Non ci piace

Alla fine è stato necessario mettere sotto sequestro la biblioteca nazionale dei Girolamini di Napoli, come hanno fatto i Carabinieri del Nucleo Tutela dei beni artistici, per cercare di arrestare lo stato di abbandono e i furti in atto da tempo nella prestigiosa istituzione.  Per ora sono stati  ritrovati, a Verona, 240 libri antichi sottratti dalla biblioteca, ma si parla di addirittura di 1500 libri quelli che mancano all’appello.

Paesi nuovi

Una nostra amica, Daniela, che si occupa di Politiche Giovanili-presso la Provincia di Pistoia- ha risposto al nostro Ci piace e oggi abbiamo deciso di postare la sua testimonianza.

“…anche a me piacciono i ragazzi, tutti e tanto.

E ora dopo il barbaro evento di Brindisi, vi voglio dire quanto e perché mi piacciono così tanto i ragazzi del Sud. Ne conosco a centinaia e molti di loro mi chiamano zia. Non è un fatto di parentela di sangue, ovviamente, ma è un legame altrettanto forte ed indissolubile perché fondato su principi e valori irrinunciabili e scelti per la vita.

Tutto questo passa attraverso un percorso che si chiama Albachiara, che su tutto il territorio nazionale conta sull’adesione di migliaia di ragazzi, centinaia di Scuole, di Associazioni e Pubbliche Amministrazioni. Albachiara ascolta e sostiene i ragazzi nei processi di cittadinanza attiva e di partecipazione e dal Sud, ogni anno, da 8 anni, arrivano al Campus di Albachiara centinaia e centinaia di ragazzi appassionati, forti con la voglia e la fermezza di riprendersi i loro territori, di mostrare a tutti che non hanno paura di vivere i loro valori, di essere protagonisti per costruire giorno dopo giorno, mattone su mattone PAESI NUOVI in cui il rispetto della legalità e dei diritti è sacrosanto.

Questi ragazzi sono legati alle loro tradizioni, non le rinnegano , anzi le riportano all’antico valore e cantano, e ballano e ti contagiano con la passione, quella vera che viene dal cuore per questo fanno paura, a chi sta nell’ombra e semina terrore, a chi è capace, non di vivere, ma di “campare” facendosi scudo e forza con la violenza e l’illegalità. I ragazzi del Sud hanno scelto la democrazia e la partecipazione.

….per questo e per molto altro mi piacciono – insieme a tutti gli altri  – i ragazzi del Sud”

Lingua madre (o matrigna?)

Lo abbiamo già scritto in un post di qualche tempo fa… ci piace che al Politecnico di Milano la lingua inglese non sarà più solo materia di studio, ma diventerà lingua di insegnamento e apprendimento, questo per fare fronte alla competizione globale, per attirare nuovi studenti dall’estero (soprattutto dal «far east»), per rimanere al passo con i tempi, per essere pronti e capaci di lavorare in un contesto internazionale.

La BBC, in un recentissimo articolo del sito on line, afferma che l’inglese, essendo già la lingua universalmente utilizzata nel mondo degli affari, diventerà una sorta di nuova Koiné anche per l’educazione, la ricerca e lo studio, sottolineando però quanto ciò rappresenti un pericolo per le varie lingue, culture e tradizioni regionali. Tutti noi sappiamo bene quanto questa realtà sia molto più vicina di quanto si possa immaginare (se facciamo attenzione, infatti,  in qualche film di fantascienza di ultima generazione spesso anche gli alieni capiscono e parlano perfettamente l’inglese!) e quanto il pericolo dell’essere fagocitati da una lingua, ma soprattutto da una cultura che non ci appartiene e che sotto alcuni aspetti é lontana da noi mille miglia, sia effettivamente reale.

