8 marzo

Donne:ne abbiamo fatta di strada.

Come regina della casa

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Jan Veermer, La merlettaia, 1669-1671

voluttoso desiderio

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Correggio, Io,1530

 

abbiamo imparato a raccontarci

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Gina Pane, Azione Sentimentale, 1973

a domandarci chi siamo veramente

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Barbara Kruger,Senza titolo, 1982

a lottare per i nostri diritti

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Guerrilla Girls, 2014

a raccontare una storia diversa nella società

Mary Sibande's Queen Sophie
Mary Sibande, Apartheid, A Lady and to Tell, 2009

E oggi 8 marzo 2017 cosa sappiamo di noi?

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Jenny Holzer (avec Tibor Kalman) Lustmord, 1993-94

Dedico questa giornata alle belle ragazze giovani rapite da Boko Haram . Considerate ormai donne reiette che nessuno più vuole nel seno della loro società: in realtà sono le nostre compagne.

Bene a sapersi

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La prima volta che ho sfogliato la rivista Bon à savoir ero in una sala di attesa dal dentista. Mi sono subito incuriosita, la rivista stampata in Svizzera offe dei consigli ai consumatori. Testa gli oggetti e fa una classifica di tutte le marche più conosciute in commercio.

Questo mese ad esempio ha preso in esame le creme per le mani ( tra i primi posti per idratazione delle mani ha vinto il prodotto della Coop svizzera e Neutrogena) , le cuffie per ascoltare la musica( qualità del suono, isolazione acustica hanno vinto le Beats).

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Ebbene tra tutte queste curiosità ho trovato segnalato un libro dal titolo Pourquoi l’asperge donne-t-elle une odeur au pipi? Il libro del professore Andy Brunning si propone di rispondere a 58 domande sulle reazioni chimiche e gli alimenti. Un esempio? le banane grazie al fatto che liberano una sostanza chiamata etilene accelerano, se messe vicine,  la maturazione degli altri frutti. Ancora, le carote non aiutano a migliorare la vista almeno che non si soffra di una carenza della vitamina A. Al contrario chi mangia troppe carote rischia di avere un pelle sui toni dell’arancione.

Curiosità che appena lette sai già che le dimenticherai facilmente ma che comunque spiegano alcun aspetti  del nostro vivere quotidiano.

Chi volesse saperne d più www.bonasavoir.chimages-1

L’arte è la migliore crema che ci sia

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Pablo Picasso La joie de vivre, 1945-48

Ai nostri tempi mantenersi in forma, sani e giovani, sembra un dovere. Si sprecano le immagini di donne belle e di uomini forti: qualsiasi mezzo di comunicazione  ne è pieno. E dappertutto troviamo anche indicazioni per conformarci a questi nuovi canoni della bellezza personale. Cosi’ vengono prodotti fiumi di articoli su quale sia la migliore ricetta di eterna giovinezza, su quali siano le creme o le SPA ritenute essenziali, su dove si trovino i migliori ashram per ritirarsi in gruppi di meditazione (ormai sempre piu`affollati).

Io sono certa che, in verità, tutto cio’ significhi  cercare nel buio, sparare alla cieca. Il vero toccasana, per rimanere giovani, è la passione per l’arte. Non si ama l’arte sempre nella stessa maniera, in tutte le stagioni della vita. Da bambini l’arte la vogliamo fare: ci piace dipingere, scrivere. Crescendo, invece, certe espressioni d’arte, come la street art per gli adolescenti, ci offrono modelli da imitare e ci aiutano a capire il mondo. Con gli anni, pero’, l’arte comincia a nutrirci, riempiendoci gli occhi e l’anima. Ogni giorno che passa l’arte ci riporta al  vero senso della vita.

