Too web or not to web

Jean Lurcat,
Jean Lurcat,

Ci sono artisti che con le proprie opere hanno determinato un cambiamento di rotta nel campo dell’arte;  da dove sono arrivati loro, non si può tornare indietro.  Nel campo dell’arte tessile, uno di questi è stato il francese  Jean Lurcat  (1982-1966). Formatosi come pittore, ha lavorato disegnando cartoni per realizzare gli arazzi. Così ha rivitalizzato la tessitura, svecchiandola e proponendola come linguaggio moderno. Al tempo stesso si è interessato anche al teatro  e alla ceramica.

Chi volesse vedere alcuni dei suoi più importanti lavori dovrebbe andare ad Angers, in Francia, dove esiste un museo dell’arte tessile a lui dedicato. Il museo ospita molti lavori dell’artista, oltre a dieci grandi arazzi monumentali intitolati Chant du monde: un omaggio alle immagini dell’Apocalisse medievali presenti nel castello di Angers. L’artista ci lavorò per dieci anni, fino alla  morte.

Jean Lurcat
Jean Lurcat, Chant du monde

Il museo di Angers merita davvero una visita perché, oltre a conservare le opere di Lurcat, è anche un’istituzione attiva e sostiene  con molte iniziative le creazioni di arte tessile o, per meglio dire, di Fiber art. In questi mesi, ad esempio, ospita una curiosa e interessante  mostra di mini-textiles, ossia opere che non possono superare certe dimensioni (12x12x12), prodotte da artisti di tutto il mondo. Questa mostra di Mini Textiles, dal 1993, si tiene ogni tre anni; le opere esposte vengono selezionate da una giuria internazionale. Quest’anno si chiama ironicamente  Too Web or not to web e sarà visitabile fino al 20 maggio. Gli artisti, oltre ad aver seguito il tema della mostra, hanno come obbligo quello di realizzare delle opere tessute che non devono essere più grandi di centimetri.  Il titolo della mostra è stato scelto perché si vuole mettere in luce l’aspetto del tessuto come lingua universale, che tutti comprendono.

Le opere presenti sono fatte di materiali diversi  come metallo, tessuto, ricamo , collage e elementi naturali .

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Chi volesse saperne di più http://www.musees.angers.fr

Anche in Italia abbiamo una rassegna simile: si tiene a Como e si chiama Miniartextil

Febbre da Oscar

beasts of the south

Lincoln di Steven Spileberg, Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow, Argo di Ben Affleck, Django Unchained di Quentin Tarantino, Vita di Pi di Ang Lee, Silver Linings di David ‘O Russell, Beasts of the Southern Wild di Benh Zeitlin,  Les Miserables di  Tom Hooper e Amour di Michael Haneke, questi sono i nove film che il 24 febbraio si contenderanno l’ambita statuetta dell’Oscar come migliore pellicola dell’anno.

Di tutto è stato già detto dei mostri sacri presenti nella lista, parlo di Spilberg, della Bigelow, di Tarantino, di Ang Lee, ma a sorpresa quest’anno viene presentata una pellicola che ha già alle sue spalle una lunga lista di premi vinti (premio della giuria al Sundance Festival e la Camera d’Or a Cannes, solo per citare i più famosi) Beasts of the Southern Wild di

.

Film indipendente realizzato con un budget ridicolo rispetto a quello delle altre pellicole in gara è stato incredibilmente interpretato da una bimba che all’epoca delle riprese aveva poco più di sei anni (e che è candidata all’Oscar come migliore attrice protagonista!). La storia é una favola moderna in cui si muovono personaggi tratti dalla realtà, ma raccontati con poesia e amore dal giovane regista esordiente Benh Zeitlin. È la storia dell’educazione di una bambina e della sua crescita, in cui il sentimento si scontra con la durezza della vita, tutto ciò a rendere più forte la protagonista.

La pellicola è considerata un outsider degli Oscar, pochi scommettono sulla sua vittoria, noi facciamo il tifo per lei!

