piccolo libro intitolato 100 Secrets of the Art World hanno chiesto a tanti operatori dell’arte, critici, giornalisti e artisti quale sia il segreto da loro meglio custodito.

Una donna artista famosa sulla scena internazionale e conosciuta per il suo carattere forte come l’acciaio ha detto:

When you say not to me it’s just the beginning

Pensateci bene, a chi attribuireste una frase del genere? provate ad indovinare il nome di questa artista.

Che fatica essere una Musa…

Le Muse, erano divinità minori, erano nove sorelle, giovani e bellissime, figlie di Zeus e di Mnemosine, che in greco significa memoria, nate ai piedi dell’Olimpo. “Le Muse erano fanciulle selvagge dell’Elicona. Fu Apollo a farle migrare sulla montagna di fronte, il Parnaso; fu lui a educarle ai doni che fecero di quel gruppo di fanciulle selvagge le Muse, quindi le donne che invadevano la mente, ma imponendo ciascuna le leggi di un’arte” (da Le nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso). Clio, Euterpe, Thalia, Melpomene, Tersicore, Erato, Polimnia, Urania, Calliope, queste creature mitologiche nel corso dei secoli hanno perso nell’immaginazione degli uomini la loro natura divina e si sono trasformate in donne in carne ed ossa capaci però di ispirare, anche solo con la loro presenza, i grandi artisti di tutti i tempi.

Chi sarebbero Modigliani senza Jeanne Hébuterne, Chagall senza Bella o Rodin senza Camille Claudel? Nell’immaginario collettivo la musa è eterea, di una bellezza travolgente, fluttua nello studio dell’artista, tocca le corde del suo cuore, provoca sensazioni, sentimenti, turbamenti profondi. Non c’è artista senza musa, non c’è musa senza capacità di ispirare.

Ma che fatica! Trasfigurate dagli artisti queste donne rimangono per sempre irreali, per lo più modelli di bellezza universali.

Ma non sempre è così.

Sono esistite ed esistono muse improbabili. È il caso di Sue Tilly decisamente improbabile musa di Lucian Freud.

Ricordate Benefits Supervisor Sleeping del 1995, venduto nel 2008 per quasi 37 milioni di dollari? Ebbene la modella del dipinto di Freud era proprio Sue Tilly all’epoca supervisore in un Jobcentre governativo a Londra. E così come l’ha svelata Freud ha curve su curve, un incarnato fosforescente nei toni del marrone, del rosa e del bianco e sembra di persona un’antica e terribile divinità. Secondo Freud infatti l’immagine non deve essere semplice per l’occhio o piacevole. Il compito dell’artista, infatti, è di mettere l’essere umano a disagio, ma allo stesso tempo lasciare che venga attratto dall’opera d’arte grazie alla chimica involontaria che essa produce: “come un cane che sente un odore; il cane non è libero, non può fare altrimenti, sente l’odore e l’istinto fa il resto. ”

Evviva dunque le muse eccessive e improbabili, che, alla stessa stregua di quelle eteree e sensuali, agitano gli animi degli artisti che grazie a loro producono il sublime.

L’arte non isola al contrario accomuna

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Farhad Moshiri, God in Color, 2012

Mentre l’arte continua a mescolare le carte e a offrirci un ventaglio sempre più ampio di linguaggi e di sensibilità artistiche e culturali diversissime, come parte di un’unica realtà, la politica si affanna a rimarcare i confini e le appartenenze.

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Farhad Moshiri, Life is Beautiful, 2009

L’artista iraniano Farad Moshiri nato a Shiraz, in Iran, nel 1963, è uno dei tanti esempi di questa capacità dell’arte di creare ponti e non momenti di separazione. Moshiri è interessato a fondere la cultura orientale con quella occidentale . Fa uso di immagini popolari e le compone con gusto ornamentale internamente appartenente alla cultura persiana. Le immagini possono essere tessute, ricamate, ma sempre con uno sguardo al mondo contemporaneo, unendo la preziosità del lavoro manuale con paccottiglia  di poco valore. Nel suo lavoro troviamo decorazioni che toccano il kitsch per affrontare e illustrare temi politici di attualità, oppure un’ironia pop che non manca di inquietarci, come l’opera  presentata per la prima volta nel 2009 “Life is beautiful”: una semplice scritta tracciata sul muro con le lame di tanti coltelli diversi e colorati.

