Zurigo: Ufficio beni immateriali smarriti…

Hai perso la speranza, l’ispirazione, l’amore, la gioia, la rabbia, la tristezza, l’intuizione e la certezza? Niente paura dal 4 marzo a Zurigo lo si può denunciare a quello che è un ufficio oggetti smarriti del tutto particolare. Infatti qui si passa per rivelare la perdita dei beni immateriali che accompagnano la nostra esistenza.

L’Ufficio Oggetti Immateriali smarriti accoglierà la denuncia con l’obiettivo di far meditare sul numero dei sentimenti che vengono smarriti, ma soprattutto far riflettere sul valore che si è disposti ad accordare loro.

Allo stesso tempo ci si può recare al banco dell’Ufficio Oggetti Immateriali smarriti denunciando il ritrovamento di quegli stessi sentimenti di cui si parlava, lasciando così un messaggio positivo di speranza.

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Naturalmente nessuna azione concreta seguirà le denunce, se  non quella di mettere in contatto, se lo si desidera, coloro che hanno perso o ritrovato lo stesso sentimento. Si tratta di un momento di ascolto, accolto da professionisti formati per questo lavoro, e in una società come quella svizzera, in cui la discrezione sta alla base di ogni rapporto, in cui scoprire il proprio animo può risultare difficile, si tratta di un momento di sollievo e speculazione profonda.

L’idea è nata dalla fantasia del manager culturale Patrick Bolle e della giornalista Andrea Keller, che alla fine di questa esperienza, raccoglieranno in un libro i migliori esempi che l’ufficio raccoglierà. Gli ideatori sottolineano che le chance di ritrovare ciò che si è perduto “sono molto basse” e dipendono da chi denuncia la perdita, tuttavia è possibile che qualcuno venga aiutato dall’ispirazione o dalla fiducia che altri hanno ritrovato.

 

Benedetta la scuola pubblica

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Mi è capitato, stamani, di accompagnare a scuola una bambina curda, figlia di rifugiati, arrivati qui in Svizzera tre mesi fa, senza niente a parte il desiderio di rifarsi una vita. La bambina è stata inserita nella scuola pubblica e proprio oggi partecipava alla prima gita scolastica. Niente di che: un giro da queste parti. Ma i suoi genitori avevano risparmiato 10 franchi dal loro povero sussidio, per darli alla bambina: “divertiti, vedrai delle cose belle”, le avevano detto.

imagesLa piccina era radiosa e mi ha mostrato i dieci franchi con tanta di quella felicità da commuovermi profondamente. Dieci franchi e una gita scolastica d’un giorno: una combinazione che forse non scorderà per tutta la vita. Ogni volta che un bambino è felice, il cielo sorride. Ma questa volta era come se fosse l’universo a esultare. Benedetta la scuola pubblica che dà a tutti la possibilità di ricevere un’educazione e di vivere questi momenti. E ben venga ogni forma di aiuto per l’inserimento di questi rifugiati. Una considerazione: Gesù fu un rifugiato, proprio come questa bambina, quando la sua famiglia scappò in Egitto a dorso di asinello. Come facciano dei paesi cristiani a rifiutare i rifugiati, io questo proprio non lo capisco.images-1

Côté Suisse

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Altri indizi: vento di scirocco, che secca la gola e strappa i vestiti, profumo di peperoni arrostiti sul fuoco. È ora di tornare, fra un po’ ci incamminiamo verso il porto, ora si puó dire arrivederci Sardegna.
Perché mettere questo post nella rubrica Côté Suisse, perché qui la crisi morde ancora con cattiveria e la situazione è così pesante che un gruppo di Sardi  doc ha pensato alla Sardegna come 27esimo cantone svizzero: il Canton Marittimo. “Non si tratta di una provocazione nè di una boutade.
Si tratta di un progetto, di un’idea che scaturisce dall’attuale contingenza che vede l’Italia intrappolata in un vortice di crisi politica e amministrativa apparentemente senza via d’uscita, che sembra ci sia scarsa volontà di risolvere.” Si legge nel sito (cantonmarittimo.com) e ancora: “La Sardegna, eterna colonia, ex granaio, ex legnaia, ex rifugium peccatoribus di un paese (l’Italia) col quale si identifica pigramente, se non in occasioni calcistiche o sportive in genere, acquisirebbe quell’indipendenza agognata da tanti e, mantenendo piena sovranità sulle proprie istituzioni e sulla propria cultura, entrerebbe a far parte di una nazione federale (la Svizzera) moderna, evoluta, con uno straordinario rispetto per le risorse naturali ed ecologiche e che rappresenta un modello universalmente riconosciuto di rispetto e salvaguardia delle autonomie territoriali identitarie”.
Non so se sarebbe giusto e non voglio entrare nel merito dell’argomento, troppe sono le cose che non so di questa terra meravigliosa. Tuttavia l’impressione di essere ai “confini dell’impero” non ti abbandona. Chissà se non sarebbe meglio leggere su una cartina geografica Canton Marittimo, Svizzera, piuttosto che HIC SUNT LEONES?

