Chiacchiere del lunedì

Prova mafaldeEccoci alle soglie del fatidico pranzo di Natale.

Organizzato e studiato nei particolari in molti paesi, l’appuntamento acquista un carattere molto speciale, se sei una tipica famiglia italiana.  Sì, perché per me il pranzo di Natale è un po’ la faccia del nostro paese. Non so se sono di parte, ma il pranzo  di Natale (o la cena della vigilia) è uno di quegli appuntamenti dove può capitare di tutto. La tradizione  vuole tenere duro, nonostante i cambiamenti nella società;  ma se in nonni in salute cercano ancora di fare da registi della giornata, sempre più le pietanze tradizionali, come i tortellini in brodo o il bollito (almeno da noi in toscana), stridono con i gusti dei più giovani. Ma si sa, è il pranzo di Natale e allora cerchiamo tutti di rimanere dentro a ciò che si è fatto per decenni. Dopo il pranzo, c’è lo scambio dei doni e se siete come la mia famiglia  quello è il momento più confusionario del giorno: più che scambio sembra un arrembaggio, tutto si svolge in pochissimo tempo  e alla fine non si capisce chi ha donato cosa. Ogni anno ciò mi colpisce di più è il fatto che quel giorno, come per magia, siamo tutti un po’ sopra le righe e manteniamo un po’ di ansia da performance, cerchiamo di essere simpatici, forse un po’troppo simpatici,  allegri, forse un po’ troppo allegri, è così i bambini della casa, i più festeggiati ma anche i più sensibili alle emozioni, finiscono quel giorno per essere irritabili e scontrosi.

Credo che per tutti noi italiani sia la stessa cosa. Le tradizioni impongono che almeno un giorno all’anno vengano deposte le armi in famiglia… ma quanti di voi hanno l’impressione che si tratti solo di fare buon viso a cattivo gioco? Tanto che proprio durante i pranzi di Natale spesso si scatenano quei sentimenti a lungo sopiti o nascosti che portano inevitabilmente alla “tragedia” familiare, dove tutti si azzuffano con tutti. Segreti, veleni, bugie familiari si scatenano, la miccia è corta, basta una parola sbagliata, per dare fuoco alle polveri, tuttavia, nonostante tutto la famiglia rimane un rifugio. Certo i coraggiosi che restano fino al panettone si alzano da tavola con un senso di soddisfazione totale… “anche quest’anno ce l’abbiamo fatta”!  

Niente paura: l’effetto scompare quasi subito  e in men che non si dica ci ritroviamo  a pensare quanto sia importante e bello il giorno di Natale per noi, per i nonni e per i nostri figli. Però tutto cambia, la società è in grande trasformazione: pensate che riusciremo anche a sotterrare il bollito?

Natale negli States

Antica biglietto di auguri nataliti americanoNegli Stati Uniti tutto è grande gli spazi, le distanze, le città e quindi anche il pranzo di Natale non poteva che essere “great”.

Tutti i figli del Nuovo Continente sono di “importazione” (tranne i Nativi Americani che però non mi risulta festeggiassero il Natale!) dunque anche tutte le tradizioni Natalizie risultano essere l’elaborazione originale di quelle che ogni nuovo americano portava con sé da casa, dalla famiglia di origine!

E, naturalmente, anche le tradizioni importate sono diventate grandi (come impone il paese), si sono mescolate, shakerate e si sono profondamente radicate nell’animo degli americani.

La lista dei cibi tradizionali (che, attenzione però, varia da famiglia a famiglia) è interminabile e nel paese dell’abbondanza non si bada a spese per imbandire il banchetto di Natale.

