La leggenda della papessa Giovanna

Francesco I è salito al soglio pontificio. E ne siamo felici, ancora non lo conosciamo bene, ma i suoi primi gesti ci sono piaciuti tanto. È finito con la sua elezione il circo mediatico che si era creato attorno alle dimissioni di papa Ratzinger e al conclave e al toto cardinale. Ma non ho intenzione di parlare di Francesco I, ci sarà il tempo per farlo.

Papessa Giovanna

Fra i tanti articoli dedicati al conclave mi è capitato di leggere sulla CNN on line un bel pezzo sull’incredibile assenza della voce femminile nella chiesa in generale e, di conseguenza, nell’elezione papale. La speranza naturalmente è quella che finalmente la voce dei 600 milioni stimati di donne cattoliche possa finalmente essere sentita da quello che il giornalista chiamava “continuing an exclusively male club”, e intanto mi dedico a raccontare l’incredibile storia della papessa Giovanna.

Una leggenda, nata intorno al X secolo, e conservatasi nel tempo a causa di manoscritti corrotti e cronisti ignoranti, vuole che ad un certo punto della lunga storia dei papi salì al soglio pontificio una papessa nota come papessa Giovanna, collocata nella maggior parte delle liste fra Leone IV e Benedetto III.

Brevemente la storia incredibile di questa figura femminile.

Figlia di un missionario inglese, ma nata ad Ingelheim, Giovanna visse la sua infanzia e giovinezza presso il monastero di Fulda. Venne istruita dal padre nelle scienze, per le quali la giovinetta dimostrò fin da subito una grande inclinazione. Le versioni della leggenda qui si biforcano, se da una parte infatti la giovane fu spinta ad abbandonare gli abiti femminili, a vestirsi da frate e a domandare di entrare nel monastero per amore, dall’altra ella nutriva questo amore non per un essere umano quanto per le scienze e la medicina, che a Fulda erano tenute in grande considerazione.

Fatto sta che da quel momento Giovanna vestì gli abiti da frate e dopo lunghe peregrinazioni nell’intera Europa giunse finalmente a Roma. Qui si fece subito conoscere dalla cerchia dei cardinali per la sua perizia in medicina e per le lezioni che offriva, affollate dai più dotti sapienti della città. La sua fama crebbe e divenne nota come perfetto esempio di buoni costumi, di religione e di pietà. Fu questa sua notorietà che la portò al soglio pontificio sorpassando in tal modo uomini insigni per nobiltà e dottrina. Giunta al papato Giovanna amministrò la Chiesa con la stessa capacità e santità per la quale si era fatta conoscere. Ma accadde che Giovanna si innamorasse di un diacono con il quale concepì un figlio. E ciò fu l’inizio della sua fine. Tenendo nascosta la sua gravidanza fino all’ultimo momento la leggenda vuole che ella partorisse suo figlio durante una processione. Sopravvissuta al parto finì i suoi giorni in prigione.

Per secoli la leggenda della papessa Giovanni è stata latente nella storia dei papi di Roma. Come tutte le leggende fumosa e incompleta, non si comprende da cosa possa essere scaturita: errore di trascrizione di qualche amanuense, oppure proprio il contrario. Infatti in tempi turbolenti, mancando scrittori, la tradizione orale prese piede e passando di bocca in bocca le notizie assunsero altri contorni e altri significati. A questo genere di favole appartengono infatti altre leggende come quella dell’ebreo errante, dei sette dormienti o di Parigi assediata dal gigante Isauro.

La leggenda della papessa Giovanna fu ritenuta vera per 500 anni alimentata da più parti, oggi non lo è più, sebbene se ne sia ricavato un godibilissimo film.

