Movimenti

Adrain Paci
Adrian Paci

Non passa giorno senza che si parli di giovani teste italiane in fuga. Il Messaggero, martedì scorso, in un articolo di Riccardo De Paolo, dopo aver rilevato che per l’Istat gli italiani che lasciano l’Italia sono aumentati del 26,5%  ha cercato di tracciare una guida per scegliere dove e come lasciare l’Italia.

Per noi che viviamo già all’estero, questo è un tema caro. Sempre in settimana, in un servizio di Radio3 sui giovani in fuga dall’italia, ho ascoltato un imprenditore italiano, che vive a Londra, confermava l’arrivo massiccio di italiani in Inghilterra. Lui pero’ sottolineava anche come questi laureati e specializzati si ritrovano purtroppo a dover lavorare come camerieri nei caffè o come commessi nei negozi.

Ancora fuga di cervelli: articolo del Corriere della sera domenica  scorsa, questa volta per sottolineare un successo tutto giovane e tutto italiano ma ottenuto in Francia. Infatti mentre Luigi Cattel e Barbara Stella hanno vinto il premio europeo degli inventori con i “nano proiettili” anticancro (a loro il trionfo e il premio meritato, ma all’estero i guadagni di questa ricerca)  Massimiliano Salsi lavorando a sud di Parigi a Villarceaux in una multinazionale franco-americana è rientrato tra i dieci vincitori del Mit Technology Review Award. Infatti insieme a Alberto Bonomi ha contribuito a costruire un cavo ottico sottomarino per trasmettere grandi volumi di dati a supervelocità, che uniranno gli Stati Uniti al Messico fino al Brasile.
Salsi afferma di non sentirsi un cervello in fuga e che deve all’Università di Parma le competenze fondamentali nella tecnologia delle fibre ottiche e che si sente parte di un team internazionale dove “Distanze geografiche e passaporti contano poco”.

Dunque pensavo, ai giovani tocca avere coraggio, tocca lasciare i percorsi convenzionali e poi devono imparare presto a tener duro in un paese dove la lingua, il modo di agire e la cultura sono diversi .

Eppure mi convinco che tutto questo servirà: questo migrare trasformerà anche il nostro paese, lo modificherà in profondità perché chi parte diventerà più esigente con l’Italia e non sarà disposto a scendere a compromessi; non accetterà gli errori di chi ha il compito di governarci e l’obiettivo di rimetterlo in grado di marciare. Chi  deve fuggire oggi sarà più intransigente domani.
 

Oggetti trovati e trasformati: una retrospettiva a Roma di Louise Nevelson

Louise Nevelson
Louise Nevelson

Se vi capitasse di domandarvi chi furono i primi artisti nel secolo scorso a pensare che l’arte si possa fare con qualsiasi cosa e, magari, anche quali siano i nomi di chi furono i primi a sperimentare gli oggetti di uso quotidiano dentro le opere d’arte, dovreste andare con la mente a Parigi nel primo decennio del ‘900 a cercare Picasso e Braque . Parigi, in quei giorni, era il centro d’arte che riuniva tutti quegli artisti orientati verso un’arte nuova  e antiaccademica. Picasso e Braque nel 1912 cominciarono ad  inserire nei loro dipinti carte da parati, pezzi di legno, o ritagli di giornali. I due artisti creatori del cubismo cercavano in tal modo una strada per riportare l’arte vicino alla realtà, offrendo anche delle nuove spazialità al dipinto.

C’è una scultrice che si inserisce in queste ricerche, un’artista più giovane che avrebbe ereditato il gusto dell’oggetto quotidiano come elemento da inserire nell’opera. Si tratta di una donna russa che si chiamava Louise Nevelson (1899-1989). Un’artista ebrea emigrata con la famiglia, nel 1905, negli Stati Uniti. Un’appassionata di arte africana di cui divenne anche una importante collezionista.