Ode al carciofo

Giuseppe Arcimboldo, L'estate,1573, Musee du Louvre, Parigi
Giuseppe Arcimboldo, L’estate,1573, Musee du Louvre, Parigi

Ognuno di noi associa una stagione in arrivo con qualcosa di buono da gustare. Da piccola, in campagna, non passava maggio che io non facessi una scorpacciata di ciliege. E a settembre? I fichi naturalmente.

Ora che vivo a Ginevra, in inverno sento la mancanza di un ortaggio che qui sembra sconosciuto: il carciofo. Per la maggior parte del tempo è introvabile e quando fa capolino nel supermercato, potete essere certi che è di qualità non commestibile. Io ci ho provato a cucinarlo, il carciofo svizzero, ma è grosso, duro e pieno di peluria al suo interno. Alla fine mi sono arresa e mi accontento di fare una scorta di carciofi buoni quando vado in Italia. Cotti, crudi e sottolio, sono una specialità per il palato.

Belli come un fiore possono anche fare bella figura in cucina, se messi dentro un vaso di fiori.

A loro dedico questa giornata grigia e dalla pioggerellina uggiosa, con una poesia scritta in loro onore da Pablo Neruda:

Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero,

ispida edificò una piccola cupola

si mantenne all’asciutto sotto le sue squame,

vicini a loro i vegetali impazziti si arricciarono,

divennero viticci,

infiorescenze commoventi rizomi

sotteranea dormì la carota dai baffi rossi,

la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino,

la verza si mise a provar gonne,

l’origano a profumare il mondo,

e il dolce carciofo lì nell’orto vestito da guerriero,

brunito come bomba a mano,

orgoglioso

e un bel giorno,

a ranghi serrati,

in grandi canestri di vimini,

marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno:

la milizia.

Nei filari mai fu così marziale come al mercato,

gli uomini in messo ai legumi con i bianchi spolverini erano i generali dei carciofi

file compatte,

voci di comando e la detonazione di una cassetta che cade,

ma allora arriva Maria con il suo paniere,

sceglie un carciofo non lo teme,

lo esamina,

lo osserva controluce come se fosse un uovo,

lo compra,

lo confonde nella sua borsa con un paio di scarpe,

con un cavolo e una bottiglia di aceto finché,

entrando in cucina lo tuffa nella pentola.

Così finisce in pace la carriera del vegetale armato che si chiama carciofo,

poi squama per squama spogliamo la delizia e mangiamo la pacifica pasta,

del suo cuore verde.

Mai di mercoledì!

mercoledi-da-leoni-dvd_34882Secondo un recente studio commissionato da una compagnia statunitense che produce prodotti abbronzanti, il mercoledì alle 15,30 le donne darebbero il peggio di se stesse, arrivando addirittura a sembrare molto più vecchie della loro età anagrafica.

Due terzi delle donne intervistate, infatti, rivela che proprio il mercoledì pomeriggio avviene in loro un fatidico “crollo dei livelli di energia”, che le indurrebbe, fra le altre nefandezze, a cercare conforto in snack a base di zuccheri… La combinazione fra stanchezza dovuta all’accumularsi dello stress del “metà settimana” con il torpore del primo pomeriggio (quello che già gli antichi asceti conoscevano come il “diavolo meridiano” e che oggi chiameremmo “botta di sonno”) sarebbe assolutamente deleteria.

Appena l’incubo del “metà settimana” comincia a svanire, così nelle donne si producono strani effetti per i quali, riprese le energie, si dedicano all’amore e alla produzione di “gnocchi al giovedì”, per giungere ad una vera e propria apoteosi il venerdì, in cui si esibiscono in tutta una serie di frenetiche attività (dallo shopping al giardinaggio) e che è giorno preferito dal novanta per cento delle intervistate (insomma un pre-“sabato del villaggio”)!

