No alla censura

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“La blasfemia non è un diritto”. Così intitolava Alberto Melloni un suo intervento su Il Corriere della sera del 10 gennaio. Nell’articolo si parla dei fatti di Charlie Hebdo e del clima emotivo che si era tradotto nell’hashtag #jesuischarlie. Vi si ricorda anche di quella svista mandata in onda dalla RAI, in occasione dei festeggiamenti di fine anno, il maleducatissimo e stupido sms contenente una bestemmia. Melloni appare indignato e sostiene che in una società pluralista si finisca con l’imporre alle religioni di “Accettare l’irrisione più disgustosa come se al pluralismo fosse indispensabile una remissività illimitata dei credenti”. Secondo lui ciò è sempre da evitare, dato che il nome di Dio deve essere pronunciato con rispetto per coloro che credono.

Ora, se avere rispetto delle altrui convinzioni è dovere di tutti, io sono convita che vi siano forme di ironia e satira che escano dalla normale dialettica quotidiana. La satira può anche essere una forma d’arte. E chi non la apprezza, semplicemente non compra il giornale o non apre il blog sulla quale essa viene pubblicata. Non si tratta di qualcosa gridato a gran voce per la strada in modo da essere sbattuto in faccia a chiunque. E io temo ogni tipo di censura, in  tutte le forme d’arte. L’arte da sempre offre uno sguardo diverso sul mondo che ci circonda. Mi pare che il limitarla arrechi solo più povertà alla nostra società.

Proprio per questo motivo, dai fatti di Charlie Hebdo ho preso l’abitudine di comprare quel giornale. E guardate bene: la satira non è la mia lettura preferita,  ma sento il bisogno di salvaguardarla e in un certo senso di rendere omaggio ai suoi poveri redattori, morti solamente per aver fatto della satira. Rinnego con tutta me stessa la violenza e il folle gesto di chi li ha messi a tacere.images-1

Francamente sono cattolica, praticante, e voglio un gran bene a quel Dio che sento da sempre al mio fianco; ma sono ugualmente stanca di aver come compagne di viaggio persone che ritengono di avere l’unica verità e di doverla difendere  con la forza unita, purtroppo assai spesso, all’uso di potere accumulato, magari, proprio in virtù di un credo religioso.

Chiacchiere del Lunedì

Delphine Boël, The Golden Rule blabla
Delphine Boël, The Golden Rule blabla

Sul blog del Corriere della Sera, la 27°ora, il 17 maggio è apparso un post inquietante intitolato, Donne che amano l’alcol, che ha una tragica assonanza, sicuramente voluta, con il titolo italiano del thriller svedese di Stieg Larsson Uomini che odiano le donne. 

Infatti non solo ci troviamo a fare i conti con mariti o fidanzati violenti, con stalker e con ogni forma di usurpazione provenga dall’esterno, ma riusciamo anche a farci male da sole. È un grido di allarme. I dati americani riportano che il 55% di donne negli Stati Uniti beve regolarmente (il 40% in più nel giro di 10 anni) e le italiane, sebbene le percentuali siano inferiori a quelle americane, cadono sempre più spesso in ciò che viene definita “droga d’accesso”, facile, troppo facile da trovare in qualsiasi punto di ritrovo sociale.

Le modalità sono diverse i risultati uguali. Vino, birra all’inizio, superalcolici per finire. Il fenomeno non riguarda particolari ceti o fasce di età, ma è profondamente radicato in tutta la società femminile italiana. Tutte siamo a rischio per la conformazione fisica che ci rende particolarmente vulnerabili all’alcool che, contrariamente ai maschi, assorbiamo molto più facilmente e non metabolizziamo abbastanza.

Il primo bicchiere, secondo i dati ISTAT, addirittura a 11 anni, poi l’adesione a modelli comportamentali che solo fino al secolo scorso erano chiara prerogativa del mondo maschile e adottati per lo più come forma di emancipazione.

Una vera e propria trappola l’alcool. Se moltissime donne non si rendono conto di scivolare lentamente verso la dipendenza, altre, soprattutto fra le più giovani, praticano almeno un paio di volte al mese il cosiddetto binge drinking, cioè bere con il preciso scopo di ubriacarsi.