Un parco letterario per Hermann Hesse

Casa rossa“Era passata la mezzanotte e Klingsor, di ritorno da un suo giro notturno, stava sul piccolo balcone in pietra del suo studio. Al di sotto di lui si sprofondava a picco il vecchio giardino pensile, un groviglio pieno d’ombra di fitte vette d’alberi, palme, cedri, castagni fiori di Giuda, faggi sanguigni, eucaliptus allacciati da piante rampicanti, liane e glicine. Al di sopra degli alberi splendevano come pallidi specchi le grandi foglie metalliche delle magnolie, e tra il fogliame i giganteschi fiori bianchi come neve, dischiusi a metà, grandi come teste umane, lividi come la luna e l’avorio, dai quali, penetrante ed alato emanava un acuto profumo di limone”.

Il pezzo è tratto da uno dei romanzi bervi più autobiografici di Herman Hesse, sconosciuto ai più, scritto nel 1920, L’ultima estate di Klingsor. Chissà se Herman Hesse vedeva e sentiva ciò che è qui descritto, dalla sua abitazione di allora, Casa Camuzzi a Montagnola, in Canton Ticino, nel sud della Svizzera. Certo è che quando nel 1932 si trasferì, sempre a Montagnola, nella Casa Rossa, una villa fatta costruire appositamente per lui dal ricco amico zurighese Hans Bodmer, essa rispondeva ad alcune sue basilari necessità.

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Innanzitutto la possibilità di coltivare il giardino, sua grande passione; luoghi abbastanza arieggiati e luminosi per poter scrivere, certo, ma anche dipingere. Un impianto di riscaldamento che alleviasse i dolori dovuti all’artrosi e infine l’esistenza di due appartamenti separati uno per lui e uno per la sua terza moglie Ninon. Il giardino di questa abitazione era un luogo privilegiato e profondamente amato dal premio Noel, e proprio parte di questo giardino viene oggi minacciata da un progetto immobiliare che prevede la costruzione di 9 ville e una palazzina nell’area del parco sottostante la costruzione.

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Naturalmente si sono levate potenti opposizioni contro la licenza edilizia che il Municipio di Collina d’Oro aveva accordato, oltre ad una petizione, è stata addirittura presentata una mozione per creare il “Parco letterario Hermann Hesse” accorpando Casa Camuzzi, che ospita già il museo Hermann Hesse, e la Casa rossa con il suo giardino e le pertinenze.

 

Tutto ciò per fare in modo che la letteratura non rimanga solo “il viaggio di chi non può prendere un treno”, come diceva Francis de Croisset, ma che sia viva attorno a noi nella memoria degli autori che preferiamo.

Arte soggetta a deperimento

Dieter Roth, ritratto dell'artista, multiplo, 1968, cioccolato
Dieter Roth, ritratto dell’artista, multiplo, 1968, calco di cioccolato con cibo per uccelli

Oggi fino al 9 febbraio si inaugura, a HangarBicocca di Milano, una mostra antologica dedicata a Dieter Roth. Un’artista difficile da capire per chi si discosta mal volentieri dai canoni tradizionali dell’arte. Ma, se lo andate a vedere, credo che abbia la capacità di incuriosirvi e farvi riflettere sugli sviluppi e le trasformazioni dell’arte contemporanea.

Dieter Roth (1930-1998), poeta, grafico, esperto di musica e design, ha spaziato in campi diversi sperimentando sia nel campo della tecnica che in quello dei materiali dell’arte. Pittore, interessato all’arte cinetica, ad un certo momento della sua vita comincia a inserire materiali deperibili nei suoi lavori: cioccolato, formaggio, pasta di pane. Materiali che gli interessano proprio per la loro natura transitoria. Nel 1982 ha rappresentato la Svizzera alla biennale di Venezia e ha collaborato con artisti come Daniel Spoerri, Richard Hamilton e Arnolf Rainer.  Le sue opere sono scelte come un atto che si insinua dentro il vivere quotidiano e vive il tempo del suo svolgimento. Oltre a questo, Roth è stato interessato molto anche al concetto di opera d’arte come multiplo – un concetto che mette in crisi l’idea dell’unicità dell’opera –  realizzando opere che sono sospese tra la banalità dell’immagine e la sofisticatezza di un’opera autenticata da una piccola tiratura e firmata. Ha prodotto libri d’artista e ha fondato anche delle case editrici.