Oltre all’aumento del livello di stress pare che sul fatidico mercoledì pomeriggio agiscano anche gli effetti delle abbondanti libagioni del week end precedente (!) in cui indulge il 46 per cento del gentil sesso intervistato (ma chi hanno intervistato?), pare, infatti, che gli effetti di una sbronza sul viso possono protrarsi fino a 72 ore dopo la bevuta (ma deve essere proprio un “bella” bevuta!). Altro fattore aggravante è la mancanza di sonno che accusano molte donne il lunedì sera pensando al lavoro che le attende durante la settimana, gli effetti di questa mancanza di riposo appaiono sul viso fino a 48 ore dopo non aver dormito (e siamo di nuovo a mercoledì pomeriggio…).

Insomma cari signori, se proprio volete invitarci per una tazza di te e un pasticcino, siate gentili non fatelo di mercoledì, rischieresti di ritrovarvi non con la donna dei vostri sogni, ma con una vecchietta acida, stressata e assonnata!

Chiacchiere del lunedì

Prova mafalde

Corrado Levi, La panchina rosa triangolare, Torino
Corrado Levi, La panchina rosa triangolare, Torino

Mi piace pensare che nel calendario il 27 gennaio sia in Europa la giornata alla memoria delle vittime del nazismo. Questo perché mi ha dato lo spunto per parlarne in famiglia, in modo particolare con la figlia più giovane che da pochi giorni ha visitato con la scuola il Museo di Anna Frank ad Amsterdam, dove, come lo stesso  direttore ha affermato, ogni giorno è la giornata della memoria.

Il 27 di gennaio è la data in cui furono abbattuti i cancelli di Auschwitz e la Repubblica Italiana con la legge 211 del 20 luglio 2000, ha istituito il “Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. 

Una falsa scienza è stata il perno su cui si è basato lo sterminio di tante persone: esistono uomini che da un punto di vista genetico sono sbagliati, diversi da noi e dunque occorre sopprimerli. Una falsa biologia che è penetrata così a fondo nella mente delle persone, che hanno finito per crederci veramente. Oggi fa paura pensare che si possa aderire in tanti piegandosi ad una tale falsità. Come si può essere distorti ? Dove affonda questo orrore? Le sue radici oggi sopravvivono in chi non si vergogna di diffondere e alimentare il negazionismo, ma anche in chi in modo più sottile ritiene ineluttabile che al mondo i forti debbano sempre vincere sui più deboli.

Chi arrivò per primo in quei campi dell’orrore non ha potuto più dimenticare. Gli alleati furono incoraggiati dai loro stessi comandi a documentare con fotografie e riprese filmate ciò a cui assistevano… per non dimenticare. Gli scampati hanno conservato la memoria di ciò che accadde. Una follia collettiva che contagiò mezza Europa. Come poter pensare che tutto ciò non sia avvenuto? Eppure una certa storiografia nega che tali orrori siano mai successi. A volte rimuovere fa meno male che affacciarsi a baratro dell’orrore.

Così ben vengano i memoriali, i monumenti e le occasioni per ricordare. Vorrei segnalare l’installazione inaugurata l’anno scorso a Berlino dall’artista israeliano Dani Karavan in memoria dei Sinti e dei Rom d’Europa sterminati sotto il regime Nazional Socialista e a Torino la panchina inaugurata ieri dell’artista italiano Corrado Levi dedicata alle vittime omosessuali.

Quando una storia viene raccontata, anche attraverso l’arte, non la si può più dimenticare

Dani Karavan, Memoriale ai Sinti e ai Rom, Berlino
Dani Karavan, Memoriale ai Sinti e ai Rom, Berlino

È bene che l’arte venga in aiuto alla memoria è bene che occupi lo spazio delle nostre città e in modo libero racconti la storia alle generazioni future.

… ma come va a finire fra Elizabeth e Mr. Darcy?

pride_and_prejudice12Il 29 gennaio del 1813, duecento anni orsono, vide la luce uno dei capolavori della letteratura di tutti i tempi: Orgoglio e pregiudizio, pubblicato per la prima volta a spese dell’autrice Jane Austen con il titolo First impression.

L’adorato Bambino, com Jane Austen chiamava il suo libro più famoso, fu da subito accolto con grande favore dal pubblico e ancora oggi è letto e apprezzato.

Cerchiamo di analizzare le ragioni per cui questo romanzo continua ad essere attuale.