Nel nostro piccolo, allora, siamo corse ai ripari…

Un’amica, valida, preparata ed entusiasta insegnante di italiano (!) in una scuola internazionale, ci ha chiesto di dare una mano ai suoi studenti suggerendo loro articoli, libri, siti web, che li possano aiutare nella loro ricerca su un aspetto particolare della società o della cultura italiana. Ci ha invitate a parlare con i ragazzi e noi ci siamo sentite onorate non solo di dare una mano concreta, ma soprattutto di avere l’opportunità di far conoscere meglio la nostra cultura e le nostre tradizioni,  facendone apprezzare tutti gli aspetti positivi, di cui siamo fiere. I ragazzi che abbiamo incontrato ci sono sembrati non semplicemente interessati, ma avidi di informazioni e ricchi di domande, segno che l’Italia riesce ancora a stimolare l’interesse di molti!

Sarà necessario sfatare miti (la pizza infatti non può essere considerata «vegetale»), presentare il meglio di noi (visto che il peggio lo potranno tranquillamente leggere sulle news) e il meglio di una storia di secoli, anzi no, di millenni, sulla quale è stata costruita gran parte della tradizione occidentale, senza dimenticare che fino al Rinascimento e oltre siamo stati i più grandi esportatori di cultura e che, fra il XV e il XVII secolo, si parlava italiano in tutte le corti europee.

Ora basta, sono stata sufficientemente nostalgica, ma ritengo necessario che le nuove generazioni, soprattutto quelle «straniere» tecnologiche, inetrnaute, incredibilmente pronte e capaci abbiano la possibilità di fermarsi a capire e ad apprezzare un intero sistema formato da valori, cultura, tradizioni e lingua che é parte di ognuno di noi.

La nostra stessa esperienza di italiani all’estero ci insegna che è possibile conciliare  le due dimensioni: quella della lingua materna (materna non solo perché é quella di cui le nostre madri ci hanno nutriti, insieme al latte, fin da piccolissimi, ma soprattutto perché attraverso di essa abbiamo assimilato un’identità precisa e incancellabile) e quella della lingua acquisita, sempre più spesso l’inglese, che ci nutre in un altro modo, consentendoci di sentirci cittadini del mondo in grado di comunicare, interagire e cercare di comprendere quegli “altri”, che solo attraverso la possibilità di dialogo, non fanno più paura.

non mi piace

Sono belle le rose e i tulipani ma non possiamo dimenticare che in Italia  oltre 130 mila tonnellate di fiori arrivano dal Sud del mondo, dove vengono prodotte usando sostanze chimiche vietate dall’Organizzazione mondiale della sanità e sfruttando persone che lavorano a basso costo tra mille abusi.

Ditelo con i fiori: BASTA!

Una vita per la musica. Il magico mondo di John Peel

Chi è John Peel? A noi che siamo di lingua italiana il nome dice poco, ma chi è di lingua inglese sa perfettamente di chi sto parlando.

John Peel è stato presentatore radiofonico, disk jockey e giornalista, una delle voci più conosciute della BBC e più influenti della musica Inglese dal 1967 all’anno della sua morte il 2004. Insomma John Peel è stata una leggenda della musica. I suoi programmi radiofonici hanno ospitato i nomi più famosi del panorama musicale non solo anglosassone per decenni.

Dopo la sua morte, la famiglia ha realizzato uno dei suoi progetti creando il John Peel centre for creative arts, il cui scopo è offrire l’opportunità a un sempre maggior numero di membri della comunità di farsi coinvolgere in attività ed eventi culturali, in modo che tutti partecipino e possano godere dei benefici dei propri sforzi artistici e supportare gli sforzi degli altri.

Il secondo interessantissimo progetto che porta il nome di John Peel è assolutamente geniale! Andate sul sito ed entrate in THE SPACE in basso a sinistra, vi troverete nello studio del disk jockey, ancora in fase di costruzione, ma già per la maggior parte interattivo, e divertitevi a entrare in tutte le aree di interesse di questo eclettico personaggio: potrete accedere ai suoi video, alle sue sessions, alle foto, agli show radio, al blog di John Peel, ma quello che mi ha fatto letteralmente impazzire è la possibilità di accedere al suo incredibile, fornitissimo, memorabile archivio di dischi in vinile!!!

Archivio contenente oltre 26000 LP e 40000 45 giri che, secondo il progetto, potranno essere “consultati” tutti attraverso la piattaforma Spotify (attualmente non ancora attiva in Italia, ma se scavate con attenzione ci sono modi per attivarlo ugualmente!!!!), dunque musica fruibile a prezzi ridicoli, ma che musica!