Che si chiami emancipazione, inadeguatezza, solitudine o semplicemente leggerezza, l’alcolismo prende quota fra le donne e non si può fare altro che mettere in guardia le nuove generazioni, quelle più a rischio dei pericoli che stanno correndo. Cosa c’é di bello nel bere allo sfinimento, cosa c’è di bello in una serata che si dimentica completamente a furia di bicchieri buttati giù, è l’oblio che cerchiamo o il desiderio di divertirsi e stare insieme?

 

Per mano

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Tra le cose della settimana passata che più mi hanno colpito vi è un piccolo articolo sul Corriere della Sera, di sabato scorso, che si intitolava: Obiettivo cambiare il mondo. Qui ho letto che Avaaz, il celebre movimento/rete di attivisti globali, ha individuato con un sondaggio le emergenze mondiali per il 2014, riassumendole così:

– Combattere la corruzione politica   54,72%

– Adottare una politica economica per il bene comune 42,99%

– Evitare catastrofi dovute al cambiamento  climatico 42,88%

In Italia gli aderenti ad Avaaz sono più di un milione e mezzo. Il desiderio di cambiare il mondo in meglio è un segno che ci fa ben sperare. Sempre più si sente il bisogno di farsi coraggio e accettare le responsabilità della realtà che ci circonda. In tal senso,  la foto di Papa Francesco per mano a Don Luigi Ciotti, nel giorno dedicato da Libera alla legalità e a al ricordo delle vittime delle mafie, è forse l’immagine migliore, il gesto più bello da ricordare.

 

All you need is love

Orimoto Tatsumi, Art-Mama+son, 2008
Orimoto Tatsumi, Art-Mama+son, 2008

Il prossimo week end si potrebbe tutti andare al festival della filosofia, che si svolgerà a Modena, Carpi e Sassuolo. Ci saranno tanti appuntamenti tenuti da filosofi, psicologi e scrittori che dibatteranno sul significato e sulle conseguenze del verbo “amare” .

Niente di più calzante per me: sono giusto reduce dal bel matrimonio di due giovani che, sulle note di un flauto traverso, si sono giurati amore davanti ad una moltitudine di amici pronti a far festa in piena allegria.  Un’allegria e  un ottimismo  davvero contagiosi al punto tale da farmi pensare che, molto spesso, la gioventù sia meglio di noi persone di mezza età.

Gohar Dashti,Today's life and War, 2008
Gohar Dashti,Today’s life and War, 2008

L’età adulta, appunto, è il momento giusto per cominciare a stare in silenzio. A tale proposito,  mi è ritornato in mente un libro che scrisse Carlo Maria Martini, dal titolo Le età della vita; vi si diceva che sta all’adulto il sapere riconoscere i suoi limiti e fare un passo indietro. E’ vero, dice Martini, l’adulto ha una visione complessiva di come vanno le cose del mondo, ma ciò può essere un tranello e può limitare i giovani nei i loro ideali, nella loro carica positiva. E io aggiungo: ciò limita anche la voglia di sperimentare l’amore eterno.

In un intervento sul Corriere della sera di domenica scorsa, la psicologa Silvia Vegetti Finzi, che sarà presente al festival di Modena,  ha  rivisto la celebre frase di Cartesio  “cogito ergo sum” con l’espressione “amo ergo sum”. Ricordo come Robert Indiana, negli anni Sessanta, abbia fatto delle quattro lettere LOVE un’icona della pop arte americana. E che dire dell’artista Barbara Kruger che ha realizzato un’installazione fatta di lettere cubitali recanti la scritta “LOVE IS SOMETHING YOU FALL INTO” .

Robert Indiana, Love, 1966
Robert Indiana, Love, 1966

Tanto interesse per un sentimento inventato e inutile? Non credo.

Al festival della filosofia ci saranno molti appuntamenti gratuiti chi fosse interessato alla rassegna vada sulla pagina web del festival della filosofia

Movimenti

Adrain Paci
Adrian Paci

Non passa giorno senza che si parli di giovani teste italiane in fuga. Il Messaggero, martedì scorso, in un articolo di Riccardo De Paolo, dopo aver rilevato che per l’Istat gli italiani che lasciano l’Italia sono aumentati del 26,5%  ha cercato di tracciare una guida per scegliere dove e come lasciare l’Italia.