Dunque in attesa di vedere se non una papessa almeno una donna sacerdote aspettiamo fiduciosi!

https://www.youtube.com/watch?v=UHQgTxTPjG8

Alberi

Palermo, Giardino Garibaldi
Palermo, Giardino Garibaldi

Avete mai provato una forte emozione di fronte a un grande albero?  Gli alberi mi colpiscono come i monumenti e non posso dimenticare l’emozione avuta davanti ai  cinque grandi Ficus che si trovano nel Giardino Garibaldi, a Palermo.  Hanno qualcosa di umano? Avevo un amico il cui hobby era fotografare gli  alberi dal volto umano. I legami tra l’uomo e gli alberi vengono dal passato, Ovidio, nelle Metamorfosi, ci racconta di Dafne che per scappare dalla passione di Apollo si trasformò in un albero di alloro. Gli alberi sono anche al centro di rituali magici come in India dove le donne depositano pietre ai piedi dei banyan,  in segno di felicità e fecondità. Mentre i cinesi o i giapponesi con i bonsai sono riusciti, attraverso un lavoro paziente, a creare degli alberi in miniatura rispettandone l’equilibrio vegetale.

Antonio del Pollaiolo, Apollo e Dafne,
Antonio del Pollaiolo, Apollo e Dafne, 1470-1480, National Gallery, Londra

Se gli alberi sono belli come monumenti cosa aspettano gli artisti a impegnarsi per salvaguardare loro e il loro habitat? Sembrerebbe che qualcosa si stia movendo e così a Brighton, nel sud dell’Inghilterra è nata da poco una galleria d’arte – la Galeria ONCA – dedicata all’arte e alla natura.

ONCA Galery, Brighton
Galleria ONCA , Brighton

Qui infatti la storica dell’arte Laura Coleman ha aperto uno spazio dove gli artisti sono invitati a raccontare delle storie di natura e di salvaguardia dell’ambiente. In seguito ad una esperienza in Bolivia nella foresta, al suo rientro si è decisa a trovare un modo per mettere in contatto le persone con la natura. Questo è solo un esempio perché sembra che anche altri artisti si stanno muovendo in questa direzione e in alcuni casi come l’artista David Buckland nel 2002 ha creato un gruppo Cape Farewall composto di artisti e scienziati e volontari per creare delle opere d’arte inedite che raccontino dei cambiamenti climatici lo possono testimoniare e raccontare attraverso l’arte.

Davide Buckland
Davide Buckland

Arte e scienza insieme lavorano assieme allo stesso scopo.

Qualcosa sta cambiando l’arte sente il bisogno di aiutare la scienza e quest’ultima non le chiude le porte e così qualcosa potrebbe davvero cambiare. I maggiori progressi elle storia sono avvenuti nell’incontro di questi due campi.

Alta moda a Parigi

Catalogo della mostraSiete pazzi dell’alta moda? Fareste di tutto per indossare un “Balenciaga” e vi commuovete davanti a uno “Chanel”? A Parigi allora c’è la mostra che fa per voi! L’Hotel de Ville di Parigi infatti celebra la “Haute Couture” attraverso un’esposizione che dà la possibilità di ammirare modelli di eccezione. Con la collaborazione del Museo Galliera, il Museo della Moda della città di Parigi, e con il patrocinio della Swarovski, l’esposizione, che non poteva chiamarsi altro che «Paris Haute Couture», presenta modelli originali e spesso mai svelati delle maggiori “maisons de couture” parigine, accompagnati da disegni, fotografie, riviste d’epoca e documenti: Worth, Doucet, Poiret, Lanvin, Vionnet, Patou, Chanel, Molyneux, Rochas, Maggy Rouff, Jacques Heim, Nina Ricci, Schiaparelli, Jacques Fath, Balenciaga, Grès, Balmain, Carven, Christian Dior, Givenchy, Cardin, Yves Saint Laurent, Courrèges, Jean Paul Gaultier, Lacroix, Alaïa Elles, tutti sono rappresentati con almeno un modello.

Il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoë, nel messaggio di inaugurazione della Mostra, ha spiegato come la moda a Parigi faccia parte del patrimonio culturale e artistico della città. E qui infatti che all’inizio del ‘900 un gruppo di giovani stilisti per la prima volta sdogana la moda dallo stereotipo di “frivolezza di lusso” rendendola una vera e propria arte, fatta non solo di genio isolato, ma anche da una moltitudine di coloro che chiamati “petites mains” hanno contribuito con il loro paziente lavoro alla realizzazione di modelli che sono rimasti nell’immaginario collettivo, come icone di gusto e bellezza.