I piatti principali più gettonati sono in assoluto il tacchino, il manzo e il maiale arrostiti, pasticciati, saporiti, spennellati di salsa che li rende lucidi e succulenti, insomma un cartone animato di Walt Disney. Sulle tavole delle feste così si possono trovare piatti quali il Roast Turkey Breast, l’Honeyed Ham with Pears and Cranberries, il Beef Tenderloin with Mushrooms and Thyme; contorni come le Roasted Potatoes, le Braised Apples with Saffron and Cider, il Brown-Sugar-Spiced Red Cabbage, il Leek and Gruyere Bread Pudding, iGlazed Root Vegetables, la Chicory Salad with Maple-Roasted Acorn Squash. E naturalmente i dolci di tutte le forme e dimensioni: Hazelnut-Praline Torte, Pumpkin cheese cake, White Fruit Cake, Christmas Fruitcake, Chocolate Plum Pudding Cake, Gingerbread ecc. ecc.

Il tutto abbondantemente annaffiato dalla classica bevanda delle feste americana: l’Eggnog.

Prima di darvi la ricetta del Classic Eggnog però è necessaria un po’ di storia di questo “zabaione rivisitato”, parente del Posset inglese (sì sì proprio quello che usò Lady Macbeth per metter ko le guardie del re Duncan, anche Shakespeare lo conosceva) a base di uova, latte e vino o birra e molto speziato. Sbarcato in America con i padri fondatori il posset acquistò una nuova vita con il cambio di alcuni ingredienti fondamentali e l’aggiunta del Rum. A questo punto un’ipotesi sul suo simpatico nome potrebbe essere la seguente: il rum era chiamato familiarmente “grogg”, dunque l’uovo e grogg (egg and grogg) storpiato potrebbe essere diventato eggnog. O ancora la contrazione di “egg and grog in a noggin” (uovo e rum in un boccale) potrebbe essere la soluzione. Comunque sia, rimane il fatto che l’Eggnog è buono buono e decisamente alcolico, insomma un paio di bicchieri mettono senz’altro allegria e allora ecco la ricetta direttamente da amici americani:

EGGNOG

figuriamoci se non lo avevano imbottigliato....
figuriamoci se non lo avevano imbottigliato….

per 6/8 persone

6 uova

180 gr di zucchero a velo

250 ml di rum

250 ml di brandy

un bicchierino di whiskey (blended of course)

7 dl di panna da montare

noce moscata da grattugiare

Battete i rossi delle uova con lo zucchero finché non diventeranno gonfi e bianchi, incorporate lentamente i liquori e la panna conservandone una parte. Mettete in frigo per almeno due ore. Al termine delle due ore, prima di servire, sbattete i bianchi a neve e incorporateli al composto. Prima di servire grattugiate sull’Eggnog un po’ di noce moscata e… felicità!

Oro e luce in attesa del Natale

Beato Angelico, Annunciazione, 1433-34, Museo Diocesano di Cortona
Beato Angelico, Annunciazione, 1433-34, Museo Diocesano di Cortona

Continuiamo ad immaginarci di avere tempo e denaro in questi giorni di Natale. Cosi’ andiamo a Lens e dopo aver visitato la nuova succursale del Louvre, da poco inaugurata nella cittadina francese, potremmo partire alla volta di Roma per vedere, nella Galleria Borghese, l’Annunciazione del Beato Angelico. L’opera arrivata dal Museo Diocesano di Cortona sarà visibile fino al 10 febbraio.

L’occasione della mostra è l’iniziativa L’arte della fede, ossia cinque incontri (questo è il primo) con altrettanti capolavori della storia sacra.

Sono passati molti anni da quando ero bambina e con mio padre ero solita andar per musei, ma non posso dimenticare l’effetto e la curiosità che suscitarono in me le piccole cellette del Convento di San Marco a Firenze, affrescate dal Beato Angelico qualche anno dopo aver completato l’Annunciazione di Cortona (1433-34).

Beato Angelico, monaco domenicano, ha dedicato tutta la vita a raccontare attraverso la pittura un atto astratto e poco rappresentabile fisicamente, ovvero il senso della fede e della spiritualità. Guardando l’opera che brilla di oro e lucentezza ci pare di cogliere nell’angelo e in Maria un’intimità e un accordo che fissa un patto di unione e pace per l’umanità.

