Fuori dalla cornice

In tempi in cui cerchiamo di rivedere il nostro stile di vita, per piacere o necessità, vorrei  parlare del piacere provato, da noi che viviamo all’estero, al momento di trascorrere un po’ di vacanze con le persone care, che ci vengono a trovare dall’Italia.

L’incontro è ogni volta una festa e questo perché è come rientrare nella cornice che abbiamo lasciato al momento di lasciare il nostro paese.  Parlo di cornice, perché uscire da essa vuol dire uscire dal quadro in cui,  per nascita per relazioni e stato di cose, sei stato abituato a vivere. Quando cambi e lasci il tuo paese devi riscrivere un po’ tutta la tua storia. Faccio un esempio: andandosene si  incontrano nuovi amici e si hanno nuove relazioni, ma le tue parole non sono sufficienti a spiegare loro chi sei stato fino a quel momento e a cosa appartieni. E così che, presto, rinunci a dare delle spiegazioni,  cominci una nuova vita e resti sempre più  fuori dalla vecchia cornice. Ecco perché quando qualcuno della tua famiglia o fra i tuoi amici ti viene a trovare è come un piccolo terremoto affettivo e relazionale, che ti fa sentire come sospeso a metà strada tra due realtà:  collegato a ciò che eri, ma anche cosciente di quello che ormai sei divenuto.

Cerco un modo per visualizzare tutto questo e, facendo un accostamento azzardato, ho pensato a quanti artisti hanno cercato con il loro lavoro di uscire dalla cornice. Allora mi sono venuti in mente i tagli di Fontana, la sua ricerca di nuove spazialità: i suoi  tagli o buchi erano un po’ come il mio emigrare, una fuga,in quel caso  da ciò che l’arte era stata fino a quel momento; era l’esplorazione di nuovi campi.

E poi vi sono il contatto con il passato e il ritorno: su questo ho pensato all’energia che può generare l’incontro tra ciò che sta dietro di noi e  la nostra vita attuale e mi è venuto in mente il lavoro di Gilberto Zorio, esponente dell’arte povera. Con le sue forme ormai fuori dal quadro ma collegati alla parete, crea  un corto circuito che mette in circolo nuova energia .

Anche per noi è così: quando ci venite a trovare, cari amici e cari parenti, è come se riuscissimo a creare nuova energia, rigenerare cose diverse e dunque  ben vengano le partenze e gli allegri ricongiungimenti.

e-book sì, e-book no

Un recente «incidente» occorso ad una lettrice di e-books mi ha fatto riflettere parecchio.

Una cliente norvegese di Amazon, per motivi ancora poco chiari, infatti, si è vista chiudere l’account per l’acquisto di libri e impedire l’accesso alla sua biblioteca virtuale.

Senza sindacare né sulle cause di questa azione da parte del colosso Amazon, ne sulle «mancanze» o presunte tali della sua cliente, c’é però da affrontare lo spinoso caso dei libri elettronici, così facili da acquistare e godere (quando tutto va bene) ma così « virtuali » che la lettura dei quali può essere addirittura revocata in un qualsiasi momento, come in questo caso, da «remote».

Pur essendo io proprietaria di un supporto elettronico e utilizzandolo frequentissimamente per la sua oggettiva praticità e comodità (soprattutto per noi che viviamo all’estero reperire rapidamente e in gran numero libri in italiano è un conforto!) il «libro», intendo quello che oggi si chiama supporto cartaceo (che orrore !) è ancora, e sempre sarà, inarrivabile.

Il libro, questo bellissimo e impareggiabile oggetto, così materiale che si può piegare, sottolineare, collazionare, fare prorpio facendogli le orecchie come segna pagina, scagliare lontano indignati o tenere sotto il cuscino, leggere dove non c’è elettricità perché non gli si scaricano le pile, insomma il nostro compagno di notti insonni e pranzi solitari é veramente destinato ad essere sostituito da un tablet?