Ricamatori, creatori di accessori in piume e di ventagli, tintori, tessitori, calzolai, e tanti tanti altri artigiani hanno contribuito con le loro capacità, gusto, tecniche, innovazioni al successo dell’alta moda parigina.

C’è da restare senza parole davanti a tanta bellezza!

A Parigi dal 2 marzo al 6 luglio.

Uno tsunami di denaro

forte dei marmi
forte dei marmi

La mia regione è qualcosa di fenomenale.
In questi anni di migrazioni e di cambiamenti degli assetti economici e sociali, la Toscana si e’ trasformata rapidamente e, in alcuni casi, in modo così radicale  che più di una volta è stata presa come caso di studio. Penso, ad esempio, all’immigrazione cinese a Prato: la città ospita oggi la più grande comunità d’Italia ed è stata definita “una città nella città”.

Ma, come dicevo, siamo fenomenali e così è uscito nel 2012 un libro divertente e sagace  di Fabio Genovesi dedicato a un’altro fenomeno, cioe’ “all’invasione” dei ricchi russi in Versilia e più precisamente a Forte dei Marmi. Lo scrittore è nato e vive proprio lì ( tra l’altro è autore di un altro libro assolutamente da leggere: Esche vive)  e racconta  cosa vuol dire per qualcuno della Versilia vivere tutta una vita in attesa dell’estate e dell’arrivo del turista. Nel libro se ne capiscono  le difficoltà, i paradossi e, anche se non manca un po’ di amarezza, si tratta di un lavoro spiritoso e arguto. L’abilità di Genovesi è di raccontare in modo un po’ cinico e impietoso la propria gente e di guardare con una lente di ingrandimento i costumi dei villeggianti e le influenze di questi sui locali.

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In modo particolare lo scrittore si sofferma  sull’arrivo dei nuovi turisti russi, ricchi anzi ricchissimi. “Sul forte si è abbattuto uno tsunami di denaro” scrive Genovesi. Tutto ne è stato travolto: le ville, il centro con i negozi e gli stessi fortemarmini si sono lasciati comprare. Il Forte è diventato “un paese desertificato dall’abbondanza seccato dalla prosperità”.
Leggendo questo libro mi immaginavo come si devono essere sentiti in questa parte della Svizzera, quando sono arrivati tanti ricconi e poi anche tante persone come noi, per lavorare. Anche qui in questi anni si sono cominciate a costruire molte case, il traffico è triplicato. Ogni giorno si contano a Ginevra  20 mila persone che passano la frontiera per venirci a lavorare. Sara’ mica che anche noi siamo uno Tsunami per la Svizzera?
Il libro si intitola Morte dei Marmi ed è edito da Laterza.
 

Chiacchiere del lunedì

Prova mafalde

Frida Calo
Frida Kahlo

Non vogliamo strappare lacrime facili, ma nel nulla domenicale, o meglio nell’affollamento domenicale di parole ci è saltato all’occhio un articolo del Corriere on line, Due bambini e un piccolo cuore: Vite incrociate di Cesare ed Emma di Paolo di Stefano, che non commentava politica, conclave, dibattiti, ma dava una notizia meravigliosa e tragica. Qui la vogliamo condividere perché tocca un argomento importante: la donazione di organi.

L’articolo on line riportava la notizia che grazie al cuore di un bimbo di appena quattro anni morto di encefalite, una bimba più o meno della stessa età ha ricominciato a sperare di poter sopravvivere ad una malattia cardiaca che se la stava portando lentamente via, sotto gli occhi impotenti dei genitori.

Bravi tutti in questa storia e coraggiosi e colmi di amore, chi si è fatto violenza e ha deciso di donare un piccolo cuore, chi ha atteso pregando e non perdendo la speranza che ciò potesse succedere. Un grande dolore che suscita un’immensa gioia. Non è facile commentare senza provare sgomento per i genitori che hanno perso un figlio (sopravvivere ai propri figli credo sia un’esperienza sconvolgente sotto tutti gli aspetti), ma allo stesso come non provare un’immensa gioia alla notizia di far sopravvivere un bambino?

Che decisione straziante hanno dovuto affrontare gli uni, che sollievo incredibile per gli altri.