Louise Nevelson
Louise Nevelson

Vi segnalo questa figura perché da pochi giorni, a Roma, si è aperta una grande mostra dedicata a quest’artista. La retrospettiva è  a cura di Bruno Corà , si trova nel Palazzo Sciarra, è promossa dalla Fondazione Roma Museo e rimarrà aperta fino al 21 luglio.

Louise Nevelson proveniva da una famiglia di commercianti di legnami e questo dovette influenzarla perché non cessò mai di considerare il legno come materiale privilegiato per i suoi lavori.

Nella biografia si legge che il padre la incoraggiò sempre nel suo lavoro e che credette nei diritti delle donne. Sarà anche per questo  che la Nevelson ha sempre affermato la propria fierezza di essere un’artista donna : si sentiva “donna, tanto donna da non voler portare i pantaloni”.

Il riconoscimento internazionale come artista le arrivò solo all’età di 68 anni, in seguito  a una retrospettiva al Whitney Museum, nel 1967. Le sue grandi sculture ora si possono ammirare nelle strade di New York, Los Angeles e nei più grandi musei americani.

Il suo lavoro si riconosce bene perché ha sempre girato attorno all’idea di  assemblage monocromi, con il nero come colore dominante. Le sculture sono come delle grandi scaffalature, o contenitori, dove si compongono, come in un quadro cubista, pezzi di legno, gambe di sedie, tavoli rotti; tutti oggetti che una volta messi insieme e assemblati formano delle composizioni astratte.

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Potete trovare tutte le informazioni della mostra  all’indirizzo http://www.fondazioneromamuseo.it

Le donne del VI piano

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Non so se lo avete visto, io me lo sono perso quando uscì (l’ho visto da poco) ma volevo segnalarvi questo  film . Si intitola Donne del 6 piano. E’ un film francese (di Philippe Le Guay) ambientato a Parigi, nel 1962. La storia è quella di un gruppo di governanti spagnole che vivono nella soffitta di un palazzo di ricchi parigini. Da una parte, quindi, si vedono la vita e le tradizioni della borghesia francese, dall’altra i costumi  e l’allegria spagnola. Due mondi molto distanti: il primo fatto di educazione e di savoir faire, l’altro molto più impetuoso ma anche caloroso. Nel film si affrontano con leggerezza anche temi difficili, come le violenze del regime di Francisco Franco e le differenze sociali e culturali all’interno della stessa società. Ma alla fine la storia risulta una commedia divertente, che vi consiglio.Per noi  italianintransito, poi, ha ancor più valore  la storia di interazione tra culture diverse. Ma credo che il tema sia attuale per tutti e credo che metta in luce le dinamiche, spesso tese, che si dibattono in Italia come nel resto d’Europa  in materia di immigrazione e integrazione.

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Il film è a  lieto fine, con la sconfitta della borghesia altezzosa francese e il trionfo delle cameriere proletarie spagnole.

Il film è del 2011 ed è stato presentato al Festival di Berlino dello stesso anno.

Buon divertimento

Alta moda a Parigi

Catalogo della mostraSiete pazzi dell’alta moda? Fareste di tutto per indossare un “Balenciaga” e vi commuovete davanti a uno “Chanel”? A Parigi allora c’è la mostra che fa per voi! L’Hotel de Ville di Parigi infatti celebra la “Haute Couture” attraverso un’esposizione che dà la possibilità di ammirare modelli di eccezione. Con la collaborazione del Museo Galliera, il Museo della Moda della città di Parigi, e con il patrocinio della Swarovski, l’esposizione, che non poteva chiamarsi altro che «Paris Haute Couture», presenta modelli originali e spesso mai svelati delle maggiori “maisons de couture” parigine, accompagnati da disegni, fotografie, riviste d’epoca e documenti: Worth, Doucet, Poiret, Lanvin, Vionnet, Patou, Chanel, Molyneux, Rochas, Maggy Rouff, Jacques Heim, Nina Ricci, Schiaparelli, Jacques Fath, Balenciaga, Grès, Balmain, Carven, Christian Dior, Givenchy, Cardin, Yves Saint Laurent, Courrèges, Jean Paul Gaultier, Lacroix, Alaïa Elles, tutti sono rappresentati con almeno un modello.