La risposta naturalmente rimane aperta. Da una parte si può affermare che il libro elettronico potrebbe permettere una maggiore diffusione del sapere e dell’educazione, e un’espressione più libera degli autori. Si pensi ai mercati in espansione che attraverso l’ e-book beneficerebbero di un deciso abbattimento dei costi di produzione.

Ma a favore del supporto cartaceo gioca la paura che l’immediata disponibilità possa influire sulla proprietà intellettuale, la convinzione che, come spesso accade per le edizioni on line dei giornali, il libro elettronico possa essere meno «nobile» del fratello in carta…

Siamo dunque in pieno dibattito, dunque e-book si, e-book no?

Intanto ha fatto scalpore a notizia che Newsweek a partire dal gennaio 2013 non verrà più stampato, ne esisterà solo una versione on line alla quale si potrà accedere con un abbonamento.

Forse sarò all’antica, ma il profumo di un libro nuovo ancora mi provoca un fremito, che ne pensate?

Mummie e scheletri cercano casa

Ci si avvicina alla festa dei morti (2 novembre), per molti ormai dimenticata e sostituita con la festa di Halloween (31 ottobre),  e intanto è di poco la notizia che in Italia le mummie e gli scheletri lasceranno i musei e non saranno  più esposti al pubblico. Ho letto questo articolo su La Stampa di ieri. La questione che si pone è: secondo voi è giusto che nei musei si possano vedere resti umani?

Il museo egizio di Torino intende ritirare dalle esposizioni tutte le mummie entro il 2015, dal momento che considera la loro esposizione poco rispettosa della dignità della natura umana.  La direttrice ha argomentato che si tratta di una decisione consona alla natura del museo, dedicato all’arte antica e non – ha aggiunto – all’antropologia o all’etnologia. Subito le è stato fatto notare che sono proprio questi ultimi musei quelli che per primi, anche se non in Italia, hanno affrontato la questione della dignità di trattamento cui hanno diritto i resti umani.

In effetti, in Italia ci sono certo musei e raccolte dove cadaveri, o loro parti, fanno macabra mostra di sé (qualcuno ha citato persino il museo Lombroso), ma mi sembra che sia sfuggito a tutti il fatto che noi italiani siamo ben abituati a vederli anche nelle chiese e nei santuari, ove le reliquie di questo o quel santo o della tale santa sono oggetto di culto da tempo immemorabile.

Anche nella mia città, a Pistoia, si conserva un frammento osseo  attribuito a S. Jacopo: nel Medio Evo costituiva una tale attrazione, per i pellegrini che percorrevano il cammino compostellano, da risultare un vero e proprio business per la città.

Che sia il momento di rimuovere anche le reliquie?

Addio anno Mille

Niente da fare è l’ora di voltare pagina. Vi ricordate che ansia era venuta a tutti noi allo scadere del millennio? Sembrava che il mondo dovesse cambiare da un giorno all’altro; invece il primo gennaio del 2000 ci sentivamo tutti esattamente gli stessi.

Ora, invece, sembra che i cambiamenti si siano messi in moto  e che il mondo stia indossando  i panni di una nuova era.  Così, mentre leggevo il Corriere della Sera di qualche giorno fa, ho provato a cercare tutte quelle notizie che mi dessero un’idea di qualcosa che non fosse più come la conoscevo io. In prima pagina ho visto una foto della Galleria, a Milano, dove una fila di ragazzi entrava a mangiarsi l’ultimo panino (gratuito) di Mac Donald’s, prima della chiusura definitiva di quel punto vendita, come fosse un luogo speciale.  A  pagina sedici c’era una buona notizia: Castro concede ai cubani la possibilità di viaggiare all’estero: è finita! Anche a loro, come a chiunque altro, basterà il passaporto per viaggiare all’estero!