Innanzitutto l’autrice con acume e intelligenza, attraverso una lucida riflessione sui suoi tempi, crea un vero e proprio universo in cui si muovono, vivono, soffrono, realizzano le proprie speranze, si esprimono i suoi personaggi, i quali hanno tutti uno spessore che li rende vivi nella finzione lettararia. L’abilità della Austen sta nel donare ad ognuno di essi un posto preciso che non viola le rigide regole della società in cui sono calati.

Tuttavia su tutti i personaggi, ancorati a cliché sociali, spicca la protagonista Elizabeth, definita dalla sua stessa creatrice «una delle più deliziose creature mai apparse in un libro», che si distacca decisamente dal modello corrente di giovane donna del XVIII secolo. Intelligente, ironica, capace, fortemente legata ai propri valori, Elizabeth rifiuta però di sottostare alla regola dello «sposarsi bene». Non rinuncia a se stessa e ai suoi sentimenti, non si fa incasellare in schemi sociali precostituiti, non rinuncia all’amore per la tranquillità.

L’intero romanzo è giocato sul cambiamento della prima impressione (il pregiudizio del titolo) che Lizzy ha del Signor Darcy, colui che diverrà suo marito non per convenzione ma per amore. Darcy infatti passo dopo passo dovrà guadagnarsi il rispetto e l’amore della protagonista rompendo così quegli schemi triti che volevano la donna inevitabilmente seconda rispetto all’uomo.

Pietra miliare della letteratura non solo inglese, di questo libro, che lascia un segno profondo nel lettore, sono stati scritti infiniti sequel, ultimo dei quali nel segno del giallo (Morte a Pemberly, di P.D. James).

Da leggere e rileggere perché la Austen riesce a coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine del romanzo, scatenando emozioni e facendoci amare appassionatamente una vicenda fatta di verdi prati inglesi, ora del té e convenzioni sociali di altri tempi.

… e poi, in fondo, chi non apprezza una bella storia d’amore?

Questa volta ho fatto centro

imgresIo sono una cui in libreria piace balzellare qua e là senza nessun rigore scientifico. Vivendo all’estero, quando ci vado cerco di fare scorta. Per  lo più le scelte le divido secondo il tempo a disposizione, vi faccio un esempio, so che quando trascorrerò molto tempo in treno o in attesa forzata in macchina (vedi attesa di una figlia che finisce la lezione di canto di 50 minuti) opto per un giallo (ultimissimo letto Henning Mankell, Il ritorno del maestro di danza, a dire il vero un po’ troppo truce per i miei gusti). Per la sera a letto preferisco leggere qualche  saggio serio che mi impegna e mi fa dormire (che razza di scelta direte voi, in genere le mie preferenza vanno all’arte)  oppure ho sempre vicino qualche libro di Beppe Severgnini che mi parla di noi italiani, delle nostre manie che mi fanno sorridere e sognare tranquillamente .

Per un momento di malinconia, vai con il romanzo di amore (ti fai un po’ gli affari di qualcun’altra e stai subito meglio). Poi ci sono i libri che ti consigliano le amiche, l’ultimo, divertente e gustoso  per noi che viviamo all’estero è stato  Pecore nere, quattro racconti di altrettante extracomunitarie che vivono in Italia, edito da Laterza.imgres

Infine ci sono gli autori che ormai  per me sono un marchio di fabbrica e come esce un libro acquisto a scatola chiusa, in questo caso ho appena finito l’ultimo libro di Daniel Pennac Storia di un corpo edito da Feltrinelli.

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La storia è quella di un padre che lascia alla figlia un diario della sua vita tenuto da quando aveva dodici anni fino ad ottantasei. Il diario non è il solito diario intimo di una persona che racconta i propri stati d’animo, l’autore lo spiega fin dalla prima pagina, questo è un diario in cui il protagonista registra in modo lucido le relazioni intercorse negli anni  tra il corpo e la mente. E così a parole Pennac prova a raccontarci come il corpo si  manifesta nella mente dell’uomo,  come si può a parole esprimere i suoi sintomi di fronte alle paure, alle delizie del cibo, all’amore, alla malattia.