Decisione straziante perché nei momenti che seguono la morte di un caro spesso non si ha la necessaria lucidità mentale di decidere di donare i suoi organi, legati come siamo al suo recente “esserci”, con difficoltà si prende in considerazione questa ipotesi. Tanto di cappello a questi genitori che con un gesto di amore estremo hanno deciso di far continuare a vivere un pezzetto del loro bambino nel petto di un altro essere umano. Come ci si può sdebitare per una così grande generosità?

Le donne dell’arte

Sandra Tomboloni
Sandra Tomboloni

Questo 8 marzo lo dedichiamo alle donne dell’arte.

E per tutte ne scegliamo tre, nate in tre momenti diversi del XX secolo. Indipendenti e determinate hanno contribuito ad inventare nuovi linguaggi nel campo dell’arte.

Meret Oppenheim
Meret Oppenheim

La prima è Meret Oppeheim, nata a Berlino nel 1913. Cresce tra la Germania e la Svizzera, dove muore nel 1983. Negli anni Trenta vive a Parigi dove frequenta il circolo surrealista . I suoi primi lavori sono dipinti, disegni e resoconti di sogni. Posa anche come modella per una serie di fotografie erotiche di Man Ray .

Meret Oppenheim,Le Déjeuner en fourrure,1936
Meret Oppenheim,Le Déjeuner en fourrure,1936

Parlando del suo lavoro e del suo ruolo di donna nel mondo dell’arte, occorre ricordare che fu lei a incitare  le donne”a dimostrare coi fatti di non essere più disponibili ad accettare i tabù che le hanno tenute in una condizione di asservimento per migliaia di anni. La libertà non è qualcosa che viene regalato ma qualcosa che bisogna conquistare” ( da Le donne e l’arte, Taschen 2004 pag. 151). Tra le sue produzioni più ricordate sono gli object trouvés, ovvero oggetti che, trovati e trasformati per essere estraniati dal loro contesto, perdono la loro funzione d’uso e mantengono solo il valore di simbolo. Tra questi oggetti surrealisti  Le déjeuner en fourrure del 1936 rimane il più famoso: una tazzina da caffè , con piattino e cucchiaio rivestiti di pelliccia.

Niki de St Phaille
Niki de St Phaille

La seconda artista è invece la francese Niki de St Phaille. Nata nel 1930 a Parigi, Niki fece parte del gruppo dei Nouveau Realistes. Ebbe un’infanzia difficile e fuggì dalla sua famiglia. Lavorò fin dai primi anni Sessanta, con opere di assemblage e  per mezzo di happening. E’ del 1966 il suo lavoro “Hon” che significa “Essa”, in svedese. L’opera fu presentata al museo Moderna Musset di Stoccolma ed è composta da  una gigantesca scultura rappresentante una donna multicolore sdraiata con le gambe aperte. I visitatori sono invitati ad entrare attraverso la sua vagina  per vivere esperienze prenatali.  Dopo Hon, Niki continua a lavorare attorno a  figure femminili gigantesche, chiamate Nanas. Al centro del suo lavoro rimane sempre il mito del corpo femminile come luogo di mistero insondabile.

Niki de St Phalle, Hon, 1963
Niki de St Phalle, Hon, 1963

La terza artista invece è una figura a noi contemporanea. Una donna meravigliosa, piccola piccola, che vive nei dintorni di Firenze, a Pontassieve, e si chiama Sandra Tomboloni. Parlando di Sandra si deve parlare delle sue mani sempre in movimento e intente nel lavoro. Lei stessa dice: “la mia vita è come un’aereo che non decolla mai. ho paura della vita. Io ho bisogno di lavorare, il lavoro nasce per me da una necessità, quella di esserci; il mio lavoro è il mio vestito”.

Sandra riveste col pongo tanti oggetti di recupero,  lavora la creta e ricama. Il suo lavoro è come un lievito che riempie il vuoto; è la forma dei suoi pensieri e della sua fragilità. Le sue sono opere con “la febbre”; perché raccontano un flusso di immagini continuo. Il suo è un immaginario elementare, semplice; è un groviglio di colore e materia, quasi un mondo inventato che copre e riveste la realtà.

