Da che parte stai?

 

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Vanessa Beecroft

A volte mi domando quale sarebbe il mio giudizio se non avessi tre figlie, tutte scatenate sui diritti delle donne. Ho 50 anni, sono originaria di una piccola città della provincia italiana e sono stata cresciuta sulle cosiddette solide basi della tradizione. Avrei sostenuto la posizione di Catherine Deneuve, se avessi giudicato solamente sulla base della mia educazione? Non lo so ma certo le mie figlie, in modo un po’ prepotente come solo i giovani pieni di splendido furore e affettuosa tirannia sanno fare, non me lo avrebbero mai permesso. Per loro non ci sono né se né ma: nessuna scusa. Sostengono il diritto di essere libere e non ammettano di subire  nessun giudizio morale.

Sono loro che mi hanno fatto riflettere sul mio “maschilismo interiorizzato” : sembra che – in maniera anche inconsapevole –  la mia generazione  tenda a schierarsi quasi sempre dalla parte degli uomini.  Quindi, grazie ragazze  mie per avermi convinto a scegliere la parte giusta: ovvero a schierarmi a fianco delle donne.

Sono cosciente che siamo di fronte a una rivoluzione dei costumi e delle dinamiche sociali e anche di come tutto questo stoni con le radici stesse della tradizione. Ma poi mi viene da pensare che, nella storia,  nel nome della tradizione, sono state fatte montagne di  errori  e sono state compiute innumerevoli prevaricazioni.

E allora avanti giovani donne, ben venga un nuovo mondo di rapporti fra uomini  donne: era ora che arrivasse.

Il colore può trarre in inganno?

Vanessa Beecroft
Vanessa Beecroft

Che impatto ha avuto il colore nella storia? Se penso alla storia dell’arte penso ad un impatto enorme, però sempre in trasformazione e mai lo stesso.

La scuola veneziana di pittura già dalla  seconda metà del  XV secolo, a distinguersi per l’uso del colore: fu chiamata pittura tonale, perché non fondata sul disegno ma sulle diverse variazioni del grado di luminosità del tono di colore .

Giorgione, La tempesta
Giorgione, La tempesta,1506-1508

Nel XX secolo il colore, con l’astrattismo,  acquista piena dignità.  Kandinskij accentua nei suoi lavori l’uso del colore fino a teorizzarne la funzione: il colore azzurro evocava l’idea di infinito, il rosso era segno di forza e passione, il giallo eccitazione e dinamismo e così di seguito . L’espressionismo astratto nel dopoguerra sceglie di dare il massimo risalto al colore: si ricordano le campiture uniformi, quasi liquide,  delle tele di Mark Rothko, ma anche la gestualità decisa e netta di Franz Kline, dove segni neri lasciavano una scrittura forte e radicale  sullo sfondo di grandi tele bianche. Mentre in Francia, negli Anni Sessanta, nell’ambito del gruppo dei Nouveaux Réalistes, l’artista Yves Klein usò come pennelli viventi delle modelle, su cui cosparse il colore blu . Non un blu qualsiasi, ma  la sua una tonalità di blu, proprio quella che arriverà a brevettare con la sigla IKB (International Klein Blue) fatta con  una miscela di resina e pigmento. Colore  scelto per conquistare il mondo sopra di noi, per impregnare il mondo materiale di immateriale, il blu di Klein era legato alla spiritualità.

Il colore nella storia dell’arte è stato il terreno di avvicinamento alle cose dello spirito e del trascendente, ma è anche un’esperienza fisica il coinvolgimento pieno dell’artista e quindi legata al caso e all’inconscio.

Yves Klein,
Yves Klein,

Troviamo il colore ovunque nel nostro quotidiano di gente comune, lo abbiamo anche collegato ad un genere o a una condizione: tutto il mondo dell’infanzia, ad esempio, sembra miseramente separato tra il rosa e il celeste, il verde invece è il colore delle nostre tasche durante la crisi, mentre la pace ha i colori dell’arcobaleno . imgres

In passato, però, il colore ci ha anche ingannati, perché è stato usato come pretesto per alzare  barriere tra gli uomini:  il colore della pelle ha fatto la differenza nella qualità della vita e nelle opportunità concesse.

Oggi mentre camminavo con il mio cane nel bosco pensavo che l’autunno è la stagione dei gialli, dei rossi e dei marroni e che il paesaggio della natura si rinnova un anno ancora per la gioia dei nostri occhi. imgres