“L’uomo-scrive – nasce nell’iperrealismo per dilatarsi piano piano fino a un puntinismo alquanto approssimativo per poi disperdersi in una polvere di astrattismo”.

Quando termino libri come questo mi sembra di essere stata fortunata, ho fatto centro. Ho scelto giusto e sono davvero contenta.

2013 Anno della Cultura Italiana in USA

logoIl 2013 é stato proclamato Anno della Cultura Italiana negli Stati Uniti, ed è stato promosso dal Ministero degli Esteri Italiano in collaborazione con il Ministero dello Sviluppo Economico e di quello dell’Istruzione, Università e Ricerca, dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e dalla Presidenza del Consiglio sostenuti da un notevole stuolo di compagnie private.

L’intento è quello di «proporre l’Italia del presente con le sue eccellenze, il suo valore ancorato all’oggi e alimentato dal suo ineguagliabile passato, e presentare l’Italia dell’innovazione che va avanti, fa progetti e guarda al futuro… La cultura e l’identità italiane saranno promosse, presentate e declinate in tutte le aree che caratterizzano, ieri come oggi, la tradizione italiana: arte, musica, teatro, patrimonio architettonico e paesaggistico, cinema, letteratura, scienza, design, moda, cultura alimentare».

Si tratterà di un enorme contenitore di eventi tutti italiani con un occhio particolare alle nuove generazioni che avranno visibilità grazie alla promozione di giovani talenti.

Il calendario degli eventi è nutritissimo: spettacoli teatrali, proiezioni, mostre, conferenze si susseguiranno in questo viaggio lungo un anno alla scoperta dell’Italia. In tutti gli States ci si farà in quattro per festeggiare la cultura italiana. Ad esempio a Washington si è pensata una curiosa iniziativa per celebrare l’evento. Infatti sui 200 autobus cittadini, oltre agli annunci pubblicitari, appariranno anche versi dei maggiori poeti italiani tradotti in inglese, che terranno compagnia a pendolari e turisti per tre mesi.

Gli Americani avranno così l’occasione di conoscere Leopardi, Pasolini, Ungaretti, Quasimodo, Pavese, Luzi, Foscolo, Penna, Lorenzo de’ Medici e Montale.

È chiaro che l’iniziativa è stata concepita e serve come grande vetrina di quello che è definito il «Brand Italia», solo in questa ottica infatti si capisce come fra i partners di questa grande celebrazione della cultura italiana trovi posto anche il marchio Beretta (che non è quello dei produttori di salumi…), cosa che sinceramente ci ha un po’ stupito, ma che pare non abbia messo in imbarazzo gli organizzatori.

Nonstante ciò la festa della cultura italiana può essere un buon momento per sollevare l’immagine dell’Italia all’estero.

Chissà se, come durante il rinascimento, torneremo mai ad essere «esportatori di cultura» e di quei valori tradizionali che ci rendono unici !

L’uomo che inventò la modernità

Edouard Manet, La ferrovia, particolare,
Edouard Manet, La ferrovia, particolare,1873

Ci sono delle mostre che si attendono come un avvenimento, sono l’appuntamento di cui si parlerà per molto tempo e a cui tutti vorranno partecipare. In questo momento l’attenzione è rivolta alla mostra che si aprirà a Londra il prossimo 26 gennaio, presso la Royal Academy, dedicata appunto all’opera di Manet, come ritattista.

La mostra, infatti, è la prima dedicata esclusivamente ai ritratti  realizzati da  Manet, nel corso di tutta la sua carriera. Le opere in mostra sono una cinquantina e coprono l’intero percorso di stile del grande artista, cominciando prima dell’avvio ufficiale dell’Impressionismo (1886) e proseguendo negli anni successivi.

