Certe esperienze, belle e brutte, possono cambiarci la vita. Ma questo succede anche alle piante? E, andando ancora più lontano nel ragionamento, posso condividere un’emozione con una pianta? Domande che stanno alla base d’un esperimento divertente e piacevolmente folle nato grazie al connubio tra un’artista e uno scienziato.
Questo ho scoperto ieri visitando a Firenze a palazzo Strozzi, la mostra Ongoing dell’artista tedesco Carsten Höller e dello scienziato Stefano Mancuso, che dirige all’Università di Firenze il laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale.
Appena arrivata alla mostra, sono stata invitata a lasciarmi andare lungo uno scivolo d’acciaio, ripido e curvilineo, dentro l’atrio di Palazzo Strozzi (che la ospita). Mi hanno chiesto di farlo tenendo in mano una piantina verde. Alla prima curva dello scivolo pensavo mi venisse un infarto. Dopodiché sono entrata dentro le stanze laboratorio organizzate dal prof. Mancuso. A quel punto la piantina che aveva scivolato con me è stata posta dentro una specie di incubatore serra: da questo momento viene studiata, analizzata e comparata ad altre per capire se l’esperienza che abbiamo vissuto assieme possa in qualche modo aver influito sulla sua crescita.
Continuo la mostra e mi trovo due cubi in cui si può entrare e assistere a delle proiezioni di vecchi film. In un cubo proiettano film Horrror nell’altro spezzoni di film comici.
Höller ha collocato dei tubi di acciaio in ognuno di queste piccole sale di proiezione, collegati a due piante di glicine poste sulla facciata di Palazzo Strozzi. Cosa succederà in questi mesi alle piante? Come reagiranno? saranno influenzate dal clima delle proiezioni? Il glicine che respirerà la commedia crescerà meglio o peggio del glicine che assorbe l’atmosfera degli horror ?
Che follia questa mostra : ero in uno dei più bei palazzi di Firenze, gli scivoli che si attorcigliavano dentro il piazzale erano lucidi, brillavano (qualcuno mi ha suggerito che ricordavano i serpenti che si attorcigliano alle braccia di Laocoonte nel celebre gruppo scultoreo) era una giornata di sole: sicuramente mi sono divertita e incuriosita.
Il purista storcerà il naso, probabilmente qualche storico dell’arte griderà allo scandalo, altri se la prenderanno con l’operazione troppo commerciale, troppo popolare, troppo, troppo ecc.
Ma la mostra mutimediale allestita presso la chiesa sconsacrata di Santo Stefano al Ponte di Firenze (dal 26 novembre al 2 aprile 2017) può essere considerata come la nuova frontiera dell’innovazione artistica. La mostra propone la vita e i capolavori di Gustav Klimt attraverso 11 megaschermi che proiettano le sue opere più famose, ormai entrate a far parte dell’immaginario comune. Il bacio, L’albero della vita, Giuditta prendono vita sulle pareti del tempio sconsacrato. Come si apprende dal sito dello spazio espositivo: “Klimt Experience, graziealla coinvolgente colonna sonora, all’eccezionale impatto visivo delle immagini, riprodotte con definizione maggiore del full HD del sistema Matrix X dimension, alla straordinaria forza evocativa delle 700 opere selezionate e della ricostruzione 3D della Vienna dei primi del ‘900, nonché all’apporto didattico dell’area di introduzione alla mostra – allestita con supporti scenografici fisici, tavoli multimediali Touch-screen e oculous Samsung Gear VR – propone al visitatore un’immersione totale, senza soluzione di continuità, in un mondo simbolico, enigmatico e sensuale, dove si concretizza un’arte senza confini”
Ho un’amica che questa settimana mi diceva di aver usato la passione per il colore come porta per arrivare a Dio. Il Papa ha aperto in questigiorni la prima Porta Santa del Giubileo in un paese africano sconvolto dalla guerra civile.
La porta graffiata e consumata dipinta da Giacomo Balla nel 1902 e intitolata Fallimento mi ha sempre impressionata: una porta chiusa, dipinta per metà e che si apre sulla strada E’ malinconica, esprime un senso di abbandono ma poi sembra anticipare, in quei graffi arrabbiati e arruffati che porta su di sé, il primo modello per il linguaggio della street art.
Giacomo Balla, Fallimento, 1902
Due giovani artisti bolognesi (si fanno chiamare con un nome solo: Antonello Ghezzi) hanno realizzato due anni fa un’opera che consisteva in una vera porta: si apriva solamente quando le si sorrideva.
La maggior parte delle città italiane si distinguono per avere delle porte che si aprono nel perimetro delle vecchie cinte murarie. Ognuna di quelle porte oggi è un anello della storia locale.
Antonello Ghezzi, La porta del sorriso
Nel 1401 viene indetto a Firenze ilconcorso per la decorazione della porta Nord del Battistero e fu vinto da Lorenzo Ghiberti. Da lì comincia l’Umanesimo.
Nel paese delle meraviglie, Alice segue il coniglio bianco e raggiunge un vestibolo con tante porte chiuse; l’unica porta che le riesce aprire con la chiave d’oro è piccolissima e ciò’ la costringe a bere una pozione magica per potervi passare.
La porta offre due possibilità aprire o chiudere.
Il nuovo anno è alle porte: apriamoci alle novità e alle persone che ci circondano.
Fin dall’inizio di questa rubrica avevamo deciso di dedicare questo spazio chiamato la Sala di Lettura non solo alle recensioni di libri più o meno famosi, ma anche alle case editrici virtuose, che si distinguono per il loro coraggio, ai giornali che parlano di libri, come The New yorker, che ha segnato la storia della letteratura contemporanea, e a tutti quegli altri argomenti che gravitano attorno all’universo “libro”.
Oggi dunque vogliamo raccontare una storia, decisamente “italiana”, che appunto riguarda l’amore per i libri.
La storia si svolge in una delle città più belle e culturalmente vivaci non solo d’Italia, ma dell’intero pianeta: Firenze. È la storia che nasce dalla chiusura di una libreria nata nel 1996, quando ancora gli e.book erano lontani, quando ancora era un piacere recarsi in queste cattedrali della cultura per leggere le quarte di copertina, chiedere consiglio ai librai, toccare i volumi e annusarne il profumo oppure… come accadeva a molti, per ripararsi dal freddo dell’inverno o dalla canicola dell’estate, tutti erano ben accolti all’Edison, questo era il suo nome. Gli spazi erano ampi e modernamente arredati, migliaia i titoli, ma era la gente che vi lavorava che faceva la differenza. La Edison era uno spazio vivo, in cui esisteva a un rapporto concreto fra il lettore e il libraio. Come aveva scritto Mario Di Maglie dalle colonne on line del Fatto quotidiano, nell’ottobre del 2012, proprio parlando della chiusura dell’Edison, “chi va a comprare le sue letture sa bene che l’arrivo alla cassa è solo la fase finale e materiale di un processo che si avvia ben prima e che di materiale ha ben poco. Scegliere un libro per il proprio piacere può essere un lungo ed inestimabile processo mentale che può avere avuto luogo già prima di entrare in libreria oppure può avvalersi del classico ed incomparabile girovagare tra gli scaffali in cerca di non si sa bene cosa e, anche quando lo si scopre, non sempre diventa un buon motivo per rinunciare all’esplorazione. Il prendere in mano un volume e toccarne la sua consistenza dà quasi l’idea di possedere la cultura, idea innocentemente falsa, ma potentemente simbolica”.
L’Edison, tuttavia, per come era conosciuta è stata chiusa nell’autunno del 2012, poco importa cosa è sorto al suo posto. La notizia confortante però è che sei ex librai della Edison hanno deciso di rimettersi in pista, e replicare con l’apertura di una libreria indipendente, decisi a fare i librai “come una volta”, maneggiando i libri e non cappuccini, consigliando i lettori e concentrandosi sui giovanissimi “Ripartiamo dai bambini, dall’educazione alla prima lettura” affermano i sei “La nostra è una libreria generalista, dove si potrà trovare di tutto. Abbiamo un grande reparto ragazzi e molte idee da mettere in pratica. Vogliamo ripartire dall’esperienza Edison come laboratorio di idee, proponendo mostre fotografiche, concerti, presentazioni e dibattiti, e siamo pronti ad accogliere le proposte del Quartiere”. È così che il 16 marzo ha aperto i battenti la libreria MARABUK, non in centro (gli affitti erano proibitivi) ma in un quartiere periferico della città, pronta a prestare il proprio servizio non solo alla cultura, ma soprattutto alla gente, grazie ai sei coraggiosi librai.
ENGLISH VERSION
Ever since the beginning of this rubric we have dedicated this space that we called ‘the Reading Room’ to arguments like books, but always intended for this segment to also explore virtuous publishers, that stand amongst the rest for their courage, publications that talk about books, like The New Yorker, that left its mark on contemporary literature, and to all those other topics that gravitate around the universe of books and literature.
Today, then, we want to tell you a story, one that is entirely ‘Italian’. It is a story about the love for books.
The story takes place in one of the most beautiful and culturally rich cities in the world: Florence. It begins with the closing of a bookshop opened in 1996, when e-books were still but a futuristic dream, when heading to one of these cultural cathedrals was still a pleasure, when holding the bundle of papers and reading the back cover was the norm, when asking the librarian for tips on the latest published works while smelling that smell of books that everyone loved was the best way to know which one to choose. Or, as it often happened, to simply retract to the comfortable heated interior during a cold winter’s day or to find shelter from the heat on hot summer afternoons. Everyone was welcome at the Edison bookshop. The spaces within it were large and modernly furnished. Thousands of books, thousands of titles covered the walls. But it was the people working in it that made the Edison so special. The bookshop was a lively place, one where a true relationship formed between the bookseller and the reader. As columnist Mario di Maglie wrote on a digital edition of the ‘Fatto Quotidiano’ regarding the closing of the beloved Edison in 2012, ‘People that go to bookshops to buy literature know that paying is but the final step of a process that began long before and that, materially, it matters very little. Choosing a book for your own reading pleasure could potentially be a long and invaluable process that often originates before stepping foot into the bookshop itself, or one that can happen naturally by roaming around the endless rows of books when you are unsure of what to embark on. And even when you do find the book that seems to be to your liking, it sometimes isn’t a good enough reason to stop exploring. Holding the physical copy of a book in your hand and feeling its consistence almost gives the idea of owning culture, and, although being a naively false idea, it becomes powerfully symbolic’.
The Edison bookshop, however, closed in the autumn of 2012, and little matters what appeared in its place. The comforting piece of news, the light at the end of the tunnel, is that the former book keepers stationed at the Edison decided to fall back on the radar, and through the opening of an independent bookshop chose to replicate the strong values of their original workspace, worrying about books and not serving cappuccino, giving readers tips about their reading, and, perhaps most importantly, concentrating on the youngest readers. ‘We are begin over from children, educating them from their first
Già Dante aveva una linguaccia velenosa. Di quelli che gli stavano antipatici diceva peste e corna. E non solo spediva la gente all’Inferno o in Purgatorio, come a lui piaceva (anche se non tutti all’Inferno gli stavano antipatici, per Paolo e Francesca prova tanta umana comprensione e compassione da perdere i sensi!), ma sparlava di questo e di quello e inveiva persino contro città intere. Però il sommo Poeta poteva. E si sa che quella di essere malelingue sembra caratteristica comune a tanti toscani. Io sono di Prato e da noi si diceva che i nostri vicini pistoiesi fossero un po’ morti di sonno e un po’ ladri sacrileghi (e mica per via di Vanni Fucci, ma perché cercarono di fregarsi la Cintola della Madonna custodita nella nostra cattedrale). Dei fiorentini poi non ci siamo mai fidati. Tra Pisa e Livorno non corre buon sangue. I lucchesi si sentono un po’ superiori con la storia del loro vecchio ducato. E così via. Tutti con qualcosa da ridire sugli altri. In Toscana le parole sono taglienti. Ricordo un nonno che passeggiava col nipotino. Quest’ultimo cadde dalla bicicletta: “bravo bischero!” Lo apostrofò il nonno, senza pietà. Nessuno sfugge a questa regola di vita. Ricordo anche un prete anziano che non riusciva ad aprire il tabernacolo e armeggiando con la chiave esclamò: “ma che c’è qui dentro? Il demonio?!?!”. Il fatto e’ che l’amore per la battuta secca accomuna tutti da noi. Una mia amica di Viareggio, davanti a una signora col didietro voluminoso, se ne uscì con: “Se quella fa aria in un sacco di coriandoli, viene il carnevale!!!”. Anche sul lavoro non ci si salva. Guai ad essere maldestri, si viene subito stigmatizzati con parole al vetriolo. Credo che la capacità dialettica del nostro premier venga dall’essere cresciuto in questa Toscana, dove se non hai la lingua pronta non sopravvivi. Forse quelli che si vogliono confrontare con lui in un dibattito dovrebbero prima passare qualche mese fra Firenze Livorno, per allenarsi a rispondere a tono.
È il titolo della mostra che è in corso a Cortona, nel palazzo Casali e fino al prossimo 31 luglio. Titolo quando mai appropriato se del caso cambiabile con termini più forti: fascinazione, forte attrazione, innamoramento. Perché la mostra ha proprio un livello seduttivo, per chi volesse sia iniziare che approfondire gli studi sulla civiltà dell’antica Etruria. Civiltà – oggi lo si sa bene – non più “misteriosa”, come si pretendeva un tempo, quando si disquisiva sul come fosse nata ( la controversia questione delle origini), come sviluppata lungo i vaticinati dieci secoli (non però di consueta durata, ma contrassegnati entro eventi peculiari), quali i rapporti con i romani che li assorbirono, subendone e serbandone una profonda attrazione. Magari anche politica e culturale, se è vero che alcuni dei famosi re di Roma furono etruschi e che l’imperatore Claudio fu il primo etruscologo.
La seduzione viene dal fatto che questa mostra, una delle moltissime che negli ultimi decenni sono state fatte, per la prima volta presenta e documenta criteri informativi sulla nascita di quella disciplina che chiamiamo etruscologia. Sappiamo che fu iniziata nel Settecento, quando cominciarono ad emergere reperti dalle necropoli nelle cui ricche tombe giacevano da secoli raffinati arredi, opere d’arte, sculture, pitture che registravano i contatti con il mondo greco, testimoniavano un’ elegante cultura dominata dall’ignoto, garantivano che fra le popolazione italiche pre- romane gli etruschi avevano un ruolo di spicco.
Arringatore, Museo Archeologico di Firenze
La mostra di Cortona prende l’avvio dal viaggio che un giovane nobile inglese Thomas Coke (1697-1759) fece, imbarcandosi a Dover nel 1712, per il continente; accompagnato dal suo precettore e da un valletto. Quest’ultima figura risulta, ai nostri fini, importante : perché aveva fra i suo compiti di servizio quello di registrare tutte le mete del viaggio, le spese effettuate, i siti notevoli e quant’altro poteva comporre una specie di diario del memorabile. Cosi sappiamo che il giovane Thomas (poi primo conte di Leicester) compì quello che ai suoi tempi, come richiesto dal ceto cui apparteneva, era il Gran Tour nei paesi delle civiltà classiche. Sostò a Roma ed a Firenze si interessò, d’arte e di storia, rimase affascinato da questa civiltà che stava emergendo da un passato di cui poco si sapeva. Quel poco, però, faceva capire che era stata una grande civiltà : ed il giovane si procurò opere ( che grazie ai tombaroli – allora e non solo allora – erano disponibili ), insieme ad un trattato in latino dall’ erudito Thomas Dempster, la cui pubblicazione in Firenze fu finanziata proprio da Lord Coke: De Etruria Regali. Un titolo che è tutto un programma e che fa comprendere perché molti collezionisti, da allora, volessero reperti archeologici riconducibili a questa “regale” Etruria. Molti reperti, trovati nel territorio di Cortona ( al centro di quell’ Etruria classica compresa tra il Tevere e l’Arno) andarono a finire al British Museum; che ora, per la prima volta, li ha dati in prestino a Cortona nella quale, fin dal settecento era nata l’Accademia Etrusca. Cui si erano iscritti i più noti intellettuali dell’epoca e che aveva attirato l’attenzione di molti inglesi. Assai opportuno, quindi, il prestito generoso del British Museum; che unisce, al materiale dato altre opere ( la più conosciuta è la statua dell’ Arringatore dell’Archeologico di Firenze) che compongono un ampio e originale compendio culturale.
Siamo in Toscana. Ho letto sabato scorso su La Repubblica la preparazione di una mostra fiorentina che si inaugurerà mercoledì prossimo 16 aprile a Palazzo Panciatichi dedicata ad un presunto quadro di Van Gogh dal titolo “Il fienile protestante”. Il quadro esposto nel 2012 a Recanati aveva già suscitato non poche polemiche, perché è di attribuzione molto incerta.
Il fienile protestante opera attribuita a Van Gogh
Ho pensato quindi ad un aspetto che per un toscano è di pragmatica: si tratta di furbi o di bischeri? la questione sembra ancora sub iudice; però emerge che si citano prove improbabili ( tracce di sangue, impronte, capelli dell’artista) e smentite autorevoli, anche in chiave critica. Si capisce bene che la polemica continuerà anche perché – se conferma ci fosse- il valore dell’opera sarebbe molto ingente.
Il toscano già a suo tempo scafato dalle false teste di Modigliani che coinvolsero illustri specialisti ( ma che poi fecero ridere mezzo mondo), è legittimato a chiedersi : ma si tratta di furbi ( coloro che hanno scoperto questo ignoto capolavoro) o di bischeri ( che cercano di gabellare con inidonei mezzi una crosta) ? il Medioevo fiorentino – se volgiamo restare in loco- conosceva gli uni e gli altri: i primi scrisse il Boccaccio sono quelli che hanno la “saviezza” che sanno vivere e cavarsela anche a scapito dei “pecoroni” come Calandrino. gli altri sono i membri dell’illustre famiglia dei Bischeri, che non vollero vendere al Comune le case da demolire per edificare il nuovo Duomo.Subito dopo il complesso bruciò: ed ai Bischeri rimase un pugno di mosche. Ma anche l’attributo che ancora non onorevolmente li ricorda.
Rodolfo Siviero con l’Apollo di Pompei del Museo Archeologico di Napoli recuperato, 1947
Monument Men il film diretto da George Clooney che racconta la storia di un gruppo di studiosi americani che durante la seconda guerra mondiale vengono arruolati nell’esercito per ritrovare le opere trafugate da Hitler in Europa, mi ha fatto tornare alla mente un museo che ho visitato un po’ di anni fa a Firenze e che non è molto conosciuto dai turisti. Il museo è la casa del signor Rodolfo Siviero, che visse nel secolo scorso e senz’altro rimane uno dei nostri più preziosi monumet men italiani, dal momento che dedicò la propria vita a recuperare opere d’arte trafugate dal nostro paese durante la seconda guerra mondiale.
Siviero aveva studiato storia dell’arte all’Università di Firenze e nel 1937, grazie alla copertura fornita da una borsa di studio si trasferì a Berlino in veste di studioso ma anche di agente segreto. Il suo scopo era seguire i movimenti della Germania nazista. Dopo l’8 settembre 1943, collaborò con i servizi segreti degli alleati, creando un servizio di informazioni e di ricerca volto a scovare e riportare in Italia ciò che il fascismo aveva ceduto ai tedeschi. Nel 1945 venne indicato da Benedetto Croce come persona adatta al recupero delle opere d’arte e, un anno dopo, nominato Ministro Plenipotenziario e Capo dell’ufficio recupero delle opere d’arte. Una missione che fu resa ancora più difficile e complessa per tutti gli aspetti burocratici che si frapposero alla restituzione dei nostri beni .
Chi volesse seguire la storia che copre l’operato di Siviero dal 1943 fino al 1963 può leggere il suo libro intitolato L’arte e il nazismo. Vi si ritrova molto materiale documentario legato al suo incredibile lavoro. Da questa testimonianza si evince come purtroppo Goering e i gerarchi nazisti poterono, fin dal 1937, mettere le mani sul patrimonio artistico italiano grazie al beneplacito di Mussolini “quasi si fosse trattato di oggetti di proprietà personale del Duce o di Ciano, si donavano o si lasciavano comprare e portar via quadri e marmi celebri, inseriti in tutti i cataloghi, gemme famose di musei e di collezioni notissimi.”
Tra le opere più famose che Siviero salvò dalle grinfie di Goering, vi fu anche un’Annunciazione del Beato angelico, da lui nascosta il giorno prima dell’arrivo dei tedeschi oggi conservata nella Basilica di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Valdarno.
Difendere il nostro patrimonio artistico, inteso come testimonianza della nostra civiltà e del nostro vivere civile, fu la missione di Siviero e chi volesse visitare il museo può trovare tutte le informazioni su www.museocasasiviero.it
Maria Lassnig, Autoritratto, 1981, Corridoio Vasariano, Uffizi
Come ti vedo, come vuoi essere visto e cosa esalterò del tuo volto. Come mi vedo io e cosa voglio raccontare di me. Queste sono alla base le risposte che si trovano quando ci troviamo di fronte all’arte del ritratto e dell’autoritratto. Due temi indagati in lungo e largo nell’arte di tutti i tempi e in questo periodo in Italia, all’attenzione di due istituzioni di pregio come il Palazzo Reale a Milano e il Corridoio Vasariano a Firenze.
A Palazzo Reale, con la mostra “Il volto del ‘900 da Matisse a Bacon,” dove sono esposti capolavori dal Centre Pompidou si vuole indagare la rivoluzione del ritratto nell’arte moderna e contemporanea partendo dalla nascita della fotografia . Ottanta ritratti che ripercorrono la storia delle avanguardie e del secondo novecento, Matisse, Bonnard, Modigliani, Giacometti , Bacon. La mostra rimarrà visitabile fino al 9 febbraio. A Firenze si potrà visitare il nuovo allestimento del Corridoio Vasariano , nella parte che va verso Pitti e Boboli, dedicata agli autoritratti del XX e del XXI secolo. Il corridoio vasariano che da sempre è la più antica collezione di autoritratti, si apre per cinquanta metri al contemporaneo e presenta gli autoritratti di artisti come Carrà, Giorgio de Chirico, Michelangelo Pistoletto, Chagall, Guttuso ma anche più giovani come Jan Fabre che indaga attraverso il suo volto l’idea della mutazione , o Jenny Holzer che si presenta sottoforma di parole , Vanessa Beecroft con un vestito lungo bianco e in braccio due bambini neri, e la potente e fragile Francesca Woodman.
A Milano una passeggiata nell’arte attraverso il ritratto sarà utilissima per capire un’epoca e i mutamenti nel campo della raffigurazione umana, mentre, a Firenze, una passeggiata tra gli autoritratti, sarà l’occasione per scoprire l’animo degli artisti espresso attraverso la loro poetica.
Oggi ripubblichiamo un intervento dello storico dell’arte Lorenzo Cipriani:
La storia dei re Magi inizia con l’apparizione di una stella ed è strettamente connessa a questo elemento di luce. Ma chi erano questi Magi? Il termine deriva da magos, che non significa mago, come si potrebbe intendere oggi. Al tempo di Gesù i maghi erano i ciarlatani, gli imbonitori. Secondo la tradizione, questi invece erano astronomi e sacerdoti zoroastriani. Quindi seguaci di un culto – quello di Zoroastro – che ha molto influito sulla nascita del Cristianesimo attraverso la religione Mitraica. Attestato in Persia fin dal VI sec a.C. e poi diffusosi in gran parte dell’Asia centrale aveva una forte relazione con gli astri, in particolar modo con il culto del Sol Invictus che fu il veicolo usato da Costantino per affermare l’allora sconosciuta religione Cristiana. Nella parola stessa che designa il profeta Zoroastro o Zarathustra si trova la radice di astera e tutte le vicende legate alla sua leggenda biografica sono legate alla luce, fin dalla sua nascita avvenuta in una immersione di luce sovrannaturale.
Nei Vangeli sinottici è riportata la vicenda dei Magi solo in Matteo, dove ci si limita a nominarli come “Magi dall’Oriente”, senza indicarne né il numero (che si designa dai doni portati) né il nome. Queste ed altre informazioni si trovano invece in alcuni dei vangeli apocrifi: in quello armeno dell’infanzia e nel cosiddetto Protovangelo di Giacomo.
Ma come vengono rappresentati lungo il corso della storia dell’arte, come cambia la loro iconografia nel tempo?
I tre re magi, Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna
Nella basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna: “I tre Re Magi” sono rappresentati vestiti con abiti orientali: ricche tuniche, cappello frigio e una sorta di pantaloni che per il tempo dovevano parere ben strani in occidente (sappiamo infatti che risale al Medioevo la cosiddetta “invenzione dei pantaloni”). Ma se volete vedere fra le più belle iconografie dei Magi di tutti i tempi, beh allora dovete andare agli Uffizi! Bisogna ricordare che il tema dell’Adorazione dei Magi fu uno dei più frequenti nell’arte fiorentina del XV secolo, poiché permetteva di inserire episodi marginali e personaggi che celebravano il fasto dei committenti; inoltre ogni anno, per l’Epifania, si svolgeva un corteo che rievocava la Cavalcata evangelica nelle strade cittadine. Qui trovate – tanto per fare alcuni fra gli esempi più noti – l’Adorazione di Gentile da Fabriano (1423), così sfarzosa ed elegante da essere il degno scenario per mettere in luce il committente Palla Strozzi, al tempo il cittadino più facoltoso di Firenze; ma anche quella di Botticelli realizzata nel 1475 per una cappella di Santa Maria Novella dedicata all’Epifania;
Sandro Botticelli, Adorazione dei magi, 1475
quella che Leonardo realizzò per i monaci di San Donato a Scopeto (1481-82), incompiuta eppure ritenuta per molto tempo uno dei maggiori capolavori dell’artista;
Leonardo, Adorazione dei Magi,1481-82
e quella di Durer del 1504, vero e proprio capolavoro di tecnica pittorica, indagine naturalistica e composizione scenica, dove si assiste ad una delle prime rappresentazioni di uno dei tre re con la pelle nera, secondo quella che era l’immagine figurata delle tre razze umane (semiti, camiti, giapeti) e dell’universalità della religione portata dal Cristo.
Albrecht Durer, Adorazione dei Magi,1504, Uffizi
Potremo credere allora – alla luce di questa breve riflessione sulla straordinaria concentrazione di capolavori dedicati ai Magi degli Uffizi – che una stella cometa splenda ancora sopra i tetti di Firenze: esattamente fra ponte Vecchio e piazza della Signoria!