Dieter Roth, Cologne Divisions,1965
Dieter Roth, Cologne Divisions,1965

Roth ha partecipato più volte alla Biennale di Venezia. Come dicevamo, nel 1982 rappresentò la Svizzera. Per questa edizione, invece, Massimiliano Gioni lo ha ricordato con  Solo Szenen, una videoinstallazione  del 1997-98 composta di 131 monitor collocati dentro scaffali di legno, un’installazione intesa come un diario in cui durante un periodo di convalescenza dell’artista lo si poteva seguire in tutta la sua attività quotidiana.

Dieter Roth, Solo Szenen, 1997-98
Dieter Roth, Solo Szenen, 1997-98

I video ci offrono tutti i momenti di questo periodo,  non nascondono niente ma ci immergono nel tempo che passa guardando la sua vita.  Nel catalogo della biennale si legge: “ Per tutta la sua carriera pluridecennale, Dieter Roth non ha mai fatto distinzione tra arte e vita(…) La passione di Roth per le rovine e i rifiuti si estendeva fino ad incorporare l’immagine stessa dell’artista(..). ( dal catalogo Palazzo Enciclopedico,mostra, La Biennale di Venezia, p.410)

Cioccolato svizzero? No Novi. Eppure un legame con la Svizzera Novi lo va cercando perché sarà  proprio lui lo sponsor alla mostra. di Dieter Roth al Hangar della bicocca a Milano. E grazie allo sponsor è stato possibile ricostruire due grandi installazioni a cui ha partecipato il figlio dell’artista, Bjiorn, fatte con 4 tonnellate di cioccolato.

Mostra da non perdere.

Chiacchiere del lunedì

Un week end di caldo e cielo azzurro. Proprio quello che ci voleva. Sentimentali? Macché: è solo che da noi in Svizzera è stato un inverno lungo e questo è il primo week end col cielo azzurro. Per la prima volta da tempo abbiamo sentito il sole caldo. Come tante formiche siamo usciti fuori all’aria aperta,  chi in bici chi a camminare. I giardini pubblici di Ginevra sono stati presi d’assalto per un dejeuner su l’erbe e per godersi un po’ di aria calda. L’arrivo della primavera ha colpito anche il mio cane, che oggi correva senza sosta con gli orecchi balzellanti e la coda in alto; senza la neve gli odori si erano resi più netti e per il segugio l’ambiente si era improvvisamente fatto molto più curioso e stimolante.

George Seurat
George Seurat, Domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte, 1884-86

E’ possibile che la stagione possa influire così tanto sul nostro stato d’animo? Certo, i fiori di tutti colori che sbocciano sui prati, le foglie sugli alberi, una signora in là con gli anni seduta su un  terrazzino con un grande gatto sulle ginocchia, allegra di stare al sole, sono sempre una vista che fa bene all’umore.

In tema con la fioritura di primavera, vi segnalo una mostra dal titolo : Rosantico che si tiene fino al 31 ottobre nel Cilento  tra Paestum, Padula e Velia . Tutto parte dal Museo Archeologico Nzionale di Paestum dove vicino ai templi è stato ripristinato l’antico roseto per arrivare al roseto della Certosa di San Lorenzo di Padula il percorso finisce al parco Arechelogocio di Velia dove si trovano laboratori di degustazione e medicina naturale. Un percorso nell’arte circondati dalla natura.  Chi è interessato può trovare ntizie su www. cilento-net.it

Uno tsunami di denaro

forte dei marmi
forte dei marmi

La mia regione è qualcosa di fenomenale.
In questi anni di migrazioni e di cambiamenti degli assetti economici e sociali, la Toscana si e’ trasformata rapidamente e, in alcuni casi, in modo così radicale  che più di una volta è stata presa come caso di studio. Penso, ad esempio, all’immigrazione cinese a Prato: la città ospita oggi la più grande comunità d’Italia ed è stata definita “una città nella città”.

