Django: il jazz zigano

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Ritmi concitati come quelli del respiro di chi un atleta che corre i cento metri. E’ il jazz manouche: il jazz solo di strumenti a corda, invitato in Francia dal chitarrista  Django Reinhardt e dal violinista Stephane Grappelli. Un amico jazzista lo definiva “la musica bella”: e aveva ragione. Negli anni ‘30 a Parigi il loro quintetto spopolava al Hot Club de France, primo club per la musica jazz della ville lumiere. I francesi hanno sempre amato il jazz: a Parigi venivano i grandi e cosi’ Django, di origini Sinti, con una menomazione alla mano derivante da un incidente avuto in gioventù, poté suonare coi grandi del jazz americano, in primis il mitico Coleman Hawkins, sassofono tenore dalla compressione dal soffio miracolosi. Django suonava la chitarra con uno stile tutto suo, e il quintetto di chitarre e violino aveva un ritmo (la pompe, lo chiamano loro) che faceva volare i suoi assoli, con quelli dell’amico Grappelli. Dopo la guerra andò in tournée in America per suonare con Ellington e Goodmann. Si esibì anche alla mitica Carnegie Hall (che è sempre bella da morire, lassu’ vicino a Central Park, sulla settima) riscuotendo un’ovazione e venendo richiamato in scena per ben sei volte.053359.jpg-c_215_290_x-f_jpg-q_x-xxyxx

Adesso al cinema c’è un bel film Django diretto da Etienne Comar che parla dei difficili momenti attraversati durante la guerra, quando, rimasto nella Francia occupata, cerco’ di passare in Svizzera ritrovandosi spiaggiato da queste parti, a Thonon, ove entro’ in contatto con una parte della sua larga famiglia Sinti. Fu testimone degli orrori nazisti contro la sua gente: vi scampò per miracolo. Quei delinquenti assassini dei nazisti non volevano ritmi sincopati (musica degenerata, dicevano quei criminali) e un loro ufficiale gli chiese: “Conosce la musica melodica tedesca?” Lui rispose: “No, ma lei conosce di sicuro me”.  Django Reinhardt, la più’ originale chitarra jazz di ogni tempo, compose un concerto in memoria dei sinti e di tutti gli uomini, di tutte le donne e dei bambini nomadi uccisi nei campi di sterminio nazisti. Ne abbiamo solo alcune parti, oggi, ma ne possiamo ascoltare alcuni brani nel finale del film: e ne vale la pena.

La furia distruttrice dell’ideologia

isis-artePochi giorni fa parlando dello scandalo nell’arte abbiamo fatto riferimento agli episodi del museo di Mosul e alla distruzione di opere d’arte millenarie, perpetrata da chi erroneamente crede di poter cancellare il passato, avvertito come una minaccia e non come un’eredità da difendere.

Alle Nazioni Unite sono stati segnalati 290 siti che hanno subito devastazioni: 24 irrimediabilmente distrutti, 189 gravemente danneggiati, 77, a tutt’oggi irraggiungibili, da verificare.

Ninive, Hatra, Nimrud i siti archeologici della “mezza luna fertile” dove tutto è nato (scrittura, arte, storia) che in tanti di noi suscitano ricordi scolastici, sono state spazzate via dalla furia iconoclasta che caratterizza purtroppo i momenti bui della storia. Se infatti facciamo una lista parallela dei fatti storici e delle distruzioni dell’arte capiamo che questa è pratica ricorrente. Ai tempi dei romani c’era ad esempio la damnatio memoriae a causa della quale tutte le effigi e i simboli che potevano ricordare un personaggio pubblico caduto in disgrazia erano cancellati, l’iconoclastia bizantina fu alimentata dal desiderio dell’impero di oriente di  riportare sotto il proprio controllo i vasti possedimenti del clero bizantino, i roghi dei libri dell’epoca nazista avevano un senso dettato dalla propaganda che impediva la lettura di autori che si opponevano in qualche misura all’ordine stabilito, così come durante la rivoluzione culturale cinese furono distrutte opere storiche e religiose.

La storia è dunque piena di episodi del genere. Certo giunti nel XXI secolo avremmo desiderato non vedere mai più tali scempi. Avremmo preferito che il martello pneumatico venisse usato per costruire strade e ponti e non per cancellare vestigia che, sebbene appartengano ad un passato reputato scomodo o inutile, fanno pur sempre parte della storia dell’evoluzione umana.

La mappa della “storia distrutta” si allunga e gli studiosi assistono impotenti dall’alto, attraverso il monitoraggio dai satelliti, a questa ultima sistematica violazione.