Il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoë, nel messaggio di inaugurazione della Mostra, ha spiegato come la moda a Parigi faccia parte del patrimonio culturale e artistico della città. E qui infatti che all’inizio del ‘900 un gruppo di giovani stilisti per la prima volta sdogana la moda dallo stereotipo di “frivolezza di lusso” rendendola una vera e propria arte, fatta non solo di genio isolato, ma anche da una moltitudine di coloro che chiamati “petites mains” hanno contribuito con il loro paziente lavoro alla realizzazione di modelli che sono rimasti nell’immaginario collettivo, come icone di gusto e bellezza.

Ricamatori, creatori di accessori in piume e di ventagli, tintori, tessitori, calzolai, e tanti tanti altri artigiani hanno contribuito con le loro capacità, gusto, tecniche, innovazioni al successo dell’alta moda parigina.

C’è da restare senza parole davanti a tanta bellezza!

A Parigi dal 2 marzo al 6 luglio.

Le donne dell’arte

Sandra Tomboloni
Sandra Tomboloni

Questo 8 marzo lo dedichiamo alle donne dell’arte.

E per tutte ne scegliamo tre, nate in tre momenti diversi del XX secolo. Indipendenti e determinate hanno contribuito ad inventare nuovi linguaggi nel campo dell’arte.

Meret Oppenheim
Meret Oppenheim

La prima è Meret Oppeheim, nata a Berlino nel 1913. Cresce tra la Germania e la Svizzera, dove muore nel 1983. Negli anni Trenta vive a Parigi dove frequenta il circolo surrealista . I suoi primi lavori sono dipinti, disegni e resoconti di sogni. Posa anche come modella per una serie di fotografie erotiche di Man Ray .

Meret Oppenheim,Le Déjeuner en fourrure,1936
Meret Oppenheim,Le Déjeuner en fourrure,1936

Parlando del suo lavoro e del suo ruolo di donna nel mondo dell’arte, occorre ricordare che fu lei a incitare  le donne”a dimostrare coi fatti di non essere più disponibili ad accettare i tabù che le hanno tenute in una condizione di asservimento per migliaia di anni. La libertà non è qualcosa che viene regalato ma qualcosa che bisogna conquistare” ( da Le donne e l’arte, Taschen 2004 pag. 151). Tra le sue produzioni più ricordate sono gli object trouvés, ovvero oggetti che, trovati e trasformati per essere estraniati dal loro contesto, perdono la loro funzione d’uso e mantengono solo il valore di simbolo. Tra questi oggetti surrealisti  Le déjeuner en fourrure del 1936 rimane il più famoso: una tazzina da caffè , con piattino e cucchiaio rivestiti di pelliccia.

Niki de St Phaille
Niki de St Phaille

La seconda artista è invece la francese Niki de St Phaille. Nata nel 1930 a Parigi, Niki fece parte del gruppo dei Nouveau Realistes. Ebbe un’infanzia difficile e fuggì dalla sua famiglia. Lavorò fin dai primi anni Sessanta, con opere di assemblage e  per mezzo di happening. E’ del 1966 il suo lavoro “Hon” che significa “Essa”, in svedese. L’opera fu presentata al museo Moderna Musset di Stoccolma ed è composta da  una gigantesca scultura rappresentante una donna multicolore sdraiata con le gambe aperte. I visitatori sono invitati ad entrare attraverso la sua vagina  per vivere esperienze prenatali.  Dopo Hon, Niki continua a lavorare attorno a  figure femminili gigantesche, chiamate Nanas. Al centro del suo lavoro rimane sempre il mito del corpo femminile come luogo di mistero insondabile.