Edouard Manet, ritratto Emile Zola,
Edouard Manet, ritratto Emile Zola,

I ritratti di Manet rappresentano la società parigina del tempo. Lui non fece i ritratti per guadagnare e questo lo portò ad essere più libero: le figure da lui preferite furono gli amici letterati (ricordiamo il ritratto di Emil Zola), gli altri artisti e la sua famiglia ( frequenti furono i ritratti al fratello Gustave o al figlio Leon). In mostra è visibile il ritratto di sua cognata, la pittrice Berthe Morisot, del 1872.  L’opera ritrae la donna dipinta per tre quarti di profilo, con un vestito nero e un piccolo cappellino. Le tinte scure del vestito, in contrasto con il bianco e il rosa del carnato, si fondono negli occhi scuri della donna, che ci guardano.

Edouard Manet, Berthe Morisot, 1872
Edouard Manet, Berthe Morisot, 1872

In mostra ci sono anche lavori che provengono da lontano, come La ferrovia (1873), in prestito dalla National Gallery of Art di Whashington. L’opera, del 1873 , fu presentata  alla prima mostra ufficiale dell’impressionismo. Manet vi ha rappresentato una giovane donna con una bambina (madre e figlia?). Le due figure vestite in modo elegante sono legate dai toni del blu; la donna è seduta frontale mentre la bambina è di spalle attaccata alla cancellata: ancora una scena che bene coglie  l’atmosfera  della Parigi moderna.

Gli anni che vanno dal 1863 al 1874 sono quelli in cui Manet si vedeva regolarmente con Renoir, Monet, Degas, al Café Guerbois considerato il luogo dove è nato l’impressionismo.

La produzione pittorica di Monet non è molto grande: l’artista non dipinse molto e molte opere sono rimaste incompiute. Morì prematuramente a 51 anni (è vissuto dal 1832 al 1883). Tutto il suo lavoro rimane molto importante per comprendere le origini dell’arte moderna. La definizione “l’uomo che inventò la modernità” gli fu data dalla BBC in un documentario dei primi anni Duemila.

Chiacchiere del lunedì

Prova mafalde

Tahar_Ben_JellounLa crisi è colpa degli stranieri?

Noi che siamo stranieri in un paese che ci ospita siamo sensibili a parole quali identità,  appartenenza, integrazione, diversità e rifiuto. E così mi ha colpito in modo particolare un articolo di Tahar Ben Jelloun, uscito su l’Espresso del 10 gennaio scorso, in cui si metteva in luce come una delle più pericolose conseguenze della crisi economica in Europa sia un rinnovato vigore razzista, che affonda le sue idee nel  disprezzo per gli immigrati irregolari, ma anche  per tutti quei cittadini che sono figli di genitori stranieri.

Temo che il pregiudizio sia figlio dell’ignoranza! La paura dell’altro va di pari passo con la paura del cambiamento, il pericolo che alcuni perdono di poter perdere qualcosa faticosamente conquistato. Finché non ci sarà spazio per la tolleranza non sarà possibile raddrizzare le cose e la tolleranza si acquisisce con la volontà di comprendere. Comprendere altre culture, altre idee, altre religioni con occhio sereno.

A dire la verità, è così. Questo disprezzo non è neanche così subdolo e nascosto: anzi sempre più si manifesta alla luce del sole.  A chi non è capitato negli ultimi tempi di subire o dover ribattere a una battuta di troppo contro le minoranze straniere? Eppure è sempre più consistente il numero di persone che vivono a cavallo di culture diverse. In modo particolare, mi tocca da vicino la vita dei  figli dei genitori stranieri e quanto sia delicata per essi la questione dell’identità.  Queste persone si trovano una doppia sfida:  assimilare e comprendere la cultura dei propri  genitori, ma anche vivere a pieno quella del paese in cui vivono. Un sfida resa ancor più difficile se devono affrontare la disonestà intellettuale  e la stolta arroganza di persone razziste.

Sono fiduciosa nelle capacità delle nuove generazioni. Ad esempio i nostri figli così esposti, così apparentemente fragili, in realtà si stanno preparando ad un mondo nuovo, in cui l’altro, il diverso, non fa più paura. 

C’è un modo per proteggere questo  nuovo cittadino che rappresenta  la fusione tra il suo passato e il suo presente?

No, non credo che esista! Però lasciamo loro le ali per volare alti!