Ora, ci si può chiedere se accanto alle ragioni puramente dottrinarie di questa devastazione esistono altri significati reconditi. Alcuni hanno affermato che in tal modo si allontana l’accusa diffamatoria di ottenere finanziamenti del terrorismo attraverso la vendita al mercato nero delle opere d’arte. Ma basta ciò a giustificare tale scempio?

Intanto tutto il mondo assiste impotente augurandosi giorno dopo giorno che la follia finisca e ritornino i giorni del dialogo.

Guardie e ladri della storia dell’arte

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Rodolfo Siviero con l’Apollo di Pompei del Museo Archeologico di Napoli recuperato, 1947

Monument Men il film diretto da George Clooney che racconta la storia di un gruppo di studiosi americani che durante la seconda guerra mondiale vengono arruolati nell’esercito per ritrovare le opere trafugate da Hitler in Europa, mi ha fatto tornare alla mente un museo che ho visitato un po’ di anni fa  a Firenze e che non è molto conosciuto dai turisti. Il museo è la casa del signor Rodolfo Siviero, che visse nel secolo scorso e senz’altro rimane uno dei nostri più preziosi monumet men italiani, dal momento che dedicò la propria vita a  recuperare opere d’arte trafugate dal nostro paese durante la seconda guerra mondiale.

Siviero aveva studiato storia dell’arte  all’Università di Firenze  e nel 1937, grazie alla copertura fornita da una borsa di studio si trasferì a Berlino in veste di studioso ma anche di agente segreto. Il suo scopo era  seguire i movimenti della Germania nazista. Dopo l’8 settembre 1943, collaborò con i servizi segreti degli alleati, creando un servizio di informazioni e di ricerca volto a scovare e riportare in Italia ciò che il fascismo aveva ceduto ai tedeschi. Nel 1945 venne indicato da Benedetto Croce come persona adatta al recupero delle opere d’arte e, un anno dopo, nominato Ministro Plenipotenziario e Capo dell’ufficio recupero delle opere d’arte. Una missione che fu resa ancora più difficile e complessa per tutti gli aspetti burocratici che si frapposero alla restituzione dei nostri beni .

Chi volesse seguire la storia che copre l’operato di Siviero dal 1943 fino al 1963 può leggere il suo libro  intitolato L’arte e il nazismo. Vi si ritrova molto materiale documentario legato al suo incredibile lavoro. Da questa testimonianza si evince come purtroppo Goering e i gerarchi nazisti poterono, fin dal 1937, mettere le mani sul patrimonio artistico italiano grazie al beneplacito di Mussolini “quasi si fosse trattato di oggetti di proprietà personale del Duce o di Ciano, si donavano o si lasciavano comprare e portar via quadri e marmi celebri, inseriti in tutti i cataloghi, gemme famose di musei e di collezioni notissimi.”

Tra le opere più famose che Siviero salvò dalle grinfie di Goering, vi fu anche un’Annunciazione del Beato angelico, da lui nascosta il giorno prima dell’arrivo dei tedeschi oggi conservata nella Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno.

Difendere il nostro patrimonio artistico, inteso come testimonianza della nostra civiltà e del nostro vivere civile, fu la missione di Siviero e chi volesse visitare il museo può trovare tutte le informazioni su www.museocasasiviero.it

Il mistero delle opere del signor Gurlitt

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Il 28 febbraio del 2012 si scopre a Monaco un tesoro composto da 1285 opere di grandi artisti delle avanguardie novecentesche, come Picasso, Chagall, Liebermannn. Sono in casa del signor Gurlitt che li ha ricevuti dal padre, commerciante di oggetti d’arte, tale Hildebrand Gurlitt: tra i pochi, durante il nazismo ad avere accesso a quella che Hitler e il suo regime consideravano arte degenerata. Solo 121 tele erano erano state incorniciate. La Germania trova questo tesoro ma non ne fa parola con nessuno fino a qualche giorno fa, quando il giornale  Focus ne dà notizia. Solo allora la procura di Augusta la conferma. Si apre il caso. Il signor Gurlitt è stato scoperto in possesso di questi quadri a causa di un reato fiscale contestatogli dalle autorità tedesche.

Si sono aperte le ipotesi più diverse. In verità sappiamo ben poco di questo corpus di opere. Ma qualcosa comunque lo possiamo dire: ad esempio, che una tela di Matisse apparteneva al nonno di Anne Sinclair, la celebre giornalista francese. Suo nonno l’aveva in casa quando dovette lasciare la Francia, perché ebreo, al momento dell’invasione nazista. Ho letto che la sua abitazione venne saccheggiata dalle truppe tedesche e che le opere da lui raccolte (era un mercante d’arte, amico di Matisse e di altri grandi pittori) sparirono. C’è una foto che lo ritrae a casa sua, prima dell’invasione, davanti proprio alla tela di Matisse ritrovata a casa Gurlitt.