Due, appunto, sono gli elementi preminenti nell’opera: l’oro che luccica e la luce che abbaglia. L’oro come astrazione dalla realtà , tipico nell’arte medievale, e la luce come diretta emanazione di Dio.

Provate ora a fare un salto e pensate all’arte contemporanea. Più precisamente a due artisti diversi,  ma con qualcosa in comune nella ricerca di una dimensione altra da quella terrena. Pensate al lavoro di Yves Klein, ai suoi monocromi come i Monogold degli anni Sessanta.

Yves Klein, Monogold
Yves Klein, Monogold

L’artista stesso ha scritto : “ho creato degli stati di pittura immateriale”. Ancora, spiegando le sue opere monorome e la scelta di usare un solo colore, ha scritto “ con il colore io provo un sentimento di assoluta identificazione con lo spazio , mi sento veramente libero”.

Un altro artista contemporaneo a cui penso guardando l’Angelico è stato Dan Flavin , l’artista minimalista americano che ha utilizzato, come materiale del suo lavoro, la luce al neon che un po’, come nel caso di Klein, diventa un monocromo. Una luce che pero’, nel suo accendersi, si espande nello spazio e avvolge lo spettatore.  Non è certo un caso se a Milano l’artista è stato invitato poco prima di morire per lasciare un opera fatta di luce nella Chiesa di Santa Maria Annunciata.

Dan Flavin, Chiesa Rossa, Milano, 1996
Dan Flavin, Chiesa Rossa, Milano, 1996

E’ come se Klein e Flavin avessero rinunciato di raccontarci il fatto dell’Annunciazione per trasportarci, uno con l’oro e l’altro con la luce, dove ci ha condotti l’Angelico con la sua magnifica opera.

E’ davvero poi così lontana l’arte contemporanea dal suo passato?

… ah! Le chocolat

Il divano di cioccolato di Prudence Staite
Il divano di cioccolato di Prudence Staite

Mentre attorno a noi si scatenano gli elementi (e non mi riferisco solo a quelli atmosferici) il mio pensiero corre a qualcosa che ci fa stare bene, che secondo molti scienziati stimola le endorfine e ci procura un immenso piacere (oltre che chili di troppo e brufoli): la cioccolata.

Secondo un recente studio, condotto, neanche a dirlo, da uno scienziato svizzero e pubblicato sul New England Journal of Medicine, la cioccolata oltre a farci stare bene stimolerebbe anche l’ingegno e faciliterebbe l’aumento dell’intelligenza. Il dottor Franz Messerli, infatti ha messo in relazione il consumo di cioccolata di un paese con la vincita di un premio Nobel. In cima alla classifica si sono posizionate, naturalmente, la Svizzera, la Svezia e la Danimarca… Nel mezzo della classifica gli Stati Uniti e la Germania e fanalini di coda la Cina e il Brasile (non sono riuscita a scoprire la posizione dell’Italia in questa classifica…).

Lo studio spiega ancora “in Svizzera si mangiano 120 tavolette di cioccolata da 85 grammi ciascuna pro capite all’anno” e questo consumo starebbe in relazione alla vincita di un Nobel. È chiaro che lo stesso Messerli riconosce l’assurdità di questa idea e si spinge a dire che anche in altre occasioni scientifiche si è giunti a risultati privi di logica sebbene tutti i dati sembravano poter dimostrare la tesi.

… E allora che significa tutto ciò?

La spiegazione è piuttosto semplice: il consumo nazionale di cioccolato è da mettere in relazione alla ricchezza e al benessere di un paese e la qualità della ricerca e la seguente maggiore possibilità di vincere un Nobel non devono essere messe in relazione con il consumo nazionale del cioccolato quanto alla ricchezza di cui il consumo stesso è la dimostrazione.

Dunque dopo aver rimescolato un po’ le carte ci rimane solo la sicurezza che purtroppo la cioccolata fa davvero ingrassare (troppi grassi e zuccheri), ma se mangiamo quella nera, la meno raffinata, i ricercatori assicurano che gli antiossidanti che contiene potrebbero sicuramente dare benefici al cervello.