Se non credete che l’arte abbia un potere curativo e che sia capace di tenerci giovani, dovreste vedere mio padre. Appassionato collezionista di 86 anni, non perde mai occasione di andare a vedere una mostra, di concepire un nuovo progetto, di invitare artisti o altri amici con la medesima passione al suo desco. Sabato mi ha telefonato a sorpresa e mi ha detto, pieno di gioia, di essere montato su un treno per un lungo viaggio fino in Trentino, finalizzato a visitare il Mart di Rovereto, dove si sta chiudendo la mostra del suo amico artista Robert Morris e si inaugura quella dedicata a Umberto Boccioni ( Umberto Boccioni: genio e memoria; al Mart fino al 12 febbraio).

E’ dunque questo il segreto per restare giovani: è vivere, godendo dell’arte e delle sue scoperte.

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Prof. Gillo Dorfles

Dedico questo pensiero al critico d’arte e filosofo Gillo Dorfles, autore di molti libri dedicati al significato e alla comprensione dell’arte. Ancora attivo, ha compiuto 106 anni e non smette di offrire riflessioni e pensieri interessantissimi.

I favolosi quattro

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Il film “The Beatles: Eight Days a Week” è arrivato anche nelle sale di Ginevra. Assieme alle mie due figlie, di 17 e 19 anni, siamo state a vederlo. Ho fatto un po’ fatica a spiegare loro che il regista, Ron Howard, era il personaggio di Rickie Cunningham della serie televisiva Happy Days: non ne sapevano niente e questo te la dice lunga di quanto siano lontane dagli anni Sessanta.

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Ron Howard in Rickie Cunningham

Il Film-documentario nasce con la collaborazione fra Paul McCartney, Ringo Star e le vedove Yoko Ono Lennon e Olivia Harrison. Dura due ore e al termine è possibile rimanere seduti per vedere  30 minuti di un concerto dal vivo, mai mostrato prima. Il tempo ci è volato, il documentario ha ricucito una trama di episodi fatta di tantissimi filmati, di fotografie che ripercorrono la storia del gruppo, ma anche delle scene tratte dai loro trasferimenti, con i fans in delirio che si strappano i capelli ai concerti, con le loro personalità e l’energia che sapevano trasmettere. Insomma, ci è piaciuto: a tutte e tre. Immancabili, le scene del concerto dal tetto della Apple, la loro casa discografica, nel entro di Londra, con la gente che si ferma per strada, o esce dalle finestre dei palazzi vicini per riuscire a vederli da vicino. Sono incredibili i quattro: completamente diversi da quelli degli albori: coi capelli lunghi, paludati in un abbigliamento che prefigura gli ani settanta (Lennon e Harrison indossano due pelliccioni), cantano e suonano Get Back con un’energia unica.

Nel film ci sono anche delle belle testimonianze; alcune toccanti, come quelle dell’attrice nera Whoopi Goldberg, che spiega il significato di partecipare ad un loro concerto per una ragazza nera come lei,  tra migliaia di bianchi:  per lei i favolosi quattro furono fonte di ispirazione e coraggio. E in effetti i Beatles rifiutarono, in tournée nel sud degli USA, di suonare in locali per soli bianchi (ci sono delle scelte che ti mettono alla parte dei giusti davanti alla storia).

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Whoopi Goldberg

Dal documentario si comprende bene perché decisero di ritirarsi dai concerti e lavorare solo in studio, sulla musica: la popolarità e la macchina dei concerti erano divenute un peso esistenziale. E a quel punto che loro passano al genio, con albums che rivoluzionano la musica pop e non solo. Questo nel documentario è ben spiegato. Divengono produttori di pezzi musicali senza tempo. In certi momenti si prova grandissimo rispetto per questo gruppo di giovani che improvvisamente si sentono investiti di capacità fuori dal comune e le mettono a frutto.

Appena uscite, con le figlie, ci siamo confrontate sul mito dei Beatles e ci siamo accapigliate sul fenomeno  One Direction, una band di pochissimi anni fa dalla popolarità enorme fra gli adolescenti.