I grandi classici, dischi introvabili, band dimenticate, il rock storico, ma anche musica etnica, soul, jazz, pezzi rari ce n’è per tutti, tenendo presente che come disk jockey ha attraversato gli anni gloriosi della musica inglese. Di tutti i dischi è riportata la copertina e la lista dei pezzi contenuti. Commovente!

Ma bisogna avere pazienza… per ora si può accedere alla sola lettera A… in effetti a pensarci il lavoro è titanico! Noi, intanto, fiduciosi aspettiamo!

Il ragazzo con il panciotto rosso

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Il ragazzo con il panciotto rosso di Paul Cézanne è tornata da pochi giorni in Svizzera. L’opera, rubata quattro anni fa a Zurigo, è stata ritrovata in Serbia. Non si sa molto del suo ritrovamento: le autorità non hanno voluto spiegare dove e come ciò sia avvenuto.  Il dipinto fa parte di un gruppo di quattro tele che vennero rubate alla Fondazione Emil G.Bührle di Zurigo il 10 febbraio 2008: oltre alla tela di Cézanne sparirono Il  Campo di papaveri a Vétheuil, di Monet, Il Ramo di castagno di Van Gogh e  Ludovic Lepic e le sue figlie, di Degas. Le prime due vennero ritrovate dopo un settimana abbandonate dentro ad una macchina vicino alla fondazione,  mentre l’opera  di Degas  non è ancora riemersa.

Ogni ritrovamento di opere d’arte fornisce motivo di festeggiare a tutti.

Tra i furti del secolo scorso più noti rimane quello della GiocondaQuando la mattina del 23 agosto dl 1911 Vincenzo Peruggia, pittore e decoratore italiano, portò via la Gioconda levandola dalla cornice  e nascondendola sotto il cappotto, tutto il mondo ne fu scioccato. La faccenda venne seguita da tutti i giornali e la notizia del furto dilagò. L’opera rimase nascosta per più di un anno. Se ne ebbe notizia solo grazie a una lettera inviata a un antiquario fiorentino. Nella lettera il ladro si diceva disposto a renderla all’Italia in cambio di cinquecentomila lire, pretese come rimborso spese. Sostenuto dal conservatore fiorentino degli Uffizi, l’antiquario in questione si dichiarò interessato all’offerta, così Pontiggia prese il treno da Parigi e portò l’opera a Firenze. Gallerista e conservatore, dopo aver appurato che l’opera era l’originale,  chiamarono la polizia e fecero arrestare il ladro. Il governo italiano poi rispedì la Gioconda al Louvre.

Un’altra opera, che ha visto ben due furti nell’arco di dieci anni, è l’Urlo di Munch, che si trova a Oslo; l’opera infatti è stata rubata prima per tre mesi nel 1994 poi ancora una volta nel 2004.

L’Italia che di ruberie e sottrazioni illecite, anche con opere spedite all’estero, ne ha viste molte ha  redatto una Banca dati dei Beni Culturali illecitamente sottratti, per orientare e facilitare le indagini delle autorità.

Fa onore al nostro paese la figura di Rodolfo Siviero, che visse a Firenze e fece dell’inseguimento e del recupero delle opere d’arte italiane rubate dai nazisti durante il Secondo Conflitto Mondiale la ragione principale della sua esistenza. Era quasi un agente segreto e tutta la sua opera si concentrò prima nel contrastare ed impedire la cessione delle opere e poi nel recuperare ciò che era sparito in mani naziste. Il museo in quel caso più colpito fu quello degli Uffizi che fu praticamente svuotato. Tra le opere più importanti salavate si ricorda l’Annunciazione del Beato Angelico, il dipinto si trovava nel convento francescano di Montecarlo presso San Giovanni Valdarno. Siviero saputo in anticipo che i tedeschi avevano deciso di prendere l’opera, la portò via e la fece nascondere prima dell’arrivo dei militari.

Oggi la sua casa è diventata un Museo, si trova sui Lungarni di Firenze e conserva la sua collezione. L’opera di Siviero rimane di esempio per  quella parte di Italia che ha a cuore il proprio patrimonio culturale.

