Quelli più belli sono in Italia…

Martedì, tranne a Milano, sarà l’ultimo giorno di Carnevale. Con mercoledì delle Ceneri inizia la Quaresima che, in tempi un po’ più spirituali dei presenti, era il periodo in cui il fedele veniva invitato alla purificazione e al riavvicinamento a Cristo, attraverso la preghiera, il digiuno, la riflessione personale.

Ma tutto ciò a partire da mercoledì. Martedì sancirà la fine del lungo periodo di Carnevale e ovunque si festeggerà rispettando una tradizione che risale almeno ai tempi dei romani.

Le più belle e antiche celebrazioni del Carnevale sono italiane. Ne citeremo di seguito solo alcune, le più famose, le più sfarzose, consci che in ogni piccolo paese, in ogni borgo della nostra penisola sopravvivano tradizioni peculiari e differenti.

Il più bello e popolato è certamente il Carnevale di Venezia, che sopravvive ai tempi e si rinnova di anno in anno, poi vogliamo ricordare altri famosi come quello di Ivrea, con il lancio delle arance; di Viareggio, con la sfilata dei carri sul lungomare; di Milano con la particolarità dell'”allungamento” del periodo di 4 giorni voluto dal Santo patrono Ambrogio in epoca medievale. E ancora Acireale, Putignano, Cento, Madonna di Campiglio…

Fra i più frequentati ci piace ricordare il Carnevale di Mamoiada in Sardegna con le sue caratteristiche maschere degli Issohadores e Mamuthones, esseri mostruosi che portano sulle spalle più di trenta chili di campanacci. Quello di Fano, il Carnevale più antico d’Italia, con la tradizionale distribuzione di caramelle, cioccolata e dolcetti. Infine, meno conosciuto ma altrettanto colorato e “storico” il carnevale che si celebra in Valle d’Aosta detto della “Cumba Freida” (della valle fredda) che rievoca il passaggio dei soldati al seguito di Napoleone.

“Il Carnevale sarebbe passato lontano dalla nostra strada se non ci fossero stati ragazzi a mettersi nasi e baffi finti e maschere di cartone da pochi soldi, ad andare su e giù facendo il più possibile schiamazzo con fischi di terracotta, le trombette colorate, i pezzi di legno usati come nacchere.
La brigata infastidì parenti e amici con i suoi coriandoli e infine, salito ciascuno nelle proprie stanze, gettarono un ponte di stelle filanti da finestra a finestra, attraverso la strada.
Ma la notte piovve e il ponte crollò.
Era il mercoledì delle Ceneri.”
(Vasco Pratolini)

Ovunque voi siate vi auguriamo di festeggiare la fine del Carnevale nel migliore dei modi!

Creatum ovvero delle Arti e delle Tradizioni

CreatumQuesto il tema del Carnevale di Venezia 2016. Attraverso la celebrazione delle arti e delle tradizioni che hanno reso celebre Venezia, quest’anno il Carnevale viene festeggiato esaltando le eccellenze della città. “Calle del forno”, “ruga dei oresi”, “campiello del remer”, “fondamenta dei vetrai”, “calle dei fuseri” o la “frezzaria” sono i luoghi che raccontano la simbiosi secolare fra i veneziani e la loro città, le arti e i mestieri che vi venivano praticati trovano posto nella rievocazione carnevalesca. Calli e campi sono luoghi dedicati a spettacoli musicali e teatrali, divenendo una spettacolare vetrina della lunga tradizione della civiltà veneziana. Allestimenti e rievocazioni riproporranno, proprio nella fabbrica per eccellenza, l’Arsenale, il rapporto di Venezia con i mestieri.

Il culmine dei festeggiamenti si terrà naturalmente in Piazza San Marco trasformata per l’occasione in un vero e proprio villaggio delle meraviglie. La costruzione s’ispira ad un dipinto di Gabriele Bella che rappresenta la fiera dell’Ascensione (Festa della Sensa), quasi un prolungamento del Carnevale ai tempi del pittore, che durava 15 giorni e che trasformava la piazza in un mercato in cui venivano esposte merci rare ed esotiche richiamando migliaia di visitatori.

Per chi, come me, non ama particolarmente il Carnevale l’unico modo per godere di questo periodo particolare dell’anno è andare a Venezia, dove la macchina del Carnevale è una tradizione collaudata e mai banale realizzata e guidata da professionisti eccellenti (quest’anno la direzione artistica è stata affidata al regista Marco Maccapani e la scenografia del villaggio delle meraviglie allo scenografo Massimo Checchetto). Accanto alle manifestazioni di piazza c’è un intero programma di eventi collaterali che renderanno il soggiorno particolarmente piacevole in cui sono coinvolte le maggiori realtà culturali cittadine, dai Musei Civici al Polo Museale Statale, incluse le Fondazioni private indipendenti.