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One Direction

E’ partita subito la polemica: una figlia li accostava ai Beatles per la velocità con cui sono arrivati al successo, il numero dei fan e il numero dei dischi venduti; l’altra non accettava neanche di metterli a confronto, accusando i One Direction  di essere stati solo un prodotto commerciale. Io non riuscivo a pendere né per l’una né per l’altra : come si possono comparare due fenomeni intercorsi a mezzo secolo di distanza l’uno dall’altro? Anche il documentario ci fa capire che il tutto è contestualizzato in un’altra epoca. Erano gli anni del baby boom,  il mondo era pieno di giovani che praticamente non avevano conosciuto la guerra e che volevano il cambiamento, con quella stessa energia che oggi vedo – mi viene di pensare mentre rientriamo in macchina – negli occhi e nella determinazione di tutti quei giovani che attraversano il Mediterraneo per scappare dall’Africa  venire da noi in Europa. Anche loro vogliono un mondo diverso, ma non possono cercarselo a casa.

La cartolina

retro-della-cartolina1Insegnare

La cartolina di oggi la spediamo a tutti coloro che scelgono il mestiere di insegnante.

Per farlo bene occorre sviluppare una miscela speciale di cui si conoscono gli ingredienti, ma è difficile calcoalre bene le dosi. Si tratta di professionalità, passione, rispetto per gli alunni e dell’aver sempre una gran voglia di conoscere. Ce li ricordiamo i nostri insegnanti di un’Italia che fu: appassionati alla loro materia, alcuni, sfiniti e disamorati del proprio lavoro, altri. Gli insegnanti della scuola pubblica, che venivano in bici o in treno a lavorare. Si fumava nelle classi allora. C’era stata la contestazione ma in provincia, dove vivevo io, c’era sempre un certo rispetto per il professore. Poi siamo venuti all’estero, abbiamo trovato scuole diverse (anche quelle internazionali), eppure la questione è sempre la stessa. Ovunque non è solo questione di struttura scolastica, programmi e moduli. La differenza la fa sempre la persona, con la sua capacità di entrare in rapporto con i ragazzi.

Ho una figlia che sta per finire il ciclo della scuola superiore e le ho chiesto quanti insegnanti abbiano veramente rappresentato qualcosa per lei. In 12 anni di scuola, mi ha risposto, una professoressa di storia ha fatto davvero la differenza: con lei si è veramente appassionata a quella materia. Mi ha addirittura confessato che vorrebbe diventare come lei, anzi che la storia sarà proprio la materia che sceglierà all’univesità.

Essere insegnanti è un lavoro di grande responsabilità.

Cartolina

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È una settimana leggera. È infatti la settimana del Festival di San Remo, di san Valentino, del Festival del Cinema di Berlino. Dunque le cartoline da inoltrare sarebbero veramente tante (per la noia suscitata, ancora una volta, dalla kermesse di San Remo, per i cuoricini che spuntano ovunque a festeggiare la festa degli innamorati, per l’uscita del film 50 sfumature di grigio, definito dai critici una vera e propria “boiata”).

Ma, in tema di leggerezza, stamattina la cartolina la voglio spedire ai tre giudici di Master Chef. Bisogna riconoscerlo, il programma mi tiene legata alla poltrona da diversi giovedì sera, ma, a ben riflettere non riesco a capire perché. Quest’ultima edizione è la più “recitata” della serie. I giudici impersonano una sorta di “cattivissimo me” e dispensano non solo consigli di cucina (pochi, tuttavia interessanti) ma soprattutto consigli che la mia mamma chiamerebbe “di vita” (a mio parere assolutamente banali e inutili), tutto in nome dello show, esclusivamente per “fare spettacolo”. E via dunque con il pistolotto sulla personalità, sul modo di affrontare le sfide, su come comportarsi e come non comportarsi, e mai come in questa edizione le lacrime si sono sprecate a fiumi. Per carità, quando aprono la bocca per spiegare come si cuoce la carne di un Germano reale, i tre sono delle vere e proprie divinità della cucina, ma quando invece fanno i Guru lanciandosi in altri campi… beh allora scatta il ridicolo. È come comprare una borsa di Prada finta sulla bancarella del lungo mare!

La domanda nasce spontanea: è la formula che sta annoiando o sono proprio i tre giudici dell’edizione italiana?