Infine mi sono letta il bell’articolo dell’architetto, maestro, artista e designer  Alessandro Mendini, il quale  spiega come al giorno d’oggi non sia più tempo di “maestri”.  Per lui è finita un’era e non esiste più “l’alchimia tra maestro e allievo”. “Oggi – afferma  – gran parte del lavoro è affidato alla tecnologia che lo rende quindi riproducibile, reiterabile”. Mendini prova una certa malinconia per la perdita di questo speciale rapporto tra  maestro e allievo,  che definisce un misto di complicità e competizione.

Cosa ha rappresentato Cuba per il mondo, forse i nostri figli lo studieranno solo sui libri di testo; le ragioni profonde del perché  Mc Donald’s facesse tanta paura a noi europei, invece, rimarranno per loro incomprensibili. Infine penso che quando si affacceranno nel mondo del lavoro si renderanno conto che sempre di più conta riuscire a far parte di un gruppo. Che è importante trovarsi in un luogo paritario  in cui si possa dialogare con e affiancarsi a chi ha competenze diverse e magari di livello superiore. La stima e l’affetto dell’allievo per il maestro saranno davvero un’esperienza passata.

Siamo in una fase di rottamazione, per usare una parola tanto udita in questi tempi?  Non lo so,  certamente stiamo vivendo un momento nuovo, curioso e, perché no, stimolante per noi che, guardando  da dove siamo partiti, ci ritroviamo a volte spiazzati e lontani dal secolo appena passato.

Il potere della musica

Quante volte ci è capitato di dire che una certa canzone, un certa melodia ci “ha toccato”? Se riflettiamo su quest’affermazione ci rendiamo immediatamente conto che non si tratta di una metafora, ma veramente la musica è così potente che il suono penetra effettivamente nel nostro corpo, sotto la nostra pelle provocandoci vere e proprie sensazioni fisiche.

Gli esseri umani, infatti, sono “cablati” per essere ricettivi allo stimolo musicale, tanto che la scienza ha dimostrato come pazienti che hanno subito un ictus o con problemi di Parkinson o Alzheimer traggono beneficio dall’ascolto della musica; addirittura molti di essi con evidenti disturbi vocali hanno recuperato in parte la parola.

Daniel Baremboin il noto direttore d’orchestra, ha affermato che l’uomo é intimamente connesso con la musica tanto che, dice, “L’orecchio ha un vantaggio sopra l’occhio. Se non ti piace il mio aspetto, e non vuoi vedermi, chiudi gli occhi e io sparisco. Ma se non ti piace la mia voce e tu sei nella stessa stanza, non è possibile chiudere le orecchie in modo naturale. Il suono penetra letteralmente il corpo umano”.

È stato dimostrato poi che il feto, sente, oltre ai ritmi naturali del corpo della mamma,  anche la musica alla quale risponde con accelerazioni o decelerazioni del ritmo cardiaco, i suoni e le voci gli arrivano come se ascoltasse la musica sott’acqua naturalmente, ma la percepisce e gli fa bene!

Personalmente credo che non esista un tipo di musica migliore di un altro, ognuno secondo il proprio modo di percepirla deve accogliere la “sua musica” quella che lo fa stare bene, che lo mette in pace il cui potere lenitivo era già riconosciuto dall’uomo delle caverne, se è vero che proprio in un grotta neandertaliana è stato trovato il progenitore di un flauto.

E studiare musica fa bene all’animo e al cervello e ti mantiene giovane.

Per chi voglia saperne di più esiste un libro illuminante (naturalmente in inglese…), The power of music, scritto da Elena Mannes, la stessa studiosa che ha realizzato un fantastico documentario intitolato, The music instinct: Science and song (da vedere assolutamente su you tube), in cui l’autrice prende in esame le connessioni fra musica, corpo e mente e le possibilità educative e rieducative che essa offre.

Regaliamoci un po’ più di musica un po’ più spesso, questo ci consentirà sicuramente di vivere meglio!

Vi piace Schubert?