Che dire? Anche questa volta ci è andata male…

I musei si espandono: il nuovo Louvre a Lens

E così i musei si sdoppiano, aprono succursali. E più sono ospitali e più vengono visitati diventando luoghi dove trascorrere il proprio tempo e divertirsi. La prima succursale se la è inventata la Solom R. Guggenheim Foundation quando nel 1997 aprì a Bilbao lo spettacolare museo di Frank Gehry: ricordate il clamore e il successo che ne seguì? Ebbene il Guggenheim ha poi ha continuato la sua espansione e, sempre nel 1997, ha aperto un’ altra sede a Berlino. Prossimamente ne aprirà una ad Abu Dhabi, mentre la sede di Venezia merita considerazioni diverse perché è stata, più che una nuova sede, l’assorbimento di un museo che doveva rimanere veneziano e italiano.
Frank Gehry, Museo Guggenheim, Bilbao
In genere sono musei nuovi realizzati da architetti importanti come nel caso del nuovo Centro Pompidou, sorto a Metz, nel 2010, per opera dell’architetto giapponese Shigeru Ban. Il Centro ospita mostre con opere prese in prestito dalle collezioni del Museo d’arte moderna di Parigi.

È di questi giorni la notizia di una nuova sede distaccata aperta da un grande museo. Ancora una volta in Francia, questa volta ad opera del Louvre. Infatti, dal 12 dicembre, sarà possibile visitare una sua succursale nella città di Lens, nella Francia del nord. Il Museo è stato costruito dagli architetti giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa, che lavorano assieme sotto il nome di SANAA.
Louvre, Lens
Si tratta di una realizzazione enorme: più strutture espositive, la principale delle quali è un hangar lungo 120 metri, realizzato in alluminio e vetro, di grande eleganza e armonia. E’ stato chiamata la Galleria del tempo perché strutturata lungo una linea temporale (una time line) che si dipana all’interno di essa, accompagnando il visitatore dall’antichità sino al secolo appena trascorso. Conserva opere provenienti per la maggior parte dal Louvre (il diciannovesimo secolo è rappresentato da quelle del Museo d’Orsay, naturalmente) che vi rimarranno per cinque anni. Vi è poi uno spazio a pareti mobili per esposizioni temporanee e vi è anche uno spazio (una specie di grande scatola in vetro) pensato per esposizioni di storia e cultura locale. La luce naturale prevale e la struttura può regolarne la quantità in entrata.
Tutta questo fermento ci fa venire la voglia di mettersi in viaggio. Ma, al contempo, ci assale il dispiacere che l’Italia non partecipi a queste rivoluzioni culturali; anzi spesso si lascia scappare anche ciò che di grande ha nel suo territorio.

Chiacchiere del lunedì

Prova mafaldeLeggevo qualche giorno fa il Fatto Quotidiano quando, a metà del giornale, mi sono trovata di fronte a una foto di Oliviero Toscani, intitolata chirurgia estetica=nuova bellezza? Nella foto si vede un gruppo di donne senza volto con  i corpi bendati come se fossero delle mummie. La composizione è bella e sapiente,  e come tutte le foto di Oliviero Toscani non mancano i riferimenti all’arte: in questo caso, a certe rappresentazioni di corpi nella pittura manieristica del Cinquecento.

foto Oliviero Toscani
foto Oliviero Toscani

La foto nasce da un progetto di Oliviero Toscani che intende raccogliere storie e immagini di donne, che sono state protagoniste o vittime  della chirurgia estetica. Dentro di me ho pensato: ne vedremo delle brutte purtroppo; sarà la raccolta di immagini di persone in fuga dal tempo e dalla storia.