Museo dell’Innocenza, l’anima di Istanbul in 83 teche

Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura 2006 – con la motivazione «che con la sua ricerca dell’anima melanconica della sua città (Istanbul) ha scoperto nuovi simboli per rappresentare lo scontro e il legame fra le diverse culture» – ha inaugurato il 28 aprile scorso il suo Museo dell’Innocenza. Un progetto accarezzato per 15 anni, tanto il tempo necessario alla sua realizzazione, e che finalmente ha visto la luce.

Museo dell’Innocenza è anche il suo ultimo romanzo pubblicato da Einaudi nel 2009 e l’uno e l’altro sono intimamente legati e interconnessi.

Come lo stesso autore ha affermato in un intervista, libro e museo sono stati concepiti assieme. Nel Museo «Ci sono tutti gli oggetti descritti nel testo. Qui i lettori possono venire con il volume in mano, oppure consultarlo su questi banchi in tutte le lingue. So bene che dopo un po’ di tempo ognuno finisce per dimenticare la trama dei libri. Però qui si può ricordare il romanzo. E anche ricostruire la storia della città» (Tratto da Kataweb)

Il museo conta 83 vetrine, tante quanti sono i capitoli del suo romanzo, che narra di una storia d’amore lunga una vita fra Kemal ricco borghese e una sua lontana parente la bella, ma povera Fusun «dalle braccia color del miele», che fa letteralmente perdere la testa al protagonista. Nel museo trovano posto migliaia di oggetti che Pamuk ha trovato in mercatini dell’usato e rigattieri che narrano la storia di un’intera epoca (gli anni in cui nasce e cresce l’amore dei protagonisti). Tutto ciò che non è stato trovato in vendita è stato pazientemente ricostruito grazie all’opera di capaci artigiani.

Ma, viene da chiedersi immediatamente, tutto questo perché ?

L’autore lo spiega candidamente, quella fra i due protagonisti del romanzo/museo non è una semplice storia di amore è la storia di una intera città e di un’intera epoca, un documento su una Istanbul che non esiste più e che continua a vivere nel cuore dello scrittore. Ogni singolo oggetto che fa parte della collezione del museo rappresenta tangibilmente un momento della vita dei protagonisti, che sebbene vivano e agiscano solo sulla carta fanno rivivere atmosfere che senza la presenza visibile e reale di qualcosa che le ricordi sarebbero irrimediabilmente perdute.

L’ambizione di Pamuk è quella di ricreare nel visitatore le sensazioni vissute leggendo il libro una sorta di percorso letterario in cui tutti i sensi vengono coinvolti.

Una sorta di nuova performance artistica o semplicemente la realizzazione delle stravaganze di un letterato?

Credo che chi ha la fortuna di fare un viaggio a Istanbul possa prendersi un attimo di pausa percorrendo le sale di questo museo situato nella città antica, nel quartiere di Cukurcuma per rivivere un’intensa storia d’amore e per imparare ad amare come Pamuk l’anima divisa di una città la cui vocazione occidentale contrasta con la sua anima orientale!

… non ci piace

… non ci piace quello che Beppe Severgnini riportava sul Corriere della Sera di sabato 28 aprile a proposito del grado di preparazione delle nuove generazioni. Uno studio americano, condotto dalla University of Harvard, infatti ha tristemente accertato che, per la prima volta nella storia dell’uomo, le prossime generazioni avranno studiato meno di quelle dei padri. Per gli Stati Uniti ciò dipende da molteplici fattori, fra gli altri  il costo sempre maggiore degli studi che, al contrario di quanto accadeva nei decenni passati, non garantiranno migliori prospettive di lavoro anzi sottraggono tempo prezioso. Severgnini notava che anche in Europa la situazione non é migliore. In Italia poi l’incertezza sul futuro regna sovrana e i giovani continuano ad essere i più penalizzati. Le cose cambiano quando si guarda all’Asia: qui il progresso sociale e non solo, ha creato generazioni di studenti agguerritissimi e motivati che si sono sparsi per il mondo a macchia d’olio, supportati da genitori che finalmente possono concedersi il lusso di far studiare all’estero i propri rampolli.