E’ un bell’esempio di come l’isolamento del paese, e tutti i problemi socio-politici ad esso connessi, non riescano a fermare l’arte ma, anzi, incontrino un grande apprezzamento nel pubblico.

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Farhad Moshiri, particolare dell’opera Life is Beautiful, 2009

Archistorie a Milano

Dal 13 al 27 maggio 2018 (in tre domeniche successive alle 10.30) all’ Anteo Palazzo del Cinema di Milano, è appena andata e andrà in scena una nuova iniziativa culturale patrocinata dall’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Milano e dall’Associazione Culturale Silvia dell’Orso. Tre capolavori cinematografici capaci di generare una riflessione sull’architettura, sull’urbanistica e sul paesaggio verranno riproposti al grande pubblico. Archistorie, questo il nome dell’iniziativa ha l’obiettivo di giustapporre il linguaggio cinematografico a quello scientifico per consentire allo spettatore di capire sul grande schermo l’impatto sociale e culturale dell’architetto, dei suoi progetti e delle sue realizzazioni.

La rassegna è stata inaugurata il 13 maggio con la pellicola La fonte meravigliosa di King Vidor datato 1949. Il film offre lo spunto per una riflessione sull’architettura moderna come fede e missione. Ispirato alla figura di Frank Lloyd Wright, è la storia di Howard Roark, giovane architetto di talento (interpretato dall’indimenticabile Gary Cooper), deciso a rinunciare a fama e carriera e a lottare contro i pregiudizi e le convenzioni, pur di affermare il proprio genio. Nella sua battaglia per il diritto all’arte vera, libera e creatrice, Howard si imbatte in ogni variante di corruzione umana, inclusi un rivale senza scrupoli e privo di morale. Insomma un “classico” da (ri)vedere per capire meglio la battaglia di valori e cultura portata avanti dalle avanguardie moderniste lungo il secolo appena passato.

Si continuerà il 20 maggio con l’immancabile Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, il film che racconta la sospensione e il vuoto come forma di progetto e comprensione della città contemporanea. Berlino fa da sfondo alla vicenda. La città i suoi monumenti e luoghi simbolici diventano, infatti, le quinte perfette, ossessivamente riproposte allo spettatore, della malinconica vicenda dell’angelo Damiel.

Infine la rassegna si chiuderà il 27 maggio con I misteri del giardino di Compton House di Peter Greenaway, occasione questa per ragionare sulla prospettiva come regola del mondo.  “Botanica e mitologia narrano la storia di un giardino dalla parte di un architetto di artifici quale è Greenaway, che ha studiato la vita come un pittore antico di paesaggi e vi ha trovato le inquietudini del mondo contemporaneo” (Lina Danielli, Giardini e cinema).

Il giorno dopo

Questo post ha un giorno di ritardo ma in compenso mi ha dato un giorno per pensare.

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Sono a pieno titolo titolare della festa di ieri : la festa della mamma.

In questa occasione mi viene sempre in mente mia madre: forte, coraggiosa e sovrana del suo regno familiare.

Le mie figlie come saranno? Come si possono crescere madri forti e coraggiose anche fuori del contesto familiare?Chimamanda-Ngozi-Adichie-500x750

La scrittrice nigeriana Chimimanda Ngozi Adichie ha provato a darci una risposta con un libro pensato per rispondere proprio a queste domande, poste da una sua amica, appena divenuta madre.

 

Il libro uscito lo scorso anno è stato tradotto in Italia da Einaudi. E’ un  manifesto che contiene 15 consigli per crescere una figlia femminista. Ogni punto è espresso chiaramente e ben argomentato e mette in discussione  tanti atteggiamenti discriminatori che adottiamo inconsapevoli quando ci rivolgiamo alle bambine.9788806234935_0_0_1576_75

Alcuni di questi  mi hanno colpito in maniera particolare, come: “insegnale a non dover piacere” oppure “ non parlarle mai del matrimonio come obiettivo”, o ancora “insegnale l’amore per la lettura e l’uso appropriato del linguaggio”. Un libro perfetto per la festa delle mamme in erba.