Da ultimo infine gli elementi grafici di questa edizione sono stati realizzati dall’artista Eduardo Guelfenbein che ha lavorato con la tecnica del ‘cut out’, ritagli presi dalle sue opere pittoriche recenti.

Insomma una vera e propria festa dei sensi e dello spirito.

Chiacchiere del Lunedì

chicchiere-del-lunedc3acSi è chiusa ieri la sesta edizione del Festival dei Matti a Venezia. Non stiamo scherzando… è una cosa serissima. Il tema che è stato scelto quest’anno era Politiche/Poetiche: «Le politiche, da sole, corteggiano le istituzioni e lo diventano, traducendosi in mera amministrazione dell’esistente. Le poetiche, da sole, annunciano mondi sospesi nel vuoto, confusi dal vuoto. Senza corpo e schiacciati dai corpi. Vorremmo politiche che prendano il largo dai dati di fatto, poetiche capaci di farsi mondo. Utopia della realtà… La sfida che lanciamo». L’auspicio e l’intenzione è «di restituire cittadinanza, parola, soggettività a chi continua ad esserne amputato perché dichiarato matto da qualche opinione prevalente».

Avremmo voluto esserci alla faccia di chi si proclama “normale”.

Intanto quelli “normali” hanno sbagliato le piazze dove dovevano tenere comizi, hanno dato la caccia al passaporto che raccoglie i bollini dei padiglioni dell’EXPO (ma non erano i pellegrini che si recavano a Compostella che mostravano con orgoglio la Credenziale?), morivano infilzati da un pesce spada, ottenevano gli arresti domiciliari perché “allergici alla prigione”.

Allora spiegatemi chi è quello “normale”?

Buona settimana!

Non solo Venezia

DharaviÈ universalmente noto che a Venezia si svolga dal 1948 la Biennale d’Arte probabilmente più famosa al mondo. La Biennale (basta il solo nome per definirla) deve la sua fama  alla capacità della provata macchina organizzativa, che riesce a portarvi i migliori artisti da ogni angolo del mondo, ma sicuramente a tale fama non estranea è anche la location, assolutamente da sogno, rappresentata da una delle città più belle del mondo.

Esistono però altre mostre d’arte a scadenza biennale che, non altrettanto note, svolgono nel loro piccolo un enorme lavoro di conoscenza e avvicinamento all’arte.

dharavi1Fra tante altre, interessante è la Biennale di Dharavi in India. Dharavi non è una città, non è un villaggio, è lo slum più grande del mondo (ricordate The Millionaire, il film premio Oscar di Danny Boyle?) con oltre 750.000 abitanti nel distretto finanziario di Mumbai. Ebbene qui dal 15 febbraio al 7 marzo si svolge la prima Dharavi Biennale, basata sul contributo culturale ed economico della popolazione dello Slum di Dharavi. Questo luogo conosciuto per le condizioni di estrema indigenza in cui versano i suoi abitanti e allo stesso tempo per la sua incredibile forte espansione, attraverso l’arte cerca di reinventarsi. E lo fa presentando centinaia di opere incentrate sulla violenza, l’alimentazione, la salute e il lavoro nello slum. Tutto ciò non solo a scopo artistico, ma anche e soprattutto a scopo educativo. Il tentativo è infatti quello di collegare l’arte alla scienza per promuovere la salute attraverso la creatività.

images (4)Organizzata dalla SNHEA (Society for Nutrition, Education & Health Action), ong indiana che si occupa della salute delle mamme e dei neonati, che si batte contro le violenze domestiche e sulle donne, che promuove la salute e la nutrizione dei bambini e la vita sessuale e riproduttiva consapevole, attraverso la Biennale di Dharavi punta lo sguardo sugli aspetti positivi e negativi della vita dello Slum. La maggior parte delle opere d’arte esposte sono state realizzate non solo da grandi artisti, ma da molteplici laboratori nati per l’occasione e sono tutte create con materiali riciclati.

L’arte è schiava del mecenatismo?

Takashi Murakami dntro un negozio di Luis Vitton
Takashi Murakami dntro un negozio di Louis Vuitton

Questa riflessione mi è scaturita in seguito a un articolo, comparso domenica scorsa su La Repubblica e scritto da Natalia Aspesi, dal titolo “L’arte è di moda”. Vi si metteva in luce lo stretto rapporto – ormai più che decennale tra arte e mondo della moda. Nell’articolo si ripercorrevano le collezioni e i favolosi contenitori di arte aperti in questi anni dai grandi mecenati della moda, come Palazzo Grassi e Punta della Dogana (di Pinault, patron del gruppo Kering), a Venezia, come il più recente centro d’arte contemporanea della Fondazione Prada, sempre a Venezia, o l’appena inaugurata Fondazione Louis Vuitton, opera di Frank Gehry a Parigi.