 

Cartolina

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00009263-00000002Caro Burlamacco,

questo è il mese dedicato al carnevale e tu che sei nato nel 1930 e hai la stessa età di mio padre sei ormai un’istituzione per Viareggio e per i suoi carri. Sei il simbolo del Carnevale; inventato dalla matita del pittore Umberto Bonetti e a vederti bene sei un misto di tante maschere tradizionali italiane.

Guardando l’opera che fece Umberto Bonetti nel 1930 mi vengono in mente le opere pubblicitarie di Fortunato Depero. Ti è stato dato questo nome forse perchè ricordavi un po’ il personaggio di Buffalmacco nel Decamerone o forse semplicemente perchè in origine il canale del porto di Viareggio si chiamava Burlamacca.

Hai accompagnato un sacco di carri di carnevale e i primi tempi sei apparso anche vicino ad una bella ragazza di nome Ondina, che al tuo fianco ti sorrideva in costume da bagno per ricordarci quanto divertimento e svago ci fossero a Viareggio.

Condottiero di carri che ci hanno fatto ridere su tanti misfatti della nostra storia, hai raccontato la vita con ironia, come una maschera di canevale dovrebbe fare. I carri poi sono state vere opere d’arte effimera, fatte di carta pesta sempre più alti e colorati, opera di veri maestri artigiani.

Oggi, in questi strani anni in cui c’è di nuovo chi vuole censurare la satira per limitare la nostra libertà, io spero tu possa ncora portare uno sguardo satirico sulle cose del mondo, un po’ cattivello e un po’ furbetto come hai sempre fatto, facendo divertire adulti e bambini in questa festa cosi ben radicata nella nostra cultura.

Cartolina

retro-della-cartolina1demis_roussos-let_it_happenOggi la cartolina la dedichiamo a Demis Roussos, da pochi giorni scomparso.

Ma ve lo ricordate quando, imponente nella figura, dal petto scoperto e villoso e col capello lungo, cantava Profeta non sarò? Io me lo ricordo eccome: in una trasmissione di musica condotta da Gianni Boncompagni in cui lui, il nostro Demis, abbigliato in un enorme camicione e con gli stivali dorati o argentati cantava a piena voce. E quell’omone, come si dice in Toscana, sfoderava pure una voce dolce, cantando un pop meolodico.
Ricordo anche Beppe Grillo: “Ma pensate, diceva il comico, una sera vi trovate davanti a un omaccione grosso e peloso e credete di essere finiti; poi quello apre bocca e canta Profeta non sarooooo (e qui Grillo imitava la voce gentile del cantante).

Che tipo, Demis, ne avava fatte di cose.

Era nato a Alessandria ed era di origini greche. Ma pensa: greco a Alessandria, è come se uno dicesse cittadino romano a Leptis Magna, in Libia. Alessandria, fondata dai greci, capitale culturale del mondo ellenistico, quando l’ecumene del mediterraneo parlava, appunto, greco e vi si ammassavano i libri per conservarli nella biblioteca più importante dell’antichità (con Pergamo), si navigava sotto al faro e ci si inchinava passando davanti alla tomba di Alessandro Magno. La comunitò greca si trovava lì da sempre. E il Nostro, in quella comunità, imparò a cantare, nel coro della chiesa greca. Ce lo vedo, immerso in quelle atmosfere ieratiche, con le musiche che accarezzano corde lontanissime. Poi si era buttato nel rock. Ma il rock melodico fine sessanta: gli Aphrodite’s child. Roba che se la senti oggi, sobbalzi sulla sedia. Eppure allora piaceva. Da lì prese il volo col suo pop melodico mediterraneo e con propaggini italiane e francesi. Era una star internazionale e ricordo anche che colpì molto il suo coinvolgimento nella tragica vicenda legata all’aereo della TWA, dirottato da terroristi libanesi, in cui lui si ritrovò, suo malgrado, ad essere fra gli ostaggi.

Beh, diciamocelo, ci fa tanta nostalgia ricordarlo. Come tutto ciò che ricorda quegli anni.