Ma, come dicevo, siamo fenomenali e così è uscito nel 2012 un libro divertente e sagace  di Fabio Genovesi dedicato a un’altro fenomeno, cioe’ “all’invasione” dei ricchi russi in Versilia e più precisamente a Forte dei Marmi. Lo scrittore è nato e vive proprio lì ( tra l’altro è autore di un altro libro assolutamente da leggere: Esche vive)  e racconta  cosa vuol dire per qualcuno della Versilia vivere tutta una vita in attesa dell’estate e dell’arrivo del turista. Nel libro se ne capiscono  le difficoltà, i paradossi e, anche se non manca un po’ di amarezza, si tratta di un lavoro spiritoso e arguto. L’abilità di Genovesi è di raccontare in modo un po’ cinico e impietoso la propria gente e di guardare con una lente di ingrandimento i costumi dei villeggianti e le influenze di questi sui locali.

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In modo particolare lo scrittore si sofferma  sull’arrivo dei nuovi turisti russi, ricchi anzi ricchissimi. “Sul forte si è abbattuto uno tsunami di denaro” scrive Genovesi. Tutto ne è stato travolto: le ville, il centro con i negozi e gli stessi fortemarmini si sono lasciati comprare. Il Forte è diventato “un paese desertificato dall’abbondanza seccato dalla prosperità”.
Leggendo questo libro mi immaginavo come si devono essere sentiti in questa parte della Svizzera, quando sono arrivati tanti ricconi e poi anche tante persone come noi, per lavorare. Anche qui in questi anni si sono cominciate a costruire molte case, il traffico è triplicato. Ogni giorno si contano a Ginevra  20 mila persone che passano la frontiera per venirci a lavorare. Sara’ mica che anche noi siamo uno Tsunami per la Svizzera?
Il libro si intitola Morte dei Marmi ed è edito da Laterza.
 

Che triste fine per M13

Orso brunoLa colpa di M13, sigla con la quale era conosciuto l’orso bruno venuto dal Trentino e installatosi nei Grigioni a luglio scorso e infine ucciso martedì mattina per ordine delle autorità cantonali grigionesi, è stata quella di aver attraversato la frontiera Italia/Svizzera una volta di troppo. Diciamo che il suddetto orso per gli italiani era un “gigione”, un tipo che “amava” avvicinarsi all’uomo, anche perché aveva capito che razzolare nella spazzatura era molto più semplice che cacciare il cibo nella foresta, per i cugini svizzeri invece aveva rapidamente risalito il protocollo della pericolosità, contenuto nella Strategia Orso della Confederazione, e da “orso problematico” all’inizio dell’inverno si era velocemente trasformato in “orso a rischio” al suo risveglio dal letargo due settimane fa. È stato considerato pericoloso, M13, dopo un incontro ravvicinato con una quattordicenne che lo ha incrociato su un ponte nei pressi del suo villaggio, Miralago. Ed è stata questa sua prossimità con gli umani che gli è costata la pelliccia, ultimo atto di una vita vissuta pericolosamente (stragi di montoni, razzie in case di vacanze e nei cassonetti).

Questa “esecuzione” ha scatenato le proteste delle associazioni ambientaliste svizzere, in primo piano WWF e Pro Natura, al pensiero delle quali ci allineiamo riportando qui di seguito uno stralcio del comunicato apparso dopo l’abbattimento dell’animale: “M13 non aveva paura delle persone, non ha tuttavia mai dato prova di avere un carattere aggressivo. Ciò che irrita è che le colpe attribuitegli e che alla fine gli sono costate la vita sono in realtà da ricondurre a palesi mancanze della regione interessata e del Cantone. Carenze a livello di prevenzione e preparazione alla presenza del plantigrado hanno contribuito all’acuirsi della situazione… Non ci sono più scuse per non adottare tutte le misure preventive del caso. L’orso è ritornato in Svizzera nel 2005 e deve poter rimanerci”.

Molti giornalisti si sono occupati di questo argomento uno di loro credo abbia colto nel segno. Infatti Philippe Barraud, giornalista indipendente, scrittore e fotografo romando, ha messo impietosamente il dito nella piaga scrivendo: “La condanna a morte dell’orso M13, nei Grigioni, supportata da pretesti futili e senza riflettere sulle possibili alternative, è un segnale doppiamente grave per la società e per lo Stato. Da una parte mostra la nostra completa separazione dalla natura e dall’altra il fallimento della nostra politica nei confronti della fauna selvatica”. M13 ha pagato il conto per tutto ciò.