La situazione dell’Occidente è decadente e dà la misura di quanto necessarie siano le politiche che riguardano i giovani. Nella storia dell’evoluzione i nostri figli sono più vecchi di noi, speriamo che dimostrino, al contrario di noi, un po’ più di saggezza…

Never let me go

Letto e dimenticato. Già… lo avevo letto, con fastidio, e dimenticato in un cassetto della memoria, volutamente.

Quando mi trovai per le mani Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro, ero ancora guidata dall’impossibilità di lasciare un libro a metà (poi per fortuna mi è venuto in aiuto Pennac con il suo Come un romanzo) e dunque mi trascinai penosamente fino alla fine del volume, soffrendo, profondamente, con i protagonisti di questa ingiusta, intensa e visionaria storia d’amore. Era il 2006 e presa da mille altre cose non ero riuscita ad apprezzare questo duro e improbabile romanzo. A metà fra fantascienza e feuilleton.

Ricordo che non potevo rassegnarmi al tragico destino dei protagonisti, ma soprattutto non potevo rassegnarmi al loro immobilismo, al fatto che neanche per una volta, nell’intero libro, nessuno di loro aveva pensato solo per un momento a ribellarsi con risolutezza al fato.

Ringrazio ora di aver avuto l’occasione di leggere questo romanzo, che mi è ritornato in mente dopo averne visto la versione cinematografica, superbamente interpretata da Carey Mulligan (splendida protagonista di An education), Andrew Garfield (l’Eduardo di Social Network) e Keira Knightley.

In un mondo parallelo al nostro, in un’epoca che combacia quasi con la nostra, si dipana la storia dei tre personaggi, Katy, Tommy e Ruth, legati fra loro da profonda amicizia e amore. I ragazzi sono sospesi per tutta la durata del romanzo in un presente di cui non conoscono e non capiscono le regole.

La fanciullezza viene passata a Hailsham, un collegio nella campagna inglese, in un clima ovattato, lontano persino dagli echi della “civiltà”, dove i piccoli sono accuditi e lasciati volutamente nell’incertezza sulle loro origini, ma allevati nella convinzione di essere in qualche modo speciali. Qui i bambini sono invitati a coltivare la loro creatività attraverso l’arte, la letteratura, la musica e solo alla fine del racconto si scoprirà che tutto ciò fa parte di un esperimento per provare che anche i cloni, ciò che questi bambini sono in realtà, sono forse più umani degli umani. Ad Hailsham, infatti, i bambini (e il lettore) iniziano lentamente a comprendere il tragico destino al quale sono chiamati: divenire “parti di ricambio” per un’umanità malata.

Nel secondo capitolo i ragazzi, ormai cresciuti passano gli anni del compimento degli studi, della definizione della personalità, della consapevolezza del tempo che rimane loro ai Cottages, dove godono di una certa libertà. Il terzo capitolo racconta l’età della fine, del compimento dello scopo per il quale i cloni sono stati creati.

La storia è condotta in modo delicatamente orientale, senza contrasti o atti di ribellione al destino, cosa che nel lettore (abituato più spesso ad un agire eroico) lascia spazio allo sconcerto, fatta di atmosfere attutite e lievi. Si è condotti per gradi a scoprire la devastante verità e quasi non la si vuole scoprire tanto è agghiacciante e scioccante.

Così Ishiguro ci lascia il suo messaggio che non credo sia una riflessione morale sulla bontà o meno della creazione di cloni come parti di ricambio e neppure sulla bontà o meno di una società che accetta questa pratica. Credo piuttosto che il desiderio dell’autore sia quello di comunicarci che, alla fine, solo l’arte e l’amore restano all’uomo per dichiararsi tale, al di là di ogni volontà di cancellazione e annullamento.

Non è la prima volta che Ishiguro da prova della sua maestria nel raccontare con suprema bravura il viaggio interiore dei suoi personaggi (vorrei solo ricordare un altro suo capolavoro: Quel che resta del giorno). Detto ciò, fra le mille sensazioni che questo libro singolare lascia, si preferirebbe che questi cloni, tanto gentili, indifesi e inoffensivi fossero fornitori di organi senza anima… tutto sarebbe più accettabile. Da non perdere.