Niki de St Phalle, Hon, 1963
Niki de St Phalle, Hon, 1963

La terza artista invece è una figura a noi contemporanea. Una donna meravigliosa, piccola piccola, che vive nei dintorni di Firenze, a Pontassieve, e si chiama Sandra Tomboloni. Parlando di Sandra si deve parlare delle sue mani sempre in movimento e intente nel lavoro. Lei stessa dice: “la mia vita è come un’aereo che non decolla mai. ho paura della vita. Io ho bisogno di lavorare, il lavoro nasce per me da una necessità, quella di esserci; il mio lavoro è il mio vestito”.

Sandra riveste col pongo tanti oggetti di recupero,  lavora la creta e ricama. Il suo lavoro è come un lievito che riempie il vuoto; è la forma dei suoi pensieri e della sua fragilità. Le sue sono opere con “la febbre”; perché raccontano un flusso di immagini continuo. Il suo è un immaginario elementare, semplice; è un groviglio di colore e materia, quasi un mondo inventato che copre e riveste la realtà.

Sandra Tomboloni, prato, 2010
Sandra Tomboloni, prato, 2010

Con queste tre artiste abbiamo attraversato un secolo che ha inizialmente visto le donne escluse persino dai salotti artistici, per non parlare dall’arte stessa , per poi cominciare a lottare e riuscire ad affermarsi a pieno titolo nella storia dell’arte moderna.

Gli auguri più belli

Qui di seguito, gli auguri più belli che abbiamo ricevuto per queste feste.

Un omaggio, visibile dal cielo, a tutte le donne. Ad Amsterdam un piccolo esempio di Land Art, per guardare a Sud

 

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La commissione è arrivata da parte dell’organizzazione femminista “Mama Cash”.

Siamo ad Amsterdam, dove l’artista cubano, di stanza negli Stati Uniti, Jorge  Rodriguez- Gerada, ha creato un’opera su un’area di terreno vasta come due campi da calcio.

Invitato dall’associazione, in occasione della campagna “vrouwen vogelvrije”, incentrata sulla difesa delle donne che a loro volta difendono i diritti umani, l’opera raffigura il ritratto di una donna anonima mesoamericana in onore delle attiviste e come simbolo di protesta contro la persecuzione che avviene quotidianamente nella regione che comprende la metà meridionale del Messico, i territori di Guatemala, El Salvador e Belize, la parte occidentale dell’Honduras, Nicaragua e Costa Rica. Il “pezzo” è stato realizzato rimuovendo neve e terreno da una piccola isoletta, in un’area ex industriale, nella baia di Amsterdam, con l’aiuto di 80 volontari.

Un opera forte di  contenuto sociale e poetico, lontano dalla contestazione più serrata. Quello che ora bisognerà verificare è la sua durata di fronte agli eventi dell’inverno, e la possibilità di essere ammirato anche dal vivo, e non soltanto in tour virtuali resi possibili da Google Earth.

Questo articolo era già stato pubblicato il 23 dicembre

I musei si espandono: il nuovo Louvre a Lens

E così i musei si sdoppiano, aprono succursali. E più sono ospitali e più vengono visitati diventando luoghi dove trascorrere il proprio tempo e divertirsi. La prima succursale se la è inventata la Solom R. Guggenheim Foundation quando nel 1997 aprì a Bilbao lo spettacolare museo di Frank Gehry: ricordate il clamore e il successo che ne seguì? Ebbene il Guggenheim ha poi ha continuato la sua espansione e, sempre nel 1997, ha aperto un’ altra sede a Berlino. Prossimamente ne aprirà una ad Abu Dhabi, mentre la sede di Venezia merita considerazioni diverse perché è stata, più che una nuova sede, l’assorbimento di un museo che doveva rimanere veneziano e italiano.
Frank Gehry, Museo Guggenheim, Bilbao
In genere sono musei nuovi realizzati da architetti importanti come nel caso del nuovo Centro Pompidou, sorto a Metz, nel 2010, per opera dell’architetto giapponese Shigeru Ban. Il Centro ospita mostre con opere prese in prestito dalle collezioni del Museo d’arte moderna di Parigi.