Fondazione Louis Vuitton, Paris
Fondazione Louis Vuitton, Parigi

Questo connubio ormai è un dato di fatto. Però io non posso esimermi dal sentire che qualcuno ha preso qualcosa all’arte. Mi accade ogni volta che mi imbatto in una manifestazione di questo sovrapporsi di moda e arte, come quando cammino per strada e mi trovo davanti a vetrine di case di moda firmate da artisti. E’ un po’ come quando i turisti in giro per il mondo scattano le foto alle persone del luogo, pur sapendo bene che queste ultime non vedono la cosa con favore perché si sentono derubate della propria anima.

Certo, sappiamo bene che non siamo di fronte a niente di nuovo, perché l’arte da sempre è stata legata ai suoi committenti; basti pensare – uno per tutti – alla Chiesa. Le opere più importanti della storia sono nate da un gioco di forza tra il committente che voleva qualcosa e l’artista che la concedeva lottando comunque sempre per la propria libertà.

Ma cosa cerca la moda nell’arte contemporanea? Cerca di agganciare la creatività e il pensiero degli artisti per colpire gli acquirenti, sempre più in difficoltà a distinguersi con un paio di scarpe o una borsa. “I signori della moda” come li chiama Natalia Aspesi sono interessati a mettere il loro marchio sull’arte.

E quale arte prediligono e promuovono? È una questione di trend: c’è una chiara predilezione per quel che colpisce subito e si predilige un’arte provocatoria, con quel tanto di cinico che fa snob. E’ tornata la narrazione, il figurativo, e un interesse anche per il tragico, basta che abbia qualcosa di esteticamente immediato. Si vedono sempre meno i linguaggi più ermetici e complessi, come quelli concettuali. Per chi da sempre visita le mostre, questi centri , che tanto dettano legge nel mercato dell’arte, sembrano come un giro di giostra.

Carsten Holler, Fondazione Prada, The Doubel Club
Carsten Holler, Fondazione Prada, the double Club

Ma un giro di giostra è poi un male? No, niente catastrofismi è solo una direzione dei marchi del lusso, unici in questo momento interessati a spendere e a promuovere l’arte. Così mentre il “regno dell’effimero cerca l’immortalità” e le quotazioni dell’arte si impennano, atteniamoci a ciò che si vede e attendiamo il momento in cui questa fase lascerà spazio a nuove sfide e magari chissà a maggior libertà.

Terra e cielo, sapere e luce a Londra: la mostra di Anselm Kiefer

Anselm Kiefer,
Anselm Kiefer, The Orderes of the Night,1996

Abbiamo tempo fino al 14 dicembre per andare a vedere alla Royal Academy la mostra dedicata all’opera di Anselm Kiefer. E’ un’occasione straordinaria. Se qualcuno non conosce questo artista tedesco verrà colto da stupore e meraviglia. Questo, almeno, fu ciò che accadde a me in occasione del mio primo impatto con l’opera di Kiefer: era il 1997 e lui era esposto a Venezia, a contatto con le opere antiche, dentro al Museo Correr. Allora pensavo che la pittura – nonostante ne avessimo vissuto il ritorno, attraverso il movimento della transavanguardia – facesse una gran fatica ad esprimere qualcosa di nuovo e coinvolgente. Invece le grandi superfici di Kiefer, le sue tele terrose, fatte con tracce di piombo, le bruciature, i ramoscelli di ulivo, mi fulminarono. Le sue opere erano superfici materiche (per usare un termine caro al mio professore Enrico Crispolti, quando ci spiegava l’opera di Alberto Burri). Ma in Kiefer c’era dell’altro: quelle pitture erano impasti non solo di materia ma anche di memorie, rese presenti con collage e fotografie.