Per noi che viviamo già all’estero, questo è un tema caro. Sempre in settimana, in un servizio di Radio3 sui giovani in fuga dall’italia, ho ascoltato un imprenditore italiano, che vive a Londra, confermava l’arrivo massiccio di italiani in Inghilterra. Lui pero’ sottolineava anche come questi laureati e specializzati si ritrovano purtroppo a dover lavorare come camerieri nei caffè o come commessi nei negozi.

Ancora fuga di cervelli: articolo del Corriere della sera domenica  scorsa, questa volta per sottolineare un successo tutto giovane e tutto italiano ma ottenuto in Francia. Infatti mentre Luigi Cattel e Barbara Stella hanno vinto il premio europeo degli inventori con i “nano proiettili” anticancro (a loro il trionfo e il premio meritato, ma all’estero i guadagni di questa ricerca)  Massimiliano Salsi lavorando a sud di Parigi a Villarceaux in una multinazionale franco-americana è rientrato tra i dieci vincitori del Mit Technology Review Award. Infatti insieme a Alberto Bonomi ha contribuito a costruire un cavo ottico sottomarino per trasmettere grandi volumi di dati a supervelocità, che uniranno gli Stati Uniti al Messico fino al Brasile.
Salsi afferma di non sentirsi un cervello in fuga e che deve all’Università di Parma le competenze fondamentali nella tecnologia delle fibre ottiche e che si sente parte di un team internazionale dove “Distanze geografiche e passaporti contano poco”.

Dunque pensavo, ai giovani tocca avere coraggio, tocca lasciare i percorsi convenzionali e poi devono imparare presto a tener duro in un paese dove la lingua, il modo di agire e la cultura sono diversi .

Eppure mi convinco che tutto questo servirà: questo migrare trasformerà anche il nostro paese, lo modificherà in profondità perché chi parte diventerà più esigente con l’Italia e non sarà disposto a scendere a compromessi; non accetterà gli errori di chi ha il compito di governarci e l’obiettivo di rimetterlo in grado di marciare. Chi  deve fuggire oggi sarà più intransigente domani.
 

L’ozio è padre dei vizi?

noiaQualche anno fa, appena arrivata in Svizzera, cercavo di spiegare ad un’amica inglese, con una certa pochezza di argomenti e soprattutto di parole (inglesi!) l’idea che i figli non debbano avere una vita sempre completamente organizzata da noi (ora per ora, giorno per giorno, anno per anno…) anzi che sia necessario che a volte provino noia, che si perdano in lunghi pomeriggi di ozio, durante i quali imparare a gestire il proprio tempo e lasciare la mente libera di scorrazzare senza freni. Allora, dal mio “elogio dell’ozio” avevo ricavato uno sguardo scettico e una risposta un po’ irritata sull’importanza del compito dei genitori. Oggi finalmente la rivincita! Sulle news della BBC on line, riprese dal Corriere della Sera, c’era l’incontrovertibile annuncio fatto da una scienziata del comportamento inglese. Dopo anni di studio la dottoressa Bolten dell’università dell’East Anglia ha finalmente ridato all’ozio e alla conseguente noia una dignità, affermando che ai giovani dovrebbe essere concesso di annoiarsi poiché in tal modo possono sviluppare la loro innata capacità creativa. Riportando l’esperienza di una scrittrice e di un artista la dottoressa Bolten dell’università dell’Est Anglia scrive che è la stessa natura umana che tende a riempire il vuoto creato dall’ozio e dalla noia rendendo tali momenti attimi di intensa attività creatrice! I ragazzi in special modo beneficiano di tali momenti seguendo i loro processi speculativi o assimilando le esperienze attraverso la semplice osservazione del mondo che li circonda.
Insomma sarebbe anche grazie a questi momenti di “pausa”  che si riescono a sviluppare  gli stimoli interiori.
Ma da adulti è ancora possibile provare questa sensazione di totale sospensione, di abbandono al languore di un momento? O forse si diventa complicati al punto che non siamo più capaci di “oziare” veramente proprio perché terrorizzati dalla noia?