Come sarà venuto in possesso delle opere il signor Gurlitt padre? Certo non si tratta del “tesoro di Hitler” come qualcuno ha ventilato: Hitler, pittore figurativo fallito e divenuto imbianchino, odiava l’arte delle avanguardie perché non la capiva e perché, magari, gli faceva pure paura: come si fa a organizzare uno stato totalitario, quando c’è ancora in giro una forma d’arte che è un continuo grido contro il conformismo?

E allora quei quadri a chi appartenevano? Alcuni dicono che Gurlitt li ha acquistati dopo la celebre esposizione di “arte degenerata” organizzata dai nazisti nel 1937, proprio per screditare agli occhi del pubblico la parte migliore della produzione artistica dei primi decenni del novecento.

Balle: se così fosse, come si spiega la presenza tra quelle opere di quella rubata al nonno di Anne Sinclair nel 1940, al momento dell’occupazione della Francia?

Per ora non si sa niente sull’acquisizione di queste opere, tranne una cosa:  v’è fortissima probabilità che siano il frutto di appropriazioni indebite, di veri e propri furti perpetrati a danno di chi allora si trovava a fuggire, incalzato da uno dei momenti più bui della storia europea.

Magari erano state tutte raccolte da un gerarca nazista – qualcuno tipo Hermann Goering – che ostentava obbedienza a Hitler e ai suoi criminali dettami, ma che in cuor suo conosceva il valore di quelle opere. E magari quel gerarca le aveva nascoste proprio grazie alla complicità di un mercante come Gurlitt che poi, a guerra finita, con il proprietario (illegittimo) in fuga o davanti al tribunale di Norimberga, si è appropriato di tutto.

L’esercito tedesco, durante la guerra, era una macchina perfettamente strutturata e organizzata. Se rubava opere d’arte, sicuramente lo faceva con alle spalle una rete che sapeva smistare la refurtiva verso qualcuno. Non v’era tanto spazio per l’iniziativa individuale. Tant’è vero che molte prove sui crimini commessi dalle forze militari e paramilitari tedesche, sono state trovate proprio grazie a questa mania di classificare e organizzare tutto. Magari Gurlitt padre era il terminale di questa rete per conto di uno o più gerarchi.

Speriamo solamente che adesso, con decenni di ritardo,sia possibile compiere un atto di giustizia e restituire tutto questo agli eredi dei legittimi proprietari.

Suona incredibile che ancora ci sia qualcuno che glorifica i crimini del nazifascismo. Ma dove vive questa gente?

Chiacchiere del lunedì

Prova mafalde

Corrado Levi, La panchina rosa triangolare, Torino
Corrado Levi, La panchina rosa triangolare, Torino

Mi piace pensare che nel calendario il 27 gennaio sia in Europa la giornata alla memoria delle vittime del nazismo. Questo perché mi ha dato lo spunto per parlarne in famiglia, in modo particolare con la figlia più giovane che da pochi giorni ha visitato con la scuola il Museo di Anna Frank ad Amsterdam, dove, come lo stesso  direttore ha affermato, ogni giorno è la giornata della memoria.

Il 27 di gennaio è la data in cui furono abbattuti i cancelli di Auschwitz e la Repubblica Italiana con la legge 211 del 20 luglio 2000, ha istituito il “Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. 

Una falsa scienza è stata il perno su cui si è basato lo sterminio di tante persone: esistono uomini che da un punto di vista genetico sono sbagliati, diversi da noi e dunque occorre sopprimerli. Una falsa biologia che è penetrata così a fondo nella mente delle persone, che hanno finito per crederci veramente. Oggi fa paura pensare che si possa aderire in tanti piegandosi ad una tale falsità. Come si può essere distorti ? Dove affonda questo orrore? Le sue radici oggi sopravvivono in chi non si vergogna di diffondere e alimentare il negazionismo, ma anche in chi in modo più sottile ritiene ineluttabile che al mondo i forti debbano sempre vincere sui più deboli.

Chi arrivò per primo in quei campi dell’orrore non ha potuto più dimenticare. Gli alleati furono incoraggiati dai loro stessi comandi a documentare con fotografie e riprese filmate ciò a cui assistevano… per non dimenticare. Gli scampati hanno conservato la memoria di ciò che accadde. Una follia collettiva che contagiò mezza Europa. Come poter pensare che tutto ciò non sia avvenuto? Eppure una certa storiografia nega che tali orrori siano mai successi. A volte rimuovere fa meno male che affacciarsi a baratro dell’orrore.