Choc di strada, l’arte incontra tutti

Abbiamo già trattato una volta  della street art, perché se ne fa un gran parlare ed è sempre più un modo di esprimere ciò che si sente in questo momento. La street art è molto seguita dal mondo dell’arte e apprezzata dai giovani. Tanto per farvi un’esempio, mia figlia adolescente l’altro giorno mi ha sfidato e mi ha fatto vedere  un’immagine che circolava su facebook: si vedevano accostati, l’uno all’altro, un lavoro di Lucio Fontana e un disegno fatto sul muro di una città. L’immagine era polemica, dal momento che vi si leggeva: la prima la considerano arte, la seconda vandalismo.

La provocazione era interessante; forse avrei potuto spiegare  che è grazie ad artisti come  Fontana, che oggi siamo tutti liberi di apprezzare alcune espressioni attorno a noi e definirle opere d’arte.  Però il discorso sarebbe stato lungo e avrei dovuto menzionare le avanguardie, i primi papier colle di Picasso e poi i ready made di Duchamp.

Ma torniamo alla street art, oggi vorrei presentare un’artista americano che vive a Washington. Il suo lavoro è di grande suggestione  e utilizza la città come campo di azione. Quest’artista si chiama Mark Jenkins. Tra i temi del suo lavoro vi sono esseri umani, animali e oggetti.  Bambini, vagabondi, senza tetto,orsi, giraffe, parchimetri, lampioni sono riprodotti attraverso involucri di nastro adesivo dai quali sembrano state tolte le forme originarie. Queste figure vengono messe sempre in rapporto con il contesto urbano, piazzate come sono nei posti più improbabili. 

Nel tempo l’artista ha vestito i suoi involucri di nastro con dei veri vestiti e li ha posizionati in contesti inaspettati e disarmanti in luoghi pubblici. Così queste opere si trovavano un po’ dappertutto: una donna che siede sull’orlo di un tetto a Washinton, un’altra che cade da una passerella a Dublino,  un uomo che dorme sul pavimento in un angolo del museo Taubman di Roanoke,  un altro con la testa nascosta in un muro di cemento a Londra.”The Floater”, creato in Svezia a Malmö, rappresenta un uomo vestito con una felpa e in pantaloni sportivi, che giace a faccia in giù, in un canale, con alcuni palloncini sospesi in aria e legati sua cintura: sembra che i palloncini cerchino di tirare il corpo fuori dall’acqua. Questa scultura è stata creata quando Jenkins ha lanciato la sua campagna per Greenpeace, col fine di denunciare la condizione dell’orso polare, che progressivamente affonda con i ghiacci sui quali vive.

Arte di strada che stupisce e ci fa riflettere,  collocata in luoghi scelti dagli artisti; arte ambientale, dunque, visibile a tutti senza biglietto.

Il paradiso perduto di Parade’s end

Il romanzo storico è un genere che per definizione narra di personaggi e avvenimenti inventati calati in contesti storici reali, in cui gli aspetti culturali, economici sociali del periodo in esame entrano a far parte della trama del romanzo stesso.

No, non stiamo per parlare di Manzoni e men che meno dei Promessi sposi, che ci hanno accompagnato nei lunghi anni del liceo, ma di un romanzo che non ha avuto altrettanta fortuna e che è rimasto sugli scaffali delle biblioteche fino a quando la BBC non ne ha fatto una riduzione in cinque puntate per la televisione inglese.

Stiamo parlando della misconosciuta tetralogia dell’altrettanto misconosciuto (almeno in Italia) scrittore britannico Ford Madox Ford composta da Some Do Not (1924), No More Parades (1925), A Man Could Stand Up (1926) e Last Post (1928), che tutti insieme compongono Parade’s end.