È di questi giorni la notizia di una nuova sede distaccata aperta da un grande museo. Ancora una volta in Francia, questa volta ad opera del Louvre. Infatti, dal 12 dicembre, sarà possibile visitare una sua succursale nella città di Lens, nella Francia del nord. Il Museo è stato costruito dagli architetti giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, che lavorano assieme sotto il nome di SANAA.
Louvre, Lens
Si tratta di una realizzazione enorme: più strutture espositive, la principale delle quali è un hangar lungo 120 metri, realizzato in alluminio e vetro, di grande eleganza e armonia. E’ stato chiamata la Galleria del tempo perché strutturata lungo una linea temporale (una time line) che si dipana all’interno di essa, accompagnando il visitatore dall’antichità sino al secolo appena trascorso. Conserva opere provenienti per la maggior parte dal Louvre (il diciannovesimo secolo è rappresentato da quelle del Museo d’Orsay, naturalmente) che vi rimarranno per cinque anni. Vi è poi uno spazio a pareti mobili per esposizioni temporanee e vi è anche uno spazio (una specie di grande scatola in vetro) pensato per esposizioni di storia e cultura locale. La luce naturale prevale e la struttura può regolarne la quantità in entrata.
Tutta questo fermento ci fa venire la voglia di mettersi in viaggio. Ma, al contempo, ci assale il dispiacere che l’Italia non partecipi a queste rivoluzioni culturali; anzi spesso si lascia scappare anche ciò che di grande ha nel suo territorio.

Una risata folle può inquietare

Yue MinJun, Senza titolo, 1994
Yue MinJun, Senza titolo, 1994

Se andate a Parigi per le vacanze o siete italianintransito che vivono là vi vorrei segnalare una mostra che si è aperta il 14 novembre e resterà aperta fino al 14 marzo presso la Fondazione Cartier (261,boulevard Raspail F-75014) dedicata ad un pittore cinese contemporaneo Yue Minjun.

Le sue opere pittoriche sono molto inquietanti e strane, la mostra si intitola Yue Minjun . L’ombre du fou rire (l’ombra del ridere folle), egli propone nelle sue tele il suo ritratto mentre ride con una grande bocca aperta.  Francois Juillien nel catalogo della mostra ha scritto “ Questo suo ridere stereotipato serve come schermo , è un muro , che impedisce di penetrare nell’interiorità della persona e blocca tutta la sensibilità”. La risata è la chiave dei suoi dipinti, la sua faccia ride ed è come se avesse la figura dipinta vestisse una maschera, guardandola lo spettatore rimane come ghiacciato.

L’artista nato nel 1962 a Daqing, nella provncia del Hei Long Jang in Cina ha debuttato come artista negli anni Novanta a Pechino. La risata fin dal principio è stata per lui un’arma di denuncia ed è stata associata al movimento chiamato del realismo cinico. Guardando il suo volto nei quadri sembra come se la sua faccia avesse un grande forno, la sua bocca,con i contorni rosa , le labbra, una collana bianca, i denti e un grande nero nel centro nel quale potremmo essere mangiati come nelle fiabe dell’orco. La sua viisione pessimistica e sarcastica sui fatti del mondo sembrano dirci che è meglio ridere che piangere.

Le sue risate non alleggeriscono lo spettatore ma anzi lo inquietano e lo sconvolgono  come nel caso della pittura ad olio del 1995 intiolata L’Esecuzione ispirata alla repressione del movimento democratico di Piazza Tienamen nel 1989.

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Chi volesse saperne di più può consultare www.fondation.cartier.com

Smart store, Paris…

Qualche tempo fa abbiamo parlato della Gratiferia, il mercatino in cui tutto è gratis… Oggi vi vogliamo raccontare di un singolare negozio che ha aperto i battenti da qualche tempo a Parigi… e sta ottenendo un discreto, quanto inaspettato successo.

È una boutique interamente dedicata alla “scoperta” (come recita il sito). Ma che significa? Molto semplice, per dieci euro all’anno (tanto costa l’associazione) ci si reca per “testare” gratuitamente prodotti innovativi di brand semi o del tutto sconosciuti e originali, di cui ogni settimana si potranno anche portare a casa cinque campioni omaggio. Alcuni prodotti sono da testare sul posto e su questi non ci sono limiti (se non di decenza…) all’assaggio!

Unico obbligo da rispettare è quello di commentare almeno uno dei prodotti omaggio della settimana e rispondere alle domande che vi verranno poste on line.

Qui oltre ad assaggiare bevande, prodotti di bellezza e snack potrete acquistare a prezzi decisamente bassi abbigliamento di nuovi stilisti, opere d’arte, musica. Pezzi rari a volte unici e insoliti!

L’idea ci è sembrata geniale, un altro modo per ripensare gli spazi espositivi, per dare visibilità a prodotti che non avrebbero altro mercato e chissà un modo per nuovi artisti di farsi conoscere e apprezzare battendo vie insolite…

Chiacchiere del lunedì

Quattro chiacchiere su To Rome with love l’ultimo film di Woody Allen, visto e commentato fra di noi per voi.

To Rome with Love è l’ultimo film di Woody Allen, girato a Roma, con la maggior parte degli interpreti italiani. Dopo i film ripresi in Gran Bretagna, Spagna e soprattutto dopo il delizioso Midnight in Paris, il regista ci riprova stavolta in Italia, suscitando pareri contrastanti come quelli che leggerete nelle nostre chiacchiere qui di seguito. Fateci conoscere la vostra opinione…

-Caro Woody, non basta mettere “Volare” come colonna sonora per ricreare atmosfere italiane.

-E’ vero ma non siamo ipocriti quella musica ci rappresenta all’estero tutti la conoscono.

-Mi sembra che, alla fine, Roma sia la grande assente (Parigi, Barcellona, ma anche Londra facevano più parte del tessuto dei suoi film)

-Non sono d’accordo le riprese sono molto belle, si intuisce l’amore di Allen per l’Italia.

-I personaggi sono senza spessore, i grossi calibri spiccano su tutti e le storie sono inconsistenti.

-D’accordo per lo spessore dei personaggi, eppure la storia centra alcune debolezze tutte nostre: prendi il cantante sotto la doccia ha una bellissima voce ma non crede in se stesso. Mi sembra la storia dell’Italia: ha grande potenzialità ma non ci crede e non si impegna veramente.

Sappiamo che Woody Allen è affascinato dai film di alcuni grandi registi italiani, De Sica, Fellini, Antonioni, ai quale rimanda con citazioni varie in molte delle sue passate pellicole. Mi sembra che qui abbia voluto citare in qualche modo i grandi maestri, ma l’operazione non gli è riuscita affatto. Anzi è rimasto legato piuttosto agli stereotipi dei personaggi della commedia all’italiana invece di elevare personaggi e storie a livelli più alti. Mi ha delusa!

– Penso che  nel caso di Midnight in Paris Allen abbia sentito la cultura francese più vicina a sè (fine 800 primi 900 scrittori, avanguardie…) mentre per la cultura italiana è più lontana dal suo sentire e allora i riferimenti sono stati cercati nel cinema (Fellini) e poi gli stereotipi (il sesso, pensa agli scandali di questi ultimi anni…, l’importanza della “famiglia”, del cibo). Ci salva solo un fatto, la coppia impersonata dal regista e dalla psichiatra, “gli americani”, alla fine risultano più nevrotici di noi, infatti mentre il baritono torna a cantare in doccia sereno, Allen rimane schizzato.

Insomma, il film ve lo consigliamo, si passano un paio di ore divertenti, forse non è un capolavoro, ma o zampino dell’Allen migliore si intuisce e si apprezza!