Per dovere di cronaca dobbiamo dire che il povero orso, cioè quel che ne rimane, avrà un posto al Museo di storia naturale di Coira, come dire dell’orso non si butta via niente!

… ah! Le chocolat

Il divano di cioccolato di Prudence Staite
Il divano di cioccolato di Prudence Staite

Mentre attorno a noi si scatenano gli elementi (e non mi riferisco solo a quelli atmosferici) il mio pensiero corre a qualcosa che ci fa stare bene, che secondo molti scienziati stimola le endorfine e ci procura un immenso piacere (oltre che chili di troppo e brufoli): la cioccolata.

Secondo un recente studio, condotto, neanche a dirlo, da uno scienziato svizzero e pubblicato sul New England Journal of Medicine, la cioccolata oltre a farci stare bene stimolerebbe anche l’ingegno e faciliterebbe l’aumento dell’intelligenza. Il dottor Franz Messerli, infatti ha messo in relazione il consumo di cioccolata di un paese con la vincita di un premio Nobel. In cima alla classifica si sono posizionate, naturalmente, la Svizzera, la Svezia e la Danimarca… Nel mezzo della classifica gli Stati Uniti e la Germania e fanalini di coda la Cina e il Brasile (non sono riuscita a scoprire la posizione dell’Italia in questa classifica…).

Lo studio spiega ancora “in Svizzera si mangiano 120 tavolette di cioccolata da 85 grammi ciascuna pro capite all’anno” e questo consumo starebbe in relazione alla vincita di un Nobel. È chiaro che lo stesso Messerli riconosce l’assurdità di questa idea e si spinge a dire che anche in altre occasioni scientifiche si è giunti a risultati privi di logica sebbene tutti i dati sembravano poter dimostrare la tesi.

… E allora che significa tutto ciò?

La spiegazione è piuttosto semplice: il consumo nazionale di cioccolato è da mettere in relazione alla ricchezza e al benessere di un paese e la qualità della ricerca e la seguente maggiore possibilità di vincere un Nobel non devono essere messe in relazione con il consumo nazionale del cioccolato quanto alla ricchezza di cui il consumo stesso è la dimostrazione.

Dunque dopo aver rimescolato un po’ le carte ci rimane solo la sicurezza che purtroppo la cioccolata fa davvero ingrassare (troppi grassi e zuccheri), ma se mangiamo quella nera, la meno raffinata, i ricercatori assicurano che gli antiossidanti che contiene potrebbero sicuramente dare benefici al cervello.

Che dire? Anche questa volta ci è andata male…

Il mugnaio, la luce perpetua e le logiche dell’economia

Vi raccontiamo oggi una bizzarra vicenda tutta svizzera, il cui inizio risale a 655 anni fa.

La vicenda si svolge a Mollis, un ridente villaggio del Canton Glarona. Qui nel 1350 un mugnaio, tale Konrad Müller, commise un omicidio. Il colpevole si salvò per il rotto della cuffia facendo voto, a mo’ di espiazione, di alimentare in eterno una luce perpetua che donò alla chiesa locale. Egli impegnò se stesso e i futuri proprietari dei suoi averi, a prendersi cura di questa fiammella votiva e a provvedere ad essa bruciando l’olio proveniente dai suoi noci. Dal 1350 dunque nella chiesa di Mollis arde la luce perpetua a sempiterno ricordo del pentimento del mugnaio assassino…

Oggi le cose sono un po’ cambiate… Innanzitutto di noci non ce ne sono più, inoltre il nuovo proprietario di quello che il fu il fondo di Müller non è assolutamente d’accordo nel versare la somma annua di 70 franchi a compensazione delle spese di manutenzione della luce perpetua nella cappella di Mollis. L’attuale proprietario del luogo in cui erano piantati i noci infatti si rifiuta di sottostare all’imposizione siglata nell’atto notarile risalente al 1350, tanto più che non si tratta affatto dell’espiazione dei suoi peccati!

Per ricomporre il litigio fra proprietario del fondo e chiesa locale il parroco, documenti d’epoca alla mano, ha fatto ricorso presso il tribunale cantonale.

Come andrà a finire questa antica vicenda lo deciderà un moderno tribunale, ma voi cosa avreste fatto? Avreste continuato ad alimentare un’antica tradizione o anche voi, come vorrebbe il nuovo proprietario, avreste spento la luce perpetua in nome di moderne logiche economiche?