Ford passò ben sei anni della propria vita scrivendo questo incredibile affresco dell’Inghilterra post Vittoriana alle porte della prima guerra mondiale. Il romanzo come tutti i grandi capolavori della letteratura riesce a calarci perfettamente nel periodo in esame presentando una sorprendente visione dell’Inghilterra come di un paradiso perduto, all’interno del quale si agita un ordine sociale e morale in fermento, in cui la guerra è considerata solo come un sintomo di un più ampio malessere cronico. Oggi quest’opera è quasi dimenticata perché difficile da leggere (come del resto è difficile da leggere L’Ulisse di Joyce), perché molti sentimenti espressi sono ormai non politicamente accettabili e perché narra di una gerarchia e di un ordine sociale che ci rimangono decisamente alieni. Ma allo stesso tempo ci offre una visione moderna della guerra come sporco affare burocratico, inglorioso e inutile nella usa crudeltà.

Vengono qui narrate le vicende di un eroe classico, Christopher Tietjens, puro esempio di anacronismo storico che tenta di restare aggrappato a nobili ideali in un’epoca di ipocrisia e materialismo.

Il nostro eroe mantiene rigidamente la sua posizione contro la marea del dilagante malcostume e della perdita di quei valori tradizionali che avevano reso grande l’Impero britannico conservando un’ingenuità che lo rende un personaggio al quale affezionarsi velocemente.

Le vicende di Tietjens, membro della piccola aristocrazia di campagna che tenta con tutte le sue forze di rimanere fedele alle proprie convinzioni si sviluppa nell’arco di diversi anni, la sua vicenda umana si lega indissolubilmente con le tragiche vicende storiche dell’inizio del secolo scorso. È un personaggio che tenta di mantenere una parvenza di normalità nella follia di un mondo che crolla e che è destinato a scomparire.

Bellissimi questi libri, e il mio consiglio è quello di leggere assolutamente la tetralogia, sebbene non sia mai stata tradotta in italiano. Sarà una lettura complessa certo, ma che consentirà di capire un’intera epoca e i mali oscuri che l’hanno afflitta mentre la storia compiva inesorabilmente il suo corso.

Non so come farvi affezionare alla vicende umane di Tietjens, una sorta di età dell’innocenza inglese, ma vi assicuro che la sua storia vi appassionerà totalmente, legandovi al puro piacere della lettura.

Per chi poi non se la sente di leggere in inglese l’adattamento della BBC è un fedele surrogato (sarà un ossimoro?).

Un italiano nel mondo dell’arte di Ginevra

E’ arrivato a Ginevra il nuovo direttore del  Centro d’arte contemporanea.  Una bella notizia per noi :  è un giovane ed  è italiano, si chiama Andrea Bellini.

Andrea Bellini ha nel suo curriculum studi di filosofia e di storia dell’arte e ha lavorato a New York  come redattore capo della rivista Flash. Ha poi diretto per tre anni (2007-2009) la fiera dell’arte di Torino Artissima. Sempre in Torino ha diretto il Castello di Rivoli assieme a Beatrice Merz.

Artissima, grazie al suo lavoro, è diventata un’occasione culturale di rilievo, una manifestazione  dove, oltre all’incontro con le gallerie, si sono organizzati avvenimenti di musica, video, teatro e fumetto. A Rivoli ha presentato tra gli altri gli artisti Jhon Mc Cracken, Thomas Schutte.

Quando ho visitato la prima volta il Centro d’arte contemporanea di Ginevra ho provato un senso di confusione: non ci capivo niente.  Ho realizzato solo più tardi che il Centro è collocato nello stesso edificio di un altro museo il Mamco (Museo d’arte contemporanea di Ginevra), Ciò nonostante, i due luoghi non dialogano tra loro. Sono sotto lo stesso tetto, ma rimangono molto distanti.  Il Centro che Andrea Bellini andrà a dirigere è una specie di Kunstalle; è per sua natura uno spazio aperto, meno museo più luogo di sperimentazione. Si tratta insomma di un luogo di incontro per artisti, che così possono far conoscere il proprio lavoro e incrociare aspetti diversi.