Sandra Tomboloni, prato, 2010
Sandra Tomboloni, prato, 2010

Con queste tre artiste abbiamo attraversato un secolo che ha inizialmente visto le donne escluse persino dai salotti artistici, per non parlare dall’arte stessa , per poi cominciare a lottare e riuscire ad affermarsi a pieno titolo nella storia dell’arte moderna.

Cin cin!

Gillo Dorfles per la cantina San Salvatoredi PaestumTanto l’ho cercata fino a quando non l’ho trovata… la notizia bomba intendo !

E passa sotto il nome di «resveratrolo», un fenolo non flavonoide (???) che si trova nella buccia dell’acino d’uva.

Ora, perché occuparmi di questo strano elemento proprio oggi, proprio in una giornata che qui si annuncia fredda e piovosa e triste?

Ma perché il resveratrolo mi fornisce l’alibi perfetto per gustarmi a pranzo e a cena senza eccessivi sensi di colpa un bel calice di vino rosso.

Questa sostanza, come molte altre, non solo, aiuta a difendere il corpo in modo naturale dall’aggressione di batteri e funghi, ma ha anche ulteriori proprietà.

La ricerca ha infatti stabilito che alla base del cosiddetto « paradosso francese », secondo cui a fronte di un’alimentazione ricca di grassi saturi la mortalità causata da problemi cardiovascolari in Francia è stranamente bassa, si trova proprio il resveratrolo contenuto nel vino di cui i francesi fanno (come noi altri italiani) largo consumo.

Poiché questa sostanza in natura serve a difendere la pianta dalle bizzarrie del tempo, si è studiato anche il suo potenziale come « anti aging » e anti ossidante scoprendone gli effetti benefici, mentre già sono assodate le alte proprietà antinfiammatorie.

Ma l’ultima scoperta in termini di prevenzione è quella fatta da ricercatori americani che considerano il resveratrolo un ottimo rimedio contro l’abbassamento dell’udito… o meglio dell’udito dei ratti, visto che finora la sostanza è stata sperimentata solo su di loro, ma noi altri, veri o finti sordi umani, rimaniamo in attesa di una buona notizia.

Quindi brindiamo senza paura alla primavera che sta arrivando !

Io come ti vorrei?

Giacomo Manzù
Giacomo Manzù, cardinale seduto, 1954

In questo momento, cari cardinali, mentre vi apprestate a chiudervi nella cappella Sistina, per il conclave, sotto la volta di Michelangelo, penso a come vorrei fosse il nuovo Papa. Voi siete occupati, con i vostri contatti preliminari, nel definire le alleanze, nel pregare per essere pronti al compito. Io mi figuro di parlare con colui che verrà elevato al Soglio di Pietro.

Come ti  vorrei Papa che verrai? Innanzitutto spero che tu possa diventare un guida per tutti i cristiani sparsi nel mondo.  Ti immagino con un volto mite, ma con un carattere forte; vorrei che sul tuo sguardo si potesse leggere la domanda: perché avete paura?

Spero che tu possa trovare le parole giuste per chi non crede né in te né nella chiesa, in modo che tutti  possano sentire da te parole di speranza e coraggio.

Mi piacerebbe sentirti dire che tutte le differenze sono necessarie al disegno di Dio e che non c’è preclusione per nessuno dentro la Chiesa. Se non ci sappiamo mettere noi al servizio degli altri, chi lo dovrebbe fare?

Mi piacerebbe anche che tu sapessi metterti dalla parte delle persone più deboli e meno tutelate. Perché anche la crisi non è uguale per tutti .

E poi amerei che tu non avessi timore di prenderti la responsabilità di tagliare ciò che nella Chiesa proprio non funziona, a rischio di un suo indebolimento, senza aver paura di colpire chi sbaglia e scandalizzare gli ipocriti, proprio come fece Gesù nel Tempio.

Spero che tu sia abituato a rivolgerti agli europei ma anche agli africani, agli asiatici e agli americani, che tanto contribuiscono alla vita della chiesa.

Da qualche anno ormai  frequento un chiesa internazionale di lingua inglese e lì ho scoperto tanta fede. Ne ritengo un esempio l’attaccamento della comunità filippina, il loro desiderio di servizio. Ma vi ho anche scoperto i colori e la gioia della musica sacra africana, assieme al pragmatismo degli americani, che si sentono in prima fila nell’organizzare le attività parrocchiali.

