Le Muse, erano divinità minori, erano nove sorelle, giovani e bellissime, figlie di Zeus e di Mnemosine, che in greco significa memoria, nate ai piedi dell’Olimpo. “Le Muse erano fanciulle selvagge dell’Elicona. Fu Apollo a farle migrare sulla montagna di fronte, il Parnaso; fu lui a educarle ai doni che fecero di quel gruppo di fanciulle selvagge le Muse, quindi le donne che invadevano la mente, ma imponendo ciascuna le leggi di un’arte” (da Le nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso). Clio, Euterpe, Thalia, Melpomene, Tersicore, Erato, Polimnia, Urania, Calliope, queste creature mitologiche nel corso dei secoli hanno perso nell’immaginazione degli uomini la loro natura divina e si sono trasformate in donne in carne ed ossa capaci però di ispirare, anche solo con la loro presenza, i grandi artisti di tutti i tempi.
Chi sarebbero Modigliani senza Jeanne Hébuterne, Chagall senza Bella o Rodin senza Camille Claudel? Nell’immaginario collettivo la musa è eterea, di una bellezza travolgente, fluttua nello studio dell’artista, tocca le corde del suo cuore, provoca sensazioni, sentimenti, turbamenti profondi. Non c’è artista senza musa, non c’è musa senza capacità di ispirare.
Ma che fatica! Trasfigurate dagli artisti queste donne rimangono per sempre irreali, per lo più modelli di bellezza universali.
Ma non sempre è così.
Sono esistite ed esistono muse improbabili. È il caso di Sue Tilly decisamente improbabile musa di Lucian Freud.
Ricordate Benefits Supervisor Sleeping del 1995, venduto nel 2008 per quasi 37 milioni di dollari? Ebbene la modella del dipinto di Freud era proprio Sue Tilly all’epoca supervisore in un Jobcentre governativo a Londra. E così come l’ha svelata Freud ha curve su curve, un incarnato fosforescente nei toni del marrone, del rosa e del bianco e sembra di persona un’antica e terribile divinità. Secondo Freud infatti l’immagine non deve essere semplice per l’occhio o piacevole. Il compito dell’artista, infatti, è di mettere l’essere umano a disagio, ma allo stesso tempo lasciare che venga attratto dall’opera d’arte grazie alla chimica involontaria che essa produce: “come un cane che sente un odore; il cane non è libero, non può fare altrimenti, sente l’odore e l’istinto fa il resto. ”
Evviva dunque le muse eccessive e improbabili, che, alla stessa stregua di quelle eteree e sensuali, agitano gli animi degli artisti che grazie a loro producono il sublime.