In fuga dal tempo perché è sempre più difficile accettare  i segni della nostra età. Sembra che senza finzioni o travestimenti non possiamo accettare i nostri cambiamenti.
In verità  io sono convinta che ciò che si perde in bellezza il tempo ce lo restituisce in intensità. Non è la nostra pelle che dobbiamo modellare ma la nostra testa, in modo da poter curare e sviluppare i nostri sensi. Solo con questa cura le cose che ci circondano si rinnovano e continuano a donarci felicità.  Lasciamoci dunque i solchi sul viso e accettiamo di non essere più guardate o vezzeggiate; ma al tempo stesso non smettiamo mai di annusare, toccare, vedere e gustare  le cose della vita.

Tutto ció perché sei una donna saggia, che da tempo ha accettato se stessa e la propria vita. Io sono decisamente contraria alla chirurgia estetica e sono d’accordo con te nel rimarcare la necessità che il tempo lasci sui nostri corpi i segni del suo passaggio proprio perché attraverso il tempo acquistiamo l’esperienza che ci rende persone uniche. A parte le star hollywoodiane per le quali “la plastica” fa parte del gioco,tuttavia esiste un mondo di donne insicure, che non si accettano e che pensano erroneamente che la chirurgia estetica possa in qualche modo (forse malato) aiutarle ad acquistare quella sicurezza e stima di sé stesse che non hanno. I risultati sono sotto gli occhi di tutti…

Non tutto ciò che Oliviero Toscani ci ha proposto in questi anni mi ha convinto (ad esempio, un po’ di anni fa, mi irritavano non poco certe immagini drammatiche scelte per pubblicizzare maglioncini o pantaloni colorati). Ma questo momento di riflessione e di attenzione per la corsa folle alla chirurgia estetica mi sembra una buona cosa e l’ho apprezzato.

Natale in… Svezia

Antica cartolina di Natale

Con questo primo Venerdì di dicembre inauguriamo una rubrica che ci porterà fino all’anno nuovo e che ci è sembrata divertente. Vogliamo descrivere, attraverso ricette ad hoc, le tradizioni natalizie di altri paesi, magari chiedendo consiglio e aiuto a chi conosciamo.

Vogliamo iniziare con la Svezia perché da lì provengono un sacco di amici! La situazione è la seguente: noi, italiani, mediterranei, abbronzati d’estate, olivastri d’inverno, che durante le vacanze all’una del pomeriggio ci chiediamo ancora cosa cucinare; loro, biondi, eterei, slanciati, con profondi occhi azzurri, che alle otto di mattina già tornano dallo jogging…

Noi con i cappelletti in brodo, il cappone, gli struffoli e il presepe; loro con la carne di renna, le aringhe e l’immancabile albero di Natale (il Kungsgran, l’abete del Caucaso), ma tutti rigorosamente in famiglia.

Se per noi è immancabile il cenone di magro la Vigilia e il pranzo di Natale, per loro sacrosanto è  il julbord il buffet delle feste in cui le aringhe (marinate in 100 modi diversi) sono regine, ma sul quale non manca il prosciutto al forno, il gubbröra (salsa di uova e acciughe), le salsicce, i paté, innaffiati dalla birra e dall’acquavite, e naturalmente  dal glögg, il saporito vin brulé svedese, con uvette e mandorle (che squisitezza!)

Per farvi assaporare tutto il gusto delle feste svedesi abbiamo deciso di darvi la ricetta di due dolci che si gustano a Santa Lucia quando in Svezia si aprono ufficialmente i festeggiamenti del Natale: i Saffransbullar, le tipiche brioches allo zafferano e i Kanelbullar, le brioches alla cannella.

Saffransbullarsafranbullar

700 g di farina,

150 g burro,

25 g di lievito di birra,

1,5 g di zafferano,

3 dl di latte,

150 g di zucchero semolato,

uva sultanina,

un pizzico di sale

1 uovo per spennellare

In una pentola fate sciogliere il burro, il latte e aggiungete lo zafferano portando tutto all’ebollizione, togliete dal fuoco e fate raffreddare. Aggiungete tutti gli altri ingredienti (tranne uvetta e uovo che serviranno alla decorazione) e lavorate l’impasto finché non è morbido. Copritelo e fatelo lievitare un’ora al termine della quale create delle briochine a forma di s oppure di 8, spruzzatele con l’uva passa precedentemente ammorbidita in acqua calda e spennellatele con l’uovo. Vanno cotte per 10 minuti in forno a 220 gradi.