Cartolina

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Oggi la cartolina è indirizzata a Dario Franceschini, ministro dei Beni Culturali, che si è fatto promotore di un progetto volto a ridefinire i termini di riferimento del sistema museale italiani: un tentivo di cambiare e migliorare la gestione e i sistemi di valorizzazione del nostro patrimonio artistico.
In particolare egli ha individuato:
-18 grandi musei d’interesse nazionale
-2 siti archeologici d’interesse nazionale
Queste 20 istituzioni avranno piena autonomia sul piano scientifico, tecnico e finanziario. I direttori saranno scelti in base ai loro curricula e dovranno avere oltre alle competenze scientifiche anche capacità di gestione manageriale. Le candidature sono già aperte e chiuderanno il 15 febbraio. Potranno anche essere ammessi candidati internazionali. I nuovi direttori saranno nominati per quattro anni e cominceranno a lavorare dal 1 giugno.
E tutto il patrimonio sconfinato e restante?  
-17 poli regionali lo riuniranno tutto.
 
Le 20 istituzioni maggiori (come Uffizi a Firenze, Galleria dell’Accademia a Venezia, colosseo a Roma, Museo Capodimonte a Napoli) saranno autonome anche dalle soprintendenze. 
Si rompono i legami tra grandi musei e Soprintendenze e dopo tanti anni si dà piena autonomia di gestione ai centri più visitati e conosciuti.
Un vento nuovo dunque ma con aspetti futuri che possono anche farci allarmare. 
Caro Franceschini cosa temo di più? L’esempio dei treni ad alta velocità: quelli veloci vanno benissimo e ci permettono lussi inimaginabili ma quelli locali e regionali sono ridossi all’osso e abbandonati. Quando si pone il problema la colpa sembra ricada non sulle Ferrovie dello Stato ( che si sono prese il meglio) ma sulle  regioni che non investono abbastanza. Sarà così anche per i 17 poli regionali che andranno a riunire tutti i musei? . Verranno poi abbandonati a se stessi? 
Di nuovo due marce distinte: Grandi musei d’interesse nazionale con grandi risorse economiche, piccoli musei ( si fa per dire) con poche risorse e lasciati alla deriva?
 

Cartolina

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Oggi la cartolina la spediamo a Bert Volgestein e Cristian Tomasetti, della Johns Hopkins University, che hanno pubblicato sulla rivista Science il frutto delle loro ricerche.

Che la ricerca sul cancro abbia conosciuto alti e bassi, siamo tutti coscienti, addirittura ne è stato messo in dubbio l’approccio e più volte si è ricominciato daccapo, ma lo studio scioccante dei due ricercatori americani ha in sé anche un che di umoristico, almeno per chi come me ha avuto a che fare con questa malattia.

I due ricercatori della Johns Hopkins infatti sostengono che le mutazioni genetiche che intervengono casualmente nelle cellule staminali sono i principali contributori del cancro, di ogni tipo di cancro, e molto spesso sono più influenti di tutti quei fattori che fino ad oggi erano considerati primari nell’insorgere della malattia: fattori ereditari ed “esterni” quali stili di vita poco sani, inquinamento dell’ambiente in cui si vive, difetti genetici e via discorrendo.

Volgestein e Tomasetti, dunque, affermano che oltre il 66% dei tumori è frutto di “pura sfortuna”, come a dire che la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo! Certo i fattori esterni non sono assolutamente da trascurare, ma come per molte cose inspiegabili della vita, si tratterebbe solo del diavolo che ci mette la coda! Dunque per i due ricercatori per la maggior parte dei malati non ci sono “se” che tengono (se non avessi mangiato carne rossa, se non avessi vissuto in mezzo ai fumi di scappamento ecc ecc) e l’unico modo per contrastare efficacemente il cancro è il miglioramento delle tecniche preventive e di diagnosi, oltre naturalmente a ridurre al massimo gli stili di vita sbagliati, che contribuiscono certamente ad aumentare i rischi.

Posso dire una cosa? Bastava porsi la domanda che i malati di cancro si fanno ogni giorno quando si svegliano: “perché a me?” per rispondere esattamente come hanno fatto i ricercatori della Johns Hopkins…