Anselm Kiefer,
Anselm Kiefer, Nigredo

Nelle opere di Burri è la sola materia a parlare. Con Kiefer, la materia è la strada per far affiorare delle immagini che sembrano lontane nella memoria. E’ così che le tele raffigurano grandi spazi vuoti industriali, non riconducibili a nessun luogo e prive di ogni essere vivente; oppure mostrano semplici grumi di terra crettati o campi segnati dal limitare dell’orizzonte. Dentro i grandi quadri appare la figura umana: in opere come Sternbild (Star picture), del 1996, si rimane addirittura senza parole, vedendo che il corpo umano posto nudo e in orizzontale è immerso nell’immensità del cielo stellato, diventando tutt’uno con l’universo. Terra e cielo, materia e spirito, sembrano i temi toccati dall’artista. Vi è anche il tema del sapere tradotto in immgini, con i libri rappresentati come una luce che si irradia velocemente e si espande nell’universo. Oggi le opere di Anselm Kiefer sono diventate un classico: il suo lavoro sembra davvero destinato a restare nel tempo.

Insomma questa mostra non è da perdere e se c’è qualche italianointrasito a Londra la consiglio vivamente.

Amedeo Modigliani una gloria italiana

Nu couché,les bras derriere la tete, 1916
Amedeo Modigliani, Nu couché,les bras derriere la tete, 1916

In giro per mostre quest’estate ho scoperto un aspetto di noi italiani: abbiamo la coda di paglia.

Mi spiego meglio. Per ben due volte mi sono trovata in mezzo ad una polemica in nome della nostra italianità negata. La prima a Venezia: durante la biennale un signore si è arrabbiato moltissimo perché nei padiglioni internazionali le opere e le relative spiegazioni erano molto spesso in lingua del paese invitato e in inglese ma non c’era traccia di italiano. L’altra alla mostra Modigliani et l’Ecole de Paris, in Svizzera alla Fondazione Pierre Giannada, dove una famiglia italiana discuteva animatamente perché risentita dal fatto che nella biografia di Modigliani non si trovava menzione della sua provenienza italiana.

Che ci succede? E’ come se facessimo fatica a tenere testa agli avvenimenti culturali o come se la cultura ci sfuggisse di mano e ci sentissimo limitati o impossibilitati  di giocare un ruolo nello scenario internazionale. Coda di Paglia?

Devo dire che, se la polemica alla Biennale mi sembrava giusta, quella sulla mostra di Modigliani mi è sembrata esagerata, perché l’italianità del nostro pittore usciva da ogni aspetto della mostra, tanto che non era possibile nasconderla.

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Consiglio senz’altro la visita alla Fondazione Pierre Giannada e alla mostra Modigliani et l’Ecole de Paris che resterà aperta fino al 24 novembre.  La mostra è  una vera perla per la fine dell’estate. Organizzata in collaborazione con il Centre Pompidou di Parigi e alcune  collezioni  svizzere, vi lascia godere di ottanta capolavori che illustrano l’opera di Modigliani a partire dal suo arrivo a Parigi, nel 1906. Nella mostra seguirete le trasformazioni dell’opera di Modigliani, ma potrete capire da vicino l’impatto e l’influenza esercitati dalla città culturale più viva del momento sul giovane pittore. E così vedrete  nelle tele di Modigliani l’incontro con le opere di Toulouse-Lautrec e poi il suo incontro decisivo con la scultura e con l’opera di Brancusi.  La mostra poi non tralascia di raccontarci l’arrivo a Parigi di Chaim Soutine e di Chagall e non è difficile immaginare la vita nel piccolo studio a Montparnasse e poi nella casa  a Montmartre. Vi si incontra anche il suo ultimo amore, la modella diciannovenne Jeanne Hebuterne, che si suicidò il giorno dopo la morte del pittore, nel 1920.

Alla fine della mostra consiglio poi una visita al giardino della fondazione, dove troverete un nucleo di sculture  tra cui Henry Moore, Calder, Max Bill e Dubuffet.

In Svizzera crescono gli spazi per l’arte

Kunsthaus , Zurigo
Kunsthaus , Zurigo

È stato approvato  a Zurigo il progetto  per l’espansione del Museo di Belle arti. La Kunsthaus diverrà così il più grande museo della Svizzera. L’inaugurazione è prevista per il 2017 e il nuovo edificio sarà costruito davanti al vecchio Museo, avrà una forma cubica e sarà collegato all’edificio principale con un passaggio sotterraneo. Il nuovo edificio è progettato dall’architetto inglese  David Chipperfield.

Nuovo progetto, Kunsthaus, Zurigo
Nuovo progetto, Kunsthaus, Zurigo

Non è il primo museo realizzato da lui e dal suo studio. Ricordo qui, fra gli altri, il Neues Museum di Berlino, creato in un edificio che fu danneggiato durante la seconda guerra mondiale e che l’architetto inglese ha restaurato e ripensato (riaperto al pubblico nel 2009).

Neues Museum Berlino
Neues Museum Berlino

Chipperfield è stato scelto l’anno passato come Direttore della Biennale di architettura di Venezia.