Così ben vengano i memoriali, i monumenti e le occasioni per ricordare. Vorrei segnalare l’installazione inaugurata l’anno scorso a Berlino dall’artista israeliano Dani Karavan in memoria dei Sinti e dei Rom d’Europa sterminati sotto il regime Nazional Socialista e a Torino la panchina inaugurata ieri dell’artista italiano Corrado Levi dedicata alle vittime omosessuali.

Quando una storia viene raccontata, anche attraverso l’arte, non la si può più dimenticare

Dani Karavan, Memoriale ai Sinti e ai Rom, Berlino
Dani Karavan, Memoriale ai Sinti e ai Rom, Berlino

È bene che l’arte venga in aiuto alla memoria è bene che occupi lo spazio delle nostre città e in modo libero racconti la storia alle generazioni future.

Il ragazzo con il panciotto rosso

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Il ragazzo con il panciotto rosso di Paul Cézanne è tornata da pochi giorni in Svizzera. L’opera, rubata quattro anni fa a Zurigo, è stata ritrovata in Serbia. Non si sa molto del suo ritrovamento: le autorità non hanno voluto spiegare dove e come ciò sia avvenuto.  Il dipinto fa parte di un gruppo di quattro tele che vennero rubate alla Fondazione Emil G.Bührle di Zurigo il 10 febbraio 2008: oltre alla tela di Cézanne sparirono Il  Campo di papaveri a Vétheuil, di Monet, Il Ramo di castagno di Van Gogh e  Ludovic Lepic e le sue figlie, di Degas. Le prime due vennero ritrovate dopo un settimana abbandonate dentro ad una macchina vicino alla fondazione,  mentre l’opera  di Degas  non è ancora riemersa.

Ogni ritrovamento di opere d’arte fornisce motivo di festeggiare a tutti.

Tra i furti del secolo scorso più noti rimane quello della GiocondaQuando la mattina del 23 agosto dl 1911 Vincenzo Peruggia, pittore e decoratore italiano, portò via la Gioconda levandola dalla cornice  e nascondendola sotto il cappotto, tutto il mondo ne fu scioccato. La faccenda venne seguita da tutti i giornali e la notizia del furto dilagò. L’opera rimase nascosta per più di un anno. Se ne ebbe notizia solo grazie a una lettera inviata a un antiquario fiorentino. Nella lettera il ladro si diceva disposto a renderla all’Italia in cambio di cinquecentomila lire, pretese come rimborso spese. Sostenuto dal conservatore fiorentino degli Uffizi, l’antiquario in questione si dichiarò interessato all’offerta, così Pontiggia prese il treno da Parigi e portò l’opera a Firenze. Gallerista e conservatore, dopo aver appurato che l’opera era l’originale,  chiamarono la polizia e fecero arrestare il ladro. Il governo italiano poi rispedì la Gioconda al Louvre.

Un’altra opera, che ha visto ben due furti nell’arco di dieci anni, è l’Urlo di Munch, che si trova a Oslo; l’opera infatti è stata rubata prima per tre mesi nel 1994 poi ancora una volta nel 2004.

L’Italia che di ruberie e sottrazioni illecite, anche con opere spedite all’estero, ne ha viste molte ha  redatto una Banca dati dei Beni Culturali illecitamente sottratti, per orientare e facilitare le indagini delle autorità.

Fa onore al nostro paese la figura di Rodolfo Siviero, che visse a Firenze e fece dell’inseguimento e del recupero delle opere d’arte italiane rubate dai nazisti durante il Secondo Conflitto Mondiale la ragione principale della sua esistenza. Era quasi un agente segreto e tutta la sua opera si concentrò prima nel contrastare ed impedire la cessione delle opere e poi nel recuperare ciò che era sparito in mani naziste. Il museo in quel caso più colpito fu quello degli Uffizi che fu praticamente svuotato. Tra le opere più importanti salavate si ricorda l’Annunciazione del Beato Angelico, il dipinto si trovava nel convento francescano di Montecarlo presso San Giovanni Valdarno. Siviero saputo in anticipo che i tedeschi avevano deciso di prendere l’opera, la portò via e la fece nascondere prima dell’arrivo dei militari.

Oggi la sua casa è diventata un Museo, si trova sui Lungarni di Firenze e conserva la sua collezione. L’opera di Siviero rimane di esempio per  quella parte di Italia che ha a cuore il proprio patrimonio culturale.