Kanelbullarkanelbullar

450 g di farina

100 g di zucchero

un quarto di litro di latte

75 g di burro

25 g di lievito fresco

1 cucchiaino di cardamomo macinato

un pizzico di sale

zucchero a granella

per la il ripieno

50 g di burro

50 g di zucchero di canna

1 cucchiaio di cannella

Sciogliete il lievito nel latte tiepido. Mescolate farina, zucchero,  cardamomo e sale, aggiungete il burro fuso e il latte col lievito e lavorate fino ad ottenere una bella pasta liscia che coprirete e farete lievitare (deve raddoppiare il volume).
Stendete la pasta a un’altezza di mezzo centimetro e spennellatela con il burro unito allo zucchero e alla cannella. Arrotolate la pasta e tagliate delle girelle di pasta alte 3 centimetri che poste sulla carta forno sulla piastra dovranno lievitare ancora per mezz’ora. Al termine mettete tutto in forno preriscaldato a 190 gradi per una ventina di minuti.

A questo punto non possiamo che augurarvi God Jul, Buon Natale

Ceremony of Carols

BrittenFra poche settimane arriverà Natale e come tutti ci stiamo preparando. Ovunque si sentono le famose canzoncine che ci accompagnano durante tutto il periodo dell’Avvento e che diventano il leitmotif di questo periodo dell’anno.

Oggi per cambiare vi offriamo l’opportunità di ascoltare qualcosa di diverso, non le solite carole di Natale, qualcosa che moltissimi non hanno mai ascoltato. Si tratta di un pezzo tratto da Ceremony of Carol, una raccolta di canti non natalizi, ma che celebrano il Natale, di Benjamin Britten, autore britannico contemporaneo, poco conosciuto in Italia.

Britten nacque nel Suffolk nel 1913  e morì ad Aldeburgh nel 1976, dopo una lunga carriera musicale che lo ha portato ad essere considerato ancora oggi una delle figure più prestigiose della musica inglese contemporanea.

Britten scrive l’opera Ceremony of Carols durante il viaggio di ritorno in nave dagli Stati Uniti, dove aveva riscosso un enorme successo, nel marzo del 1942. Il viaggio giudicato dal compositore stesso lungo e noioso è rallentato dalla presenza di U-boat e dura circa un mese. Britten avrebbe dovuto terminare un’opera che stava componendo, ma i funzionari doganali americani gli requisiscono il materiale temendo che si possa trattare di codici cifrati. Durante uno stop in Nuova Scozia, ad Halifax, Britten ha l’occasione di leggere un libro di poemi medievali che lo ispirarono per la creazione di una nuova opera. Nasce così Ceremony of Carols, oggetto quanto mai strano e originale. L’opera è composta da canti per coro di ragazzi, solisti e  arpa, elaborati a partire dai canti gregoriani. Si tratta di un’opera pensata per accompagnare un corteo regale con un inno di introduzione e un inno di chiusura della cerimonia, in cui trovano posto alcuni dei poemi medievali che Britten aveva letto, da qui la difficoltà del testo.

Fanno parte dell’opera: la Procession Hodie ChristmasWokum yoleThere is no RoseThat yonge ChildBalulalowAs dew in AprilleThis litle BabeInterlude (un pezzo per la sola arpa), In freezing winter nightSpring CarolDeo Gracias, infine la Recession Hodie Christmas.