Addio anno Mille

Niente da fare è l’ora di voltare pagina. Vi ricordate che ansia era venuta a tutti noi allo scadere del millennio? Sembrava che il mondo dovesse cambiare da un giorno all’altro; invece il primo gennaio del 2000 ci sentivamo tutti esattamente gli stessi.

Ora, invece, sembra che i cambiamenti si siano messi in moto  e che il mondo stia indossando  i panni di una nuova era.  Così, mentre leggevo il Corriere della Sera di qualche giorno fa, ho provato a cercare tutte quelle notizie che mi dessero un’idea di qualcosa che non fosse più come la conoscevo io. In prima pagina ho visto una foto della Galleria, a Milano, dove una fila di ragazzi entrava a mangiarsi l’ultimo panino (gratuito) di Mac Donald’s, prima della chiusura definitiva di quel punto vendita, come fosse un luogo speciale.  A  pagina sedici c’era una buona notizia: Castro concede ai cubani la possibilità di viaggiare all’estero: è finita! Anche a loro, come a chiunque altro, basterà il passaporto per viaggiare all’estero!

Infine mi sono letta il bell’articolo dell’architetto, maestro, artista e designer  Alessandro Mendini, il quale  spiega come al giorno d’oggi non sia più tempo di “maestri”.  Per lui è finita un’era e non esiste più “l’alchimia tra maestro e allievo”. “Oggi – afferma  – gran parte del lavoro è affidato alla tecnologia che lo rende quindi riproducibile, reiterabile”. Mendini prova una certa malinconia per la perdita di questo speciale rapporto tra  maestro e allievo,  che definisce un misto di complicità e competizione.

Cosa ha rappresentato Cuba per il mondo, forse i nostri figli lo studieranno solo sui libri di testo; le ragioni profonde del perché  Mc Donald’s facesse tanta paura a noi europei, invece, rimarranno per loro incomprensibili. Infine penso che quando si affacceranno nel mondo del lavoro si renderanno conto che sempre di più conta riuscire a far parte di un gruppo. Che è importante trovarsi in un luogo paritario  in cui si possa dialogare con e affiancarsi a chi ha competenze diverse e magari di livello superiore. La stima e l’affetto dell’allievo per il maestro saranno davvero un’esperienza passata.

Siamo in una fase di rottamazione, per usare una parola tanto udita in questi tempi?  Non lo so,  certamente stiamo vivendo un momento nuovo, curioso e, perché no, stimolante per noi che, guardando  da dove siamo partiti, ci ritroviamo a volte spiazzati e lontani dal secolo appena passato.

… non ci piace

… non ci piace quello che Beppe Severgnini riportava sul Corriere della Sera di sabato 28 aprile a proposito del grado di preparazione delle nuove generazioni. Uno studio americano, condotto dalla University of Harvard, infatti ha tristemente accertato che, per la prima volta nella storia dell’uomo, le prossime generazioni avranno studiato meno di quelle dei padri. Per gli Stati Uniti ciò dipende da molteplici fattori, fra gli altri  il costo sempre maggiore degli studi che, al contrario di quanto accadeva nei decenni passati, non garantiranno migliori prospettive di lavoro anzi sottraggono tempo prezioso. Severgnini notava che anche in Europa la situazione non é migliore. In Italia poi l’incertezza sul futuro regna sovrana e i giovani continuano ad essere i più penalizzati. Le cose cambiano quando si guarda all’Asia: qui il progresso sociale e non solo, ha creato generazioni di studenti agguerritissimi e motivati che si sono sparsi per il mondo a macchia d’olio, supportati da genitori che finalmente possono concedersi il lusso di far studiare all’estero i propri rampolli.

La situazione dell’Occidente è decadente e dà la misura di quanto necessarie siano le politiche che riguardano i giovani. Nella storia dell’evoluzione i nostri figli sono più vecchi di noi, speriamo che dimostrino, al contrario di noi, un po’ più di saggezza…