Insomma, caro Papa, ti aspetto con ansia perché, se tu decidi di lottare, allora lottiamo anche noi per un mondo un po’ più giusto e meno ipocrita. La nostra chiesa così potrebbe diventare un luogo dove si annuncia la buona notizia: un luogo dove non si conoscono cinismo e indifferenza.

Drogati di… Ruzzle

RuzzleEbbene sì, anche noi ci siamo cascate!

In ansia per i figli, depresse per i risultati politici, sempre di corsa e con qualche acciacco in più cosa abbiamo pensato di fare per distrarci un po’ ?

Abbiamo scaricato sui nostri smart phone il gioco del momento: Ruzzle.

Applicazione assolutamente gratuita (con qualche spicciolo potremmo addirittura evitare la pubblicità, ma chi se ne frega !) è una specie di Scarabeo computerizzato.

Si gioca con un avversario cercando di comporre in due minuti quante più parole sono possibili con le 16 lettere che l’applicazione propone di volta in volta !

Ottimo passatempo (ti sveglia la mente), perfetto per i momenti di attesa (fuori dalla scuola, dal dentista, in areoporto). Ci si può spedire messaggi o sfidare sconosciuti quando nessun amico è in linea (se si è disposti a subire sconfitte memorabili).

Che dire ? Noi siamo sicure che presto ci saranno i campionati mondiali di Ruzzle, tutto il mondo giocherà a Ruzzle e vincerà chi ha il pollice più veloce e la mente più fredda! Ma attenzione però assieme al gioco in linea si trovano anche programmi che vi aiutano a vincere, con trucchetti subdoli, bisogna giocare pulito! è una questione di orgoglio è una sfida prima di tutto a se stessi!

Provateci, se vi piace vi passeremo i nostri nickname !

Chiacchiare del lunedì

Vanessa Beecroft, VB52, 2003
Vanessa Beecroft, VB52, 2003

Festeggiare o non festeggiare?

L’8 marzo si sta avvicinando. Sto parlando del “giorno della donna”. L’anno scorso in questa data abbiamo festeggiato postando un bell’articolo su una mostra dedicata alle “streghe”, convinte che un po’ streghe lo siamo tutte e nella speranza che la caccia alle streghe non venisse più riaperta.

A un anno da quel post se guardiamo quello che è accaduto ci viene un brivido di orrore.

Hai ragione, leggevo sul Sole 24 domenica che l’Italia è all’ottantesimo posto nel Global Gender Gap 2012 del World Economic Forum. Il GlobaleGender Gap  calcola la percentuale di diseguaglianza tra uomini e donne e il nostro paese è preceduto da Kenya , Cina e paesi come il Perù e il Botswana. La relazione prende in esame quattro aspetti la partecipazione economica e le opportunità, il grado di istruzione, il potere politico e la salute. 

La violenza sulle donne non si è placata, anzi se è possibile è aumentata (è di queste ultime ore lo scandalo delle magliette vendute su Amazon che istigano alle botte). Ma cosa dobbiamo fare per ribadire che non siamo oggetti e non apparteniamo a nessuno se non a noi stesse. Basta festeggiare una volta all’anno, magari con un’inutile zingarata di poche ore?

La vecchiaia mi ha reso acida e cinica è vero, ma credo che non basti festeggiare l’otto marzo per un solo giorno, sarebbe bello che ogni giorno fosse l’otto marzo!

Io invece  sogno sempre di poter trascorrere un 8 marzo con quelle donne fantastiche che ho avuto il piacere di conoscere e con le quali sono diventata amica, di cui ammiro un sacco di cose come ad esempio: il coraggio quasi folle di Almea di darsi agli altri senza paracadute, la saggezza imparata dalla terra di Daria, l’estrosità di Daniela, la voglia di combattere per i nostri diritti di Tiziana, il fascino di Barbara e l’arte e la creatività di Sandra sono solo esempi la lista non finirebbe più perchè a dire il vero da tutte le amiche ho imparato qualcosa e da loro ho tratto i migliori benefici. Tutte assieme siamo una forza.

Tanti auguri a noi allora e felice 8 marzo.