Sul supplemento della Tribune de Geneve, la Tribune des arts , il giornalista Michel Bonel ha fatto un’intervista a Andrea Bellini e gli ha chiesto se lui percepisce una evoluzione nel campo dell’arte contemporanea. Bellini ha risposto così: “ oggi l‘arte parte da tutti i sensi. Non esistono più linguaggi poetici dominanti” sempre continuando ha poi affermato “(l’arte) tende a conservare il suo vecchio paradosso. È completamente inutile nella misura in cui non ha nessun tipo di funzionalità e, allo stesso tempo, è assolutamente indispensabile alla nostra specie”.

Quest’ultima affermazione mi trova completamente d’accordo.

Benvenuto ad un nuovo  italiano in transito.

Noi gente di mezzo a quale secolo apparteniamo?

E’ scomparso Eric Hobsbawm, lo storico. Se ne è parlato molto perché è uno di quegli intellettuali conosciuti anche dal grande pubblico. Il suo libro più celebre, The age of extremes (in italiano Il secolo breve, ed Bur), è sempre citato, quando si parla del secolo appena trascorso, anche se lui in verità era uno storico dell’800. Ed è proprio di questo libro che vi parlo. Il fatto è che si tratta di un’opera che ha fatto fortuna, anche perché offre una lettura sempre interessante su molti aspetti di quel periodo storico, mettendone in luce le caratteristiche salienti a ogni livello, sociale, politico, culturale. Lui lo ha chiamato il secolo breve, il 900, racchiuso tra prima guerra mondiale e dissoluzione dell’Unione Sovietica, per contrapporlo all’800, il secolo lungo, da lui fatto iniziare con la rivoluzione francese del 1789 e finire con la prima guerra mondiale, nel 1914.

Nel libro si trovano tanti riferimenti anche all’Italia e non solo per il fascismo o la guerra, ma anche per gli anni del boom e per la cultura. E questo è, secondo me, il tratto che rende Hobsbawm interessante per un blog come il nostro. Amava l’Italia e la nostra cultura. Poco tempo fa aveva registrato una lettera video a Gramsci. Al di là delle sue opinioni su Gramsci e sul suo ruolo nella storia, personalissime come ogni opinione, colpiva il fatto che questo  grande storico, vissuto sempre nel mondo anglosassone,  ma anche a Vienna e a Berlino,  parlava bene l’italiano e conosceva la nostra storia meglio di tanti di noi.

Già: un tempo le persone colte avevano un gran rispetto per l’Italia. Imparavano la nostra lingua, studiavano le nostre vicende. E offrivano un’immagine migliore del nostro paese, a chi veniva in contatto con loro. Ma che fine ha fatto questo rispetto? Che fine ha fatto il ruolo che l’Italia aveva nella cultura mondiale?

Smart store, Paris…

Qualche tempo fa abbiamo parlato della Gratiferia, il mercatino in cui tutto è gratis… Oggi vi vogliamo raccontare di un singolare negozio che ha aperto i battenti da qualche tempo a Parigi… e sta ottenendo un discreto, quanto inaspettato successo.

È una boutique interamente dedicata alla “scoperta” (come recita il sito). Ma che significa? Molto semplice, per dieci euro all’anno (tanto costa l’associazione) ci si reca per “testare” gratuitamente prodotti innovativi di brand semi o del tutto sconosciuti e originali, di cui ogni settimana si potranno anche portare a casa cinque campioni omaggio. Alcuni prodotti sono da testare sul posto e su questi non ci sono limiti (se non di decenza…) all’assaggio!

Unico obbligo da rispettare è quello di commentare almeno uno dei prodotti omaggio della settimana e rispondere alle domande che vi verranno poste on line.

Qui oltre ad assaggiare bevande, prodotti di bellezza e snack potrete acquistare a prezzi decisamente bassi abbigliamento di nuovi stilisti, opere d’arte, musica. Pezzi rari a volte unici e insoliti!

L’idea ci è sembrata geniale, un altro modo per ripensare gli spazi espositivi, per dare visibilità a prodotti che non avrebbero altro mercato e chissà un modo per nuovi artisti di farsi conoscere e apprezzare battendo vie insolite…