Ognuno di questi canti è un’opera d’arte da ascoltare e ri ascoltare per poterne cogliere tutte le sfumature. Ve ne diamo un assaggio, che mostra la maestria di questo compositore particolare e molto amato in patria. E sulle note di questo canto iniziamo ad augurarvi Buon Natale

Gangnam style 2… la vendetta

Anish KapoorAnche Anish Kapoor si è messo in gioco… è sceso infatti in campo per ribadire la necessità che l’espressione artistica rimanga libera da ogni tipo di legame sia esso politico, sociale o economico. Sulla scia del filmato postato su You tube da Ai Weiwei, che ha fatto infuriare le autorità cinesi, Anish Kapoor insieme ad un nutritissimo gruppo di esponenti dell’arte e della cultura mondiale si è esibito nella stessa danza sfoggiando anch’egli una giacca rosa confetto e e occhiali da sole scuri.

Hanno aderito all’iniziativa MoMA, Guggenheim, New Museum, Brooklyn Museum e il Whitney Museum of American Art di New York; l’ Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington; il Philadelphia Museum of Art; il Museum of Contemporary Art di San Diego; personalità quali Helen Bamber; Hanif Kurieshi, artisti come Mark Wallinger, Bob e Roberta Smith e Tom Phillips, ballerini del calibro di  Tamara Rojo e Deborah Bull.

Anish Kapoor ha ricevuto il plauso di altri grandi dell’arte, prima fra tutti Marina Abramovich, la quale non estranea al gusto della provocazione, ha sostenuto la performance di Kapoor.

L’ambientazione e il balletto sono molto semplici ma ricchi di simboli e metafore a partire dalla immancabile presenza delle manette (già usate da Ai Weiwei), dalle maschere che riproducono l’artista cinese, dalle scritte sul muro alle spalle dei ballerini che riportano il nome di molti artisti che negli anni hanno subito ingiustizie ed intimidazioni (fra gli altri compare anche il nostro Saviano e le Pussy Riot) fino al gesto di contestazione tipico dei piccoli che manifestano il dissenso: battere i pugni sul muro.

Nel bel mezzo del filmato compare chiara la scritta: “End Repression, Allow Expression” che diventa la frase simbolo riassuntiva di tutta l’operazione. Che dire? Noi stiamo con lui!

Una risata folle può inquietare

Yue MinJun, Senza titolo, 1994
Yue MinJun, Senza titolo, 1994

Se andate a Parigi per le vacanze o siete italianintransito che vivono là vi vorrei segnalare una mostra che si è aperta il 14 novembre e resterà aperta fino al 14 marzo presso la Fondazione Cartier (261,boulevard Raspail F-75014) dedicata ad un pittore cinese contemporaneo Yue Minjun.

Le sue opere pittoriche sono molto inquietanti e strane, la mostra si intitola Yue Minjun . L’ombre du fou rire (l’ombra del ridere folle), egli propone nelle sue tele il suo ritratto mentre ride con una grande bocca aperta.  Francois Juillien nel catalogo della mostra ha scritto “ Questo suo ridere stereotipato serve come schermo , è un muro , che impedisce di penetrare nell’interiorità della persona e blocca tutta la sensibilità”. La risata è la chiave dei suoi dipinti, la sua faccia ride ed è come se avesse la figura dipinta vestisse una maschera, guardandola lo spettatore rimane come ghiacciato.

L’artista nato nel 1962 a Daqing, nella provncia del Hei Long Jang in Cina ha debuttato come artista negli anni Novanta a Pechino. La risata fin dal principio è stata per lui un’arma di denuncia ed è stata associata al movimento chiamato del realismo cinico. Guardando il suo volto nei quadri sembra come se la sua faccia avesse un grande forno, la sua bocca,con i contorni rosa , le labbra, una collana bianca, i denti e un grande nero nel centro nel quale potremmo essere mangiati come nelle fiabe dell’orco. La sua viisione pessimistica e sarcastica sui fatti del mondo sembrano dirci che è meglio ridere che piangere.

Le sue risate non alleggeriscono lo spettatore ma anzi lo inquietano e lo sconvolgono  come nel caso della pittura ad olio del 1995 intiolata L’Esecuzione ispirata alla repressione del movimento democratico di Piazza Tienamen nel 1989.

Execution

Chi volesse saperne di più può consultare www.fondation.cartier.com