Il nuovo Museo accoglierà anche la collezione  di Emil George Buhrle, mercante d’armi che ha raccolto un’importante fondo di opere  impressioniste e dell’avanguardia francese del ‘900.

 L'abri, Ginevra
L’abri, Ginevra

Invece a Ginevra, con un progetto più piccolo, ma non meno interessante, si è approvato nella Vieille Ville uno spazio culturale dedicato ai giovani artisti locali . Si chiama L’abri, uno spazio polivalente situato sotto la terrazza Agrippa d’Aubigné. Uno spazio che avrà anche un piccolo teatro. Il luogo è pensato per i giovani che lì potranno presentare le loro creazioni e farsi conoscere. In questo luogo ci sarà un ambiente per mostre, concerti, performances artistiche e laboratori di fotografia.

 

Life in the Slum

Ho un figlio che ama guardare il mondo attraverso l’obiettivo della macchina fotografica… Lo guarda con i suoi occhi da adolescente e riesce a catturare aspetti della vita di tutti giorni, della natura, di tutto ciò che lo circonda attingendo al suo ricco mondo interiore, all’entusiasmo della sua età e grazie agli stimoli che, da ragazzo “fortunato” ha ricevuto e riceve quotidianamente. Ha aperto un blog che raccoglie le sue fotografie, possiede un bell’apparecchio fotografico e soprattutto ha la stima e l’approvazione di genitori fieri dei suoi interessi.

Per questa ragione sono rimasta affascinata da un’iniziativa di una onlus italiana che opera a Deep sea, slum di Nairobi, che si chiama AfrikaSi, la quale promuove e coordina programmi di assistenza sanitaria di base, alfabetizzazione e formazione, e con il contributo volontario di artisti professionisti e sponsor organizza eventi di sensibilizzazione e promozione della cultura africana.

Ciò che mi ha colpito, è la mostra inaugurata a Venezia l’11 maggio scorso, che si protrarrà fino a fine luglio, intitolata Life in the slum. Through our eyes, dove viene esposta l’opera di ragazzi dello slum che hanno realizzato fotografie del loro mondo, della loro realtà. A volte tragiche e drammatiche, a volte divertenti o commoventi, esse sono sempre piene di poesia e mostrano la vita nello slum attraverso gli occhi di chi la vive. Sebbene le immagini siano catturate attraverso una fredda lente di vetro, rimangono ricche del colore, dell’umanità, della vita dell’Africa.

Questa raccolta fotografica di 30 scatti, che approderà dopo Venezia in Turchia e infine negli Stati Uniti, è il risultato di una lunga e bella storia iniziata nel 2005 nello slum Deep Sea, una delle più di duecento baraccopoli che circondano la capitale del Kenya, grazie al coinvolgimento di Adriano Castroni, già fotografo di moda per Valentino e creatore dell’agenzia pubblicitaria TheSign.

In Africa Castroni ha creato con AfrikaSi il laboratorio Zinduka (in swahili “evoluzione”) in cui insegna ai ragazzi dello slum fotografia, grafica e sviluppo fotografico. L’obiettivo era di dare a questi ragazzi ancora prima di una professionalità una speranza nel futuro.

Il messaggio che arriva forte e chiaro da questa esperienza è che nonostante tutto anche i ragazzi delle baraccopoli di Nairobi, sebbene fra mille difficoltà hanno una speranza, una piccola possibilità di scelta che ci fa sperare in un futuro diverso almeno per alcuni di loro. Ciò che non hanno avuto per una coincidenza di nascita possono ottenerlo con tanto lavoro, determinazione e l’aiuto di persone come Castroni pronte a dare una mano gratuitamente, alimentando con la loro professionalità e dedizione quella scintilla creativa presente in tutte le nuove generazioni, anche le meno fortunate!

… ci piace


… ci piace che Francesco Bandarin, vicedirettore del settore cultura dell’Unesco abbia inviato una lettera al Governo italiano, esprimendo preoccupazione per i rischi dovuti al folle traffico delle navi da crociera a Venezia. In undici anni questo traffico è aumentato del 300 per cento. Sembra che ora ci sia la volontà di trovare una soluzione d’emergenza per evitare che queste enormi navi passino dal centro. Allora speriamo che il fronte NO ALLE GRANDI NAVI possa vincere. Ricordiamo che queste grandi navi da crociera oltre a spostare enormi masse d’acqua rischiando di danneggiare le fondamenta dei canali e delle case inquinano moltissimo con i loro gas di scarico.

(La notizia l’abbiamo ripresa dal Giornale dell’arte, febbraio 2012, n.317 p. 8 articolo di A.S.C. intitolato Mai piè navi in Laguna!)