La poetica del volto: ritratti e autoritratti del XX e XXI secolo

Maria Lassnig, Autoritratto, 1981, Corridoio Vasariano, Uffizi
Maria Lassnig, Autoritratto, 1981, Corridoio Vasariano, Uffizi
Come ti vedo, come vuoi essere visto e cosa esalterò del tuo volto. Come mi vedo io e cosa voglio raccontare di me. Queste sono alla base le risposte che si trovano quando ci troviamo di fronte all’arte del ritratto e dell’autoritratto. Due temi indagati in lungo e largo nell’arte di tutti i tempi e  in questo periodo in Italia,  all’attenzione di due istituzioni di pregio come il Palazzo Reale a Milano e il Corridoio Vasariano a Firenze.
A Palazzo Reale, con la mostra “Il volto del ‘900 da Matisse a Bacon,” dove sono esposti capolavori dal  Centre Pompidou si vuole  indagare la rivoluzione del ritratto nell’arte moderna e contemporanea partendo dalla nascita della fotografia . Ottanta ritratti che ripercorrono la storia delle avanguardie e del secondo novecento, Matisse, Bonnard, Modigliani, Giacometti , Bacon. La mostra rimarrà visitabile fino al 9 febbraio.  A Firenze  si potrà visitare il nuovo allestimento  del Corridoio Vasariano , nella parte che va  verso Pitti e Boboli, dedicata agli autoritratti del XX e del XXI secolo. Il corridoio vasariano che da sempre è la più antica collezione di autoritratti, si apre per cinquanta metri  al contemporaneo  e presenta gli autoritratti di artisti come Carrà, Giorgio de Chirico, Michelangelo Pistoletto, Chagall, Guttuso ma anche più giovani come  Jan Fabre che indaga attraverso il suo volto l’idea della mutazione , o Jenny Holzer che si presenta sottoforma di parole , Vanessa Beecroft con un vestito lungo bianco e in braccio due bambini neri, e la potente e fragile Francesca Woodman.
A Milano una passeggiata nell’arte attraverso il ritratto sarà  utilissima per capire un’epoca e  i mutamenti nel campo della raffigurazione umana, mentre,  a Firenze, una passeggiata tra gli autoritratti, sarà l’occasione per scoprire l’animo degli artisti espresso attraverso la  loro poetica.

Chiacchiare del lunedì

Vanessa Beecroft, VB52, 2003
Vanessa Beecroft, VB52, 2003

Festeggiare o non festeggiare?

L’8 marzo si sta avvicinando. Sto parlando del “giorno della donna”. L’anno scorso in questa data abbiamo festeggiato postando un bell’articolo su una mostra dedicata alle “streghe”, convinte che un po’ streghe lo siamo tutte e nella speranza che la caccia alle streghe non venisse più riaperta.

A un anno da quel post se guardiamo quello che è accaduto ci viene un brivido di orrore.

Hai ragione, leggevo sul Sole 24 domenica che l’Italia è all’ottantesimo posto nel Global Gender Gap 2012 del World Economic Forum. Il GlobaleGender Gap  calcola la percentuale di diseguaglianza tra uomini e donne e il nostro paese è preceduto da Kenya , Cina e paesi come il Perù e il Botswana. La relazione prende in esame quattro aspetti la partecipazione economica e le opportunità, il grado di istruzione, il potere politico e la salute. 

La violenza sulle donne non si è placata, anzi se è possibile è aumentata (è di queste ultime ore lo scandalo delle magliette vendute su Amazon che istigano alle botte). Ma cosa dobbiamo fare per ribadire che non siamo oggetti e non apparteniamo a nessuno se non a noi stesse. Basta festeggiare una volta all’anno, magari con un’inutile zingarata di poche ore?

La vecchiaia mi ha reso acida e cinica è vero, ma credo che non basti festeggiare l’otto marzo per un solo giorno, sarebbe bello che ogni giorno fosse l’otto marzo!

Io invece  sogno sempre di poter trascorrere un 8 marzo con quelle donne fantastiche che ho avuto il piacere di conoscere e con le quali sono diventata amica, di cui ammiro un sacco di cose come ad esempio: il coraggio quasi folle di Almea di darsi agli altri senza paracadute, la saggezza imparata dalla terra di Daria, l’estrosità di Daniela, la voglia di combattere per i nostri diritti di Tiziana, il fascino di Barbara e l’arte e la creatività di Sandra sono solo esempi la lista non finirebbe più perchè a dire il vero da tutte le amiche ho imparato qualcosa e da loro ho tratto i migliori benefici. Tutte assieme siamo una forza.

Tanti auguri a noi allora e felice 8 marzo.

Esiste una cura?

Prendersi cura di sé stessi e procurare benessere al nostro corpo  è oggi lo sport dominante.

Questa attenzione non sfugge agli artisti contemporanei; basti pensare alle performance di Vanessa Beecroft che istruisce gruppi di modelle presentandone il corpo nudo come opera d’arte.

Il tempo dedicato alla cura di sé non ci sembra mai un tempo sprecato, ma dovuto. E così tutti ci affidiamo  sempre più a chi ci promette di “alleggerire” le nostre giornate.

Risultato? Ogni raggiunto alleggerimento ci porta verso un congelamento delle emozioni, un aumento della svogliatezza e accresce in noi il timore di essere messi in gioco dal rapporto con gli altri. Per stare leggeri occorre non impegnarsi. Sarà un caso che San Francesco chiese scusa al proprio corpo, prima di morire, dal momento che non si era mai risparmiato nell’affannarsi per gli altri.

Non c’è dubbio che l’artista inglese Damien Hirst  questo lo doveva aver pensato quando, nel 1992, ha presentato l’opera Pharmacy. In questa installazione, infatti,  ha saputo cogliere  bene la nostra ossessione e ha rappresentato con il suo lavoro il miglior ritratto di questa epoca. L’opera è costituita dall’arredo di una stanza  fatta di vetrine  asettiche dove si possono ammirare, bene allineati, una miriade di medicinali di tutte le forme e colori. Sono la nostra cura, l’ancora di salvezza, per illuderci di poter sconfiggere con la scienza le ansie e i dolori, alleggerirci la vita e perché no renderci immortali.

Damien Hirst, Pharmacy,1992

Per gli interessati al fenomeno: sappiate, in anteprima, che la Tate Modern di Londra sta preparando una mostra dedicata all’artista, che rimane fin dagli anni Novanta il  principale animatore del gruppo YBAs (Young British Artistes). La mostra sarà visitabile dal 4